(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 26 - Sergio Daniele Donati dialoga con la poesia "Ora scende nella terra" di Yehuda Amichai
di Sergio Daniele Donati
Ora scende nella terra
Ora scende nella terra,
ora è all'altezza dei cavi del telefono e dei fili della luce
e dei tubi delle acque pure e impure,
ora scende nei luoghi più bassi,
luoghi inferi dove sono le ragioni
di tutto questo fluire,
ora è negli strati della pietra e delle falde acquifere
dove sono i moventi delle guerre e le cause prima della storia
e le future sorti dei popoli e degli uomini
ancora non nati:
mia madre, astronave di salvezza, la terra muta
in un vero cielo.
(tratto da Yehuda Amichai - Poesie, Crocetti editore 2021
Traduzione di: Ariel Rathaus
Prefazione: Ted Hughes)
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Te lo dico in prosa, maestro mio, ché la poesia tace e la parola lascia solo tracce salate su un detto che non sa più esprimersi.
Lo dico in prosa, dicevo, perché ogni discesa è pioggia e irrora i luoghi meno attesi, troppo adusi a un dire arido e di sabbia.
Sono i luoghi che calpestiamo, distratti e immersi in un sogno che sgorga dalla nostra necessità di fuga.
Eppure, è vero, scende - e scende lento - come un mugugno, un richiamo al ritorno, un suono di corno inglese (o di shofar) lanciato a memoria di ciò che avremmo potuto (dovuto?) essere, prima del grande strappo.
Scende e scava solchi di coscienza e scende ancora, verso la nostra origine magmatica.
Ci siamo tirati su, in piedi, a fatica da quel fango, maestro, e a fatica percepiamo la ricchezza di un percorso a ritroso.
Eppure scende, come un monito sacro all'attenzione, incurante dei nostri "perché a me?", "perché proprio ora?" .
E prima di incontrare i non nati, padre, incontra l'essenza mia, a metà strada tra esistenza ed evanescenza.
Mi guarda, ride, e scende più in basso, mai soddisfatto, mai in stasi.
Un Sacro che si sfalda per ricomporsi altrove, lontano dal mio sguardo, dallo sguardo mai innocente di un uomo nato vecchio, inebetito poi - per scelta - dalla altrui parola.
Tu dici che scende in un terra che diviene cielo, e mi copro pudico i volti, maestro, perché tua è la parola di verità.
Io, però, delle stelle percepisco il grido morente e no, non mi basta più, il richiamo di un bello che non compone ma frammenta il mio nome, come puzzle cui manca sempre la tessera finale.
Allora, padre, lasciamo che scenda, e si incolli alle nostre labbra impedendoci di dire ciò che ancora non abbiamo compreso.
Lasciamo che coli lento e caldo, come lava, e bruci e distrugga e renda fertili i semi che verranno.
Non i miei, i miei sono privi di vita e umidità da tempo e, se cantano, è un canto nostalgico per ciò che mai hanno vissuto.
Sergio Daniele Donati - inedito 2023
Grazie.È vero, più di quanto espresso non si potrà capire ,eppure sono parole che raccontano meravigliosamente l'inafferrabile
RispondiEliminaDell'inafferrabile si può dire solo, con un evidente anacoluto, la nostra impotenza. Grazie davvero
EliminaNon sono sicuro ma credo che la traduzione abbia ridotto la potenza enorme di queste frasi....è una mia sensazione potrei sbagliare ....
RispondiEliminaSicuramente è davvero difficile tradurre certa poesia, ma questa traduzione sinceramente mi pare ottima. Grazie.
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