(Redazione) - Un tenace filo di lino - Qualche riflessione sparsa (e un dialogo un po' folle) su "Poesia ininterrotta" di Paul Éluard

 


Mi capita sempre più spesso di sentire l'esigenza di riprendere in mano gli autori della mia formazione, quasi dovessi lustrare di nuovo la loro lampada d'Aladino nella speranza che il loro genio voglia ancora una volta concedermi il dono dell'elevazione. 
Forse dietro questa esigenza si nasconde un mio lento movimento di ritiro nelle origini o, forse, una tendenza a creare sinapsi tra un prima e il dopo, alla ricerca, forse un po' ossessiva, ma certamente tanto mia, di un legame di un tenace filo di lino, che unisca ciò che io attribuisco agli anni della mia assunzione del ruolo di servitore della parola altrui a ciò che ritengo essere per me scrittura. 
Ieri ho ripreso il magnifico testo di Paul Éluard "Poesia ininterrotta" (Einaudi ed. - titolo originale "Poésie ininterrompue", Gallimard 1946).
E l'Opera, doppiamente mirabile per la presenza in introduzione e traduzione del grande Franco Fortini, ha ancora una volta manifestato il suo genio. 
E quello di Éluard qui è un genio timido e ritroso, che si manifesta in versi che quasi si nascondono pudici al lettore, privi di ogni desiderio di manifestarsi. 
Eh si, davvero pudici, sin dalla frase di dedica iniziale che sotto riporto.

Queste pagine io le dedico
a coloro che le leggeranno male
e a coloro ai quali non piaceranno

Dedica questa che è una enorme interrogazione sul ruolo della poesia fuori dai plausi immediati, e forse prematuri, mi ha immediatamente riportato a un tipo di lettura il cui valore avevo dimenticato. 
Mi riferisco alla lettura senza aspettative, né pretese legate al nome dell'autore. 
E così mi sono trovato a rileggere Éluard, sdraiato sul divano di casa, con un fare trascurato, senza penna e  taccuino per gli appunti, come si legge un racconto sul quale non si vuole svolgere alcuna operazione di critica o analisi. 
Ed Éluard ha risposto, rendendo il tenace filo di lino ancora più saldo, quasi volesse ringraziarmi del mio semplice essere lì con lui, con ciò che dice - e come lo dice - privo (o privato) di pregiudizi, fossero anche positivi, sull'immenso maestro che stavo leggendo.
I versi di Éluard mi facevano capolino come un timido gatto di strada indeciso se scappare via o finalmente prender fiducia e strusciarsi contro le mie gambe. 
E più la lettura procedeva più sentivo una sorta di sensazione/voce farsi spazio dentro di me, come un richiamo alla risposta al dialogo.
Insomma quel gatto timido voleva una carezza sul muso e, forse, anche del cibo in cambio della sua bellezza. 
E ci voleva tutta la mia trascuratezza sul divano per decidere di rispondere a Éluard, autore che, se preso sul serio come merita, ammutolisce senza ombra di dubbio. 
È lì che ho compreso il geniale gioco dell'autore. 
Sino a quel momento si era preso gioco di me. Il gatto ero io. 
Ed Éluard mi aveva attirato con un dire timido e bisbigliato verso una risposta che, per esser data, doveva per forza di cose, ignorare il peso e l'importanza del poeta che mi questionava. 
Insomma, per dirla semplice, ho avuto la netta impressione che il buon Paul abbia volutamente tolto ogni mia timidezza, permettendomi, come gatto randagio, di avvicinarmi a lui e poi abbia preteso la sua risposta. 
A metà circa della raccolta il poeta ha cambiato registro, decantando, con sapienza estrema e, immagino con il sorriso di chi sa di aver vinto, una poesia che contiene se non tutti molti dei registri a me cari. 
Non potevo non rispondere, quindi, con fare pigro, sono andato a prendere carta e penna.
Questo è l'esito. Se volete ridetene pure, ma io di questo mio passaggio da una lettura pigra della poesia all'impellenza di dire lo sento come un colpo di genio...non mio, per carità, ma della lampada d'Aladino di Paul Eulard.

DIALOGO
Tu dressais une haute épée 
Comme un drapeau au vent contraire 
Tu dressais ton regard contre l'ombre et le vent 
Des ténèbres confondantes

Tu n'as pas voulu partager 
Il n'y a rien à attendre de rien 
La pierre ne tombera pas sur toi 
Ni l'éloge complaisant

Dur contempteur avance en renonçant 
Le plaisir nait au sein de ton refus 
L'art pourrait être une grimace 
Tu le réduis à n'être qu'une porte

Ouverte par laquelle entre la vie

(Tratto da Poesia ininterrotta - Poésie ininterrompue di Paul Éluard)

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Levavi un'alta spada 
Come stendardo al vento contrario 
Levavi il tuo sguardo contro l'ombra ed il vento 
Del buio che confonde

Non hai voluto dividere
Non c'è nulla da attendere da nulla 
Su te la pietra non cadrà 
Né l'elogio compiacente

Duro essere di sprezzo avanza rinunziando 
Nasce il piacere in seno al tuo rifiuto
L'arte potrebbe essere smorfia
Tu la riduci ad essere una porta

Aperta per la quale entra la vita

(Traduzione dal francese di Franco Fortini)

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Mon épée brilla alors
mais la fissure de la lame
cria la prudence
et mon corps chanta aussi
un chant de solitude.
Et tu as vraiment tort;
j’ai baissé les yeux
priant la terre
pour qu’elle puisse 
à nouveau me soutenir.
Mon nom a été divisé alors
- par une force sans nom -
sous la tension constante
entre des étoiles lointaines
et une éthique
difficile à défendre.

L’art est une porte
- c’est vrai Paul -
mais je n’y ai pas accès,
parce que au gardien
est interdit le lieu qu’il garde.

(Testo inedito di Sergio Daniele Donati)

______

La mia spada brillava allora
ma la crepa nella lama
gridava prudenza
e anche il mio corpo cantava
un canto di solitudine.
E ti sbagli davvero;
abbassavo lo sguardo
pregando la terra
in modo che potesse 
darmi sostegno ancora una volta.
Il mio nome fu diviso allora
- da una forza indicibile -
sotto la tensione costante
tra stelle lontane
e un'etica 
difficile da difendere.

L'arte è una porta
- è vero, Paul -
ma io non vi ho accesso,
perché alla sentinella
è interdetto il luogo che custodisce.

(Traduzione dal francese di Sergio Daniele Donati)



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