(Redazione) - Specchi e labirinti - 27 - Cuore Leggero

 
di Paola Deplano

«Hai una pronuncia pessima.»
Avevo detto una parola in inglese, alla cena di fine anno tra colleghi - e lui mi aveva corretta così, davanti a tutti: «Hai una pronuncia pessima.»
Proprio questo aveva detto, me lo ricordo ancora, anche se non brucia più: «Hai una pronuncia pessima.»
Mi stava facendo pagare il fatto che lo avevo COSTRETTO ad uscire con i MIEI amici.
Degli altri ricordo, a questo punto, il silenzio imbarazzato, gli sguardi nei piatti. Di te ricordo gli
occhi dispiaciuti per me - e su di me.
Dopo qualche bicchiere di troppo, prese di mira anche te. Non direttamente, per carità, ma si capiva benissimo a chi fosse rivolta la violenta filippica contro i terroni che rubano il lavoro agli altri. Vani furono i tentativi di farlo stare zitto, non solo miei. A scuola ti volevamo - ti vogliamo - tutti bene. 
Solo tu non parlasti, come se la cosa non ti riguardasse, come se tu fossi nato a Bolzano da genitori
finlandesi, non in un paesino del Salento, vista mare. 
In macchina non parlai, ma intanto non ce n'era bisogno, lui riempiva l'abitacolo di cattiverie gratuite che corrodevano anche l'aria.
Dopo qualche giorno, a scuola ormai chiusa, andai ad aprire la casa al mare. Che significava scaricare scatole, pulire, mettere in ordine, tutto da sola.
Lui sarebbe venuto DOPO.
Quel che aveva da fare, in città, aveva un nome e un cognome e lo sapevano tutti, persino io.
Allora piangevo sempre.
Lui con un crudele sorriso compiaciuto diceva che se ero depressa la colpa era mia, che volevo cose impossibili perché leggevo troppi romanzetti rosa (mai fatto in vita mia).
Quella sera - la nostra sera - ero stanca e triste, ma sono uscita lo stesso.
La notte del ristorante di fronte al mare era invasa dalla musica di un gruppo folkloristico salentino. 
Mi salirono le lacrime agli occhi. Quelli, chissà perché, sembravano aver fatto ottocento chilometri
apposta per farmi piangere. Piangevo perché non ti vedevo da cinque giorni, ma già mi mancavi. Mi mancava il tuo sorriso.
Il silenzio mi cresceva dentro, ma fuori c'erano canti, c'erano balli.
E c'eri tu.
Mi si è gelato il sangue. E ho capito. Uno non fa più di un'ora di macchina senza un motivo. E quel motivo così importante ero io. Forse. O forse, sapevi dei canti delle tue parti ed era per quello che eri lì. Io non c’entravo niente, ero solo la solita stupida, la solita illusa. Però è a me che ti sei avvicinato, quasi di corsa, scansando la gente, col tuo solito passo così veloce, così caro.
Senza parlare, mi hai portata fino alla pista e mi hai fatta ballare. E un po' pestandoti i piedi e un po' cadendoti addosso e un po' affondando il mio viso sul tuo petto, insomma, ho ballato con te. Il mio corpo imparava a muoversi col tuo.
La ragazza cantava, suonando il tamburello: «Beddhru l’amore e ci lu sape fa.» Aveva gli occhi scuri e luminosi che passavano da te a me, da me a te, con l’innocente malizia di chi ha capito tutto e ne è felice e un dolce sorriso lieve da fatina buona, mentre ci ballava intorno e ci chiudeva in un cerchio strano, quasi magico, isolandoci dagli altri.
La mattina dopo, al mio risveglio, mi accarezzavi con lo sguardo, senza parlare. 
Io avevo il cuore leggero.
In quel momento, sotto i tuoi occhi, mi sono sentita finalmente bella. Mi sono stretta a te, canticchiandoti all'orecchio: «Beddhru l’amore e ci lu sape fa
Hai risposto all'abbraccio. Poi, ridendo, hai sussurrato: «Hai una pronuncia pessima.»
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Commenti

  1. Valerio Gallerati14/2/24 12:02

    beh che dire... mi è piaciuto tanto 👏👏👏🙂🌻🌿👋

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  2. Bellissima, era prevedibile fin dall'inizio 👏👏‼️

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