(Redazione) - La "parola seducente" di Gianpaolo G. Mastropasqua - nota di lettura di Sergio Daniele Donati a "Danze d'amore e di duende" (Puntoacapo ed., 2023)
Gianpaolo G. Mastropasqua (foto tratta dal web) |
Quando la mia penna si tacita per dei mesi di fronte a un'opera che in tanti, e giustamente, si affrettano a commentare, non me ne voglia l'autore (o l'autrice). I miei sono sempre tempi lenti di rielaborazione, e soprattutto so che le parole, come la nostra prole, hanno bisogno di un luogo protetto e di cura prima che possano essere lanciate nel mondo.
Questo per me è ancor più vero per la parola che commenta la Parola.
È necessaria una sorta di elevazione per proferir commento su ciò che si reputa eccelso e, quindi, i tempi di una lallazione scomposta, non certo degna di pubblicazione, si dilatano.
I motivi del mio silenzio di fronte a ciò che reclamerebbe, e ad ottimo titolo, commento possono dunque derivare anche proprio dalle linee di scrittura e dall'ammirato stupore che in me, lettore, suscitano.
È una sorta di rispetto-allievo il mio, di respiro corto di fronte a un dire che ritengo maestro, che mi impedisce di dare commenti affrettati a ciò che più mi colpisce nell'immediatezza.
Così è accaduto quando ho letto, e riletto poi tante volte, Danze d'amore e di duende di Gianpaolo G. Mastropasqua (Puntoacapo ed, 2023).
Corpo, corpo, corpo, voce, voce, voce: potrebbe essere un motto che ben definisce quest'opera.
La parola che si fa non solamente suono ma anche danza, movimento muscolare - non sempre volontario - passo sedotto e seducente, richiamo costante al reame del sensibile, e poi elevazione verso un indefinibile richiamo che non si stacca dall'umano mai, ma resta sottopelle: ecco cosa ho sentito tra le righe di questa raccolta densa di richiami ad atmosfere difficilmente definibili, eppure nette e facilmente percepibili da chi, oltre che lettore, ha una visione posturale e cellulare della poesia.
Quest'opera di Gianpaolo G. Mastropasqua mi ha obbligato a rivedere un radicato mio giudizio, non sempre del tutto positivo, sulla parola seducente.
Perché queste danze sono seducenti senza dubbio, ma in senso anomalo e figlio di un false friend che sovverte il significato dell'aggettivo stesso.
Sono seducenti perché conducono al sé profondo, e non solo al contatto con l'autore, e permettono di riscoprire la dimensione sia corporea che corporale della scrittura.
Seduzione della parola, in questo senso giocoso e snaturato, diviene allora un valore supremo del tratto poetico. E, chi mi segue sa bene che lo ripeto spesso, nulla può essere più indicativo del senso profondo di una parola dei contorni dei suoi false friends.
D'altronde è questa la stessa ambiguità del detto della Trascendenza ad Abramo su cui si fonda il percorso monoteista, quel lech lechà che in ebraico significa, in quel contesto, sia vattene (il testo aggiunge dalla casa dei tuoi avi, dai tuoi idoli e dai tuoi armenti) che vai verso te stesso (all'incontro di te stesso).
Ed esattamente questo provoca nella raccolta in esame il poeta/maestro - cui pare non essere estranea anche l'alchimia numerica di certe parole - al suo lettore/allievo.
Lo seduce verso di sé per lanciarlo al contatto profondo col proprio corpo, rendendolo partecipe di un percorso che non può non dirsi di autenticazione del lettore.
Sì, parrà folle, ma dalla lettura di questo testo si esce più sé stessi di prima di averlo letto, forse un po' storditi da un viaggio che ha le sue salite ripide e le sue discese scoscese, ma che, alla fine ci conduce in un lech lechà di noi stessi, lettori...stupiti e grati lettori.
Sono quindi molto lieto di potervi sottoporre qualche poesia estratta dall'opera che davvero penso sia imperdibile.
Per la Redazione de LE PAROLE DI FEDRO
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
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ESTRATTO DALL'OPERA
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Le adolescenze maltesi
Quattordici anni come quattordici sillabe
saltellano qua e là per chiamare l'orizzonte;
non bastano labbra fatali e sfrontate
le pupille raccolte, la linea casta
dell'acqua notturna, sgorgano animestive,
bagni di buio, chitarre di sabbia, saltimbanchi,
la giostra delle tempie una foresta reale
la vita è un leggero movimento dell'ignoto.
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L'evasione
La notte evasa ci svegliava
sbucava dalla piega di una voce, annuiva,
rasentava i muri, deviava traiettoria
per ingannare la morsa stellare,
apriva i portoni, correva sulle scale
fino all'ultimo piano del buio
e saltò per gradini estinti, nella cecità
delle altezze, salì nella trasparenza affilata
del linguaggio, nel geroglifico di una madre,
strinse il laccio tra il piede e un pudore
e si offri per la nudità totale.
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Karmica
Tu sei la mia anima e mi tocca
vivere senza, come una tomba
che cammina, un vizio vuoto.
Tu sei il mio corpo illuminato
e ora spento, nel sudario del letto.
Vago senza pupille nell'estate autunnale
nella schizofrenia delle stagioni
come una foglia volata
tra i piedi di Dio. Dove sono
i tuoi occhi neri e le dita rituali
che mi cullavano fino all'estasi?
Nessuna creatura comprenderà mai
i tuoi cento travestimenti, il respiro,
la strage dell'amore e del dolore a ore,
in quale celeste cantano
la tua voce di violino in fiamme?
Ritorno ogni resurrezione
al cimitero, raccolgo un fiore
di vento per Amelia e attendo il bacio
marziale, quel tocco illimitato
nel punto sciolto dove giace l'uomo
il cui nome fu scritto nell'acqua.
(Cimitero acattolico, Roma)
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