(Redazione) - A proposito della raccolta "Abitarmi stanca" (Puntoacapo ed., 2023) di Alessandro Assiri - nota di lettura di Sergio Daniele Donati
Esiste una dimensione dell'umano in cui perdiamo il contatto con il sogno inverosimile dell'identità e cominciamo a percepirci come agglomerato frammentario e frammentato, come puzzle di cui non siamo nemmeno certi di possedere tutte le tessere, dove il particolare assume ruolo centrale di una potenziale ricostruzione - o ricognizione - di un Sé.
Un viaggio di ritorno, quest'ultimo, impossibile a farsi, se ci si considera soltanto come cosmos, e invece lentamente attuabile, se si riesce ad acquisire il tempo lento della rielaborazione.
Tutto questo, tanto vicino ad una visione postmoderna e post psicoanalitica del vivere, necessita di un piccolo passo iniziale in cui si si sia in grado di percepirsi anche come contenitore, come casa, come luogo da abitare.
I frammenti hanno bisogno di una scatola - magari decorata con antiche tecniche di découpage che ricordino il loro contenuto, ancora prima di aprirla - in cui possano sedimentare e ritrovare una forma idonea a calzare a pennello al nostro nome, unica costante vera dell'esistenza dell'uomo.
Allo stesso tempo questo lento processo non può tenersi lontano da una riflessione sul linguaggio, sul nostro essere abitati anche da infinite voci altrui che ci plasmano, sulla natura essenzialmente metaforica dell'esistenza, e, soprattutto, sulla nostra necessità di ridirci attraverso la pluralità e l'altruità che dimora in noi, a volte con nostra benevolenza, altre come un incomodo da saper con sapienza gestire.
In questo, ovviamente, la scrittura poetica diviene lo strumento principe di espressione, perchè i formanti cui sopra facevo riferimento (altruità, pluralità, voci aliene, natura metaforica, frammento, scheggia, contenitore) sono la vera e propria ossatura di una parola che si fa verso.
Tutto questo si percepisce come presente e battente nella scrittura di Alessandro Assiri la cui raccolta Abitarmi stanca (Puntoacapo ed., 2023), senza esplicitarlo direttamente, di questo passaggio dall'unità al frammento, per ritrovare poi una unità altra, narra con una voce - anzi, una collezione di voci - che richiamano allo stesso tempo al moderno e all'antico.
Così ad esempio leggiamo:
Lo sai che c'è questo nulla
che m'insegue per divorarmi dentro extraurbano
dalla periferia al centro
E cos'è una vita avendo poco tempo: scendere
prima ma essere già stanco, salutare chi ti somiglia
con un gesto perchè sono dove sei e ci vedremo
presto
Il richiamo a un nulla divorante, i cui numerosi rimandi filosofici non starò qui a citare, già ab origine gioca sul paradosso e ossimoro con il verbo essere che l'accompagna. Come può il nulla esserci o essere con noi (inter-esserci)? E come può un nulla divorare l'esistente?
Eppure, dice il poeta con una statuizione ferma, tale nulla esiste e pare indicarci ancora una volta la necessità di ridefinirci attraverso l'altro. Tuttavia, non si parla qui di un altro da sé distante. Al contrario, qui si narra di un altro da sé a noi stessi prossimo e limitrofo, degno del nostro riconoscimento (saluto) perchè a noi somigliante (ancora una volta il gioco metaforico dell'esistenza cui si faceva cenno sopra).
E l'altro abita il nostro stesso spazio (sono dove sei), come sopra si diceva, forse non ancora visto ma - ben presto - riconoscibile.
E non v'è chi non veda l'ambiguità creativa della locuzione sono dove sei che può essere letta sia come manifestazione di un'idea di occupazione di un medesimo spazio sia come quasi sinonimo di "esisto perchè tu esisti, mi definisco tramite la tua esistenza prossima...in me".
Altrove, ed è questo l'ultimo estratto che desideriamo citare di questa raccolta, per non rovinare il piacere della vostra lettura, il poeta si sofferma a dialogare idealmente con un tu imprecisato (il lettore? sé stesso?) di cui definisce, con un lessico e una capacità espressiva unici, contorni e ruolo.
E quando ti guardo
e non ti vedrò per sempre
che sia un sogno un nessuno o una caduta
E quando il nostro tempo sarà finito le nostre
scarpe strette e storte
che faranno di tutto per restare insieme orizzontali
suole di passi non saliti
e luoghi dove ci siamo immaginati nell'aria lunga e
fresca del riposo
Supponiamo, senza poterlo mai provare, per un istante che il poeta rivolga questa magnifica composizione a sé stesso. La domanda sorge immediata: a quale parte di sé, a quale frammento o scheggia del suo nome, si rivolge?
Qui viene espressa - e con un esito commovente - la grande fatica, la grande stanchezza, della coabitazione in noi stessi di uno sconosciuto sé e di un invadente altro da sé, l'enorme sforzo di sapersi mantenere assieme, orizzontali, con l'alterità che ci abita, l'inciampo costante di questo binomio (caduta), la difficoltà/quasi impossibilità a procedere assieme con il nostro invadente coinquilino (i passi non saliti), e, soprattutto, l'immaginazione di un luogo finale di riposo/morte ove la distinzione sé/altro da sé - finalmente - non abbia più un senso profondo.
Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Alessandro Assiri (Bologna 1962) vive tra Trento, Bologna e Parigi. Si occupa a vario titolo di letteratura e progetti culturali per editori italiani e francesi. Collabora con riviste letterarie cartacee e telematiche. Per musei e fondazioni private cura acquisizioni di libri antichi e opere d’arte. In poesia ha pubblicato: Morgana e le nuvole (2004); Il giardino dei pensieri recisi (2006); Modulazione dell’empietà (2007); Quaderni dell’impostura (2008); La stanza delle poche righe (2010); Cronache della città parallela (2011); In tempi ormai vicini (2012); Appunti di un falegname senza amici (2013); Lo sciancato e Caterina (2014); Lettere a D. (2016); Ontologia della Maddalena (2018); L’anno in cui finì Carosello (2019); Come (Lietocolle/Ronzani Editore, 2022). Per la saggistica: Come salvare la poesia dai poeti (Serse Cardellini Thauma, 2015).
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