(Redazione) - Salvatore Toma: un beffardo Rimbaud del profondo Sud - a cura di Dario Stanca
Dario Stanca |
"Viviamo
in un’epoca in cui il valore degli autori è inversamente
proporzionale ai colpi di grancassa che si suonano in loro onore. Il
meglio resta nascosto". Così scriveva, con l’irriverenza
che gli era propria, un grande outsider
della
cultura italiana, Anacleto Verrecchia.
Troppo
spesso poeti e scrittori non sono altro che invenzioni di editori
callidi e opportunisti: effimeri progetti editoriali volti unicamente
a soddisfare il facile gusto di una platea incompetente.
Così,
sommersa dall’infestante sterpaglia letteraria, rischiava di
rimanere anche l’opera poetica del salentino Salvatore Toma
(Maglie, 11 maggio 1951 - Maglie, 17 marzo 1987).
Il
fuoco della poesia, non disgiunto da una forte avversione alla
cultura “istituzionalizzata”, era divampato in lui assai presto.
Mediocre alunno presso il ginnasio-liceo “Francesca Capece” di
Maglie, per due anni di fila si rifiuterà di presentarsi all’esame
di ammissione al liceo, prima di interrompere, seppur
provvisoriamente, gli studi.
Nel
1971 infatti, ormai ventenne, si ripresenta a scuola risoluto a
sostenere gli esami di idoneità alla terza liceale e, per chiara
fama, l’anno successivo, con già ben due pubblicazioni di poesia
al suo attivo, viene ammesso agli esami di Stato. "Il giovane
è molto dotato per l’attività poetica", si legge nella
motivazione, e il professore di lettere aggiunge: "Vive di sé,
del suo mondo poetico; […] si è interessato allo svolgimento del
programma con personale e poetica interpretazione".
La
produzione poetica di Salvatore Toma è racchiusa in sei volumi:
Poesie
(Prime rondini)
(1970);
Ad
esempio una vacanza
(1972);
Poesie
scelte
(1977);
Un
anno in sospeso
(1979);
Ancora
un anno
(1981,2007)
Forse
ci siamo
(1983).
L’autore
cercò di accreditarsi presso i circoli letterari inviando le sue
pubblicazioni ai maggiori critici e poeti di allora: scriverà a
Martin Andrade, Giuseppe Conte, Mario Luzi, Maria Corti, Valerio
Magrelli, Giovanni Raboni, Silvio Ramat e al già premio Nobel
Eugenio Montale.
Proprio
quest’ultimo, nel 1980, probabilmente con riferimento a Un
anno in sospeso,
gli risponde: "Il suo libro mi sembra interessante e la
ringrazio di avermelo fatto conoscere".
Mentre
Giovanni Raboni, alla lettura di Poesie
scelte,
gli scrive: "Lei possiede un “segno” molto netto,
incisivo, e la capacità di concentrare idee e emozioni in uno spazio
quasi epigrammatico di notevole efficacia" (1978).
A
Valerio Magrelli, invece, Salvatore Toma ricorda Cecco Angiolieri: "C’è un grande rancore nei tuoi versi", e ancora "disperazione di certe immagini […], come quando pensi alla
morte e alle sue figure" (1980).
Fu,
tuttavia, la filologa e scrittrice Maria Corti, conosciuta nel
Salento, a interessarsi fattivamente alla sua produzione poetica,
dapprima adoperandosi per far pubblicare alcuni suoi inediti
sull’Alfabeta
del 18 ottobre 1980 e poi facendo uscire presso la prestigiosa
Collezione bianca di Einaudi (1999) il Canzoniere
della morte.
Non
si trattava di una pubblicazione postuma dell’autore, ma di una
esigua, opinabile selezione operata dalla curatrice, che, in termini
alquanto disinvolti, presentava Toma come un poeta attratto dalla
“morte”, arrivando addirittura a travisare le cause del suo
decesso. Tutta l’opera del poeta salentino, secondo la studiosa,
avallava l’aristocrazia intellettuale di una scelta:
quella, appunto, del suicidio, ricercato attraverso uno smodato abuso
di alcool.
In
realtà, Salvatore Toma non si era suicidato, e la prima a denunciare
la mistificazione fu proprio la moglie, Paola Antonucci, secondo la
quale in nessun modo e per nessuna ragione il marito avrebbe inteso
togliersi volontariamente la vita. Dall’abuso di alcool stava anzi
cercando di emendarsi. Smentivano la tesi del suicidio anche le
lancinanti parole proferite dal Toma in punto di morte ai due
carissimi amici Antonio Verri e Antonio Errico, riferite dagli
stessi: "I bambini… Avrei voluto veder crescere i bambini".
L’opera
di Maria Corti, seppur con colpevole ritardo (Toma era morto già da
dodici anni), aveva avuto se non altro il merito di imporre
finalmente i testi del poeta di Maglie alla ribalta nazionale:
un’opera che, altrimenti, con altissima probabilità, sarebbe
rimasta arenata sulle spiagge salentine, sfracellata sugli scogli del
suo splendido mare.
Certamente,
il tema della morte attraversa l’intera opera di Toma: egli l’aveva
sfidata, corteggiata, con lei era pure sceso a patti; ma come scrive
il critico Antonio Errico, il poeta "conosceva la morte come
può conoscerla solo chi conosce la vita".
Quella morte che
rende possibile un’ultima emozione; che permetterà, per dirla con
Vincenzo Cardarelli, suo poeta prediletto insieme a Leopardi, di "non essere aggrediti", di lasciare all’uomo ancora
il tempo di "dire al mondo addio"; quella morte che si
annunciava da lontano come "l’estrema delle mie abitudini".
Lezione che Toma farà propria. In Morte
carnale
scriverà:
Ti
temo solo imprevista
Morte
carnale
Ti
temo se la tua pelle d’ombra
se
la tua fretta d’animale
mi
sorprende a breve vista
Se
tu mi chiamassi piano
Come
l’ora si chiede ad un passante
Spolvera
la tua dignità
diresti
Vissuto
amante
Cuore
non t’allargherei scontroso
Ma
risorto gioia
Palpiterei
eccomi riposo
Toma
non è, insomma, poeta solo della morte: fu, al contrario, cantore
della vita, dell’amore, della donna, della natura, della libertà,
degli animali, e a tutto guardava con innocente purezza, anarchica
meraviglia.
"Lei
è un po' matto", gli aveva scritto Maria Corti; ma quello era
il mondo di Toma, affollato di simboli. La sua poesia non si limita a
rappresentarlo, riproduce bensì, con anelante tensione, la sua
visione del mondo. Il poeta salentino non altera il reale, se ne
impossessa per "spremere" e ottenere quanto di più puro ne può
trarre, e lo fa con una meraviglia e un candore pressoché infantili.
A emergere da quello stato di "meraviglia" non sarà dunque
soltanto lo sguardo filosofico:
non
mi riusciva ancora di capire
come
facessero a nascere
in
così poco tempo
tele
di ragni tanto bianche
sui
cornicioni del vicino castello
[…].
Toma
guarda alla realtà con gli occhi di un visionario, artefice di
un’alchimia che impasta non soltanto vita e scrittura ma, anche e
soprattutto, fantastico e reale, indistintamente - ricorrendo a un
vocabolario che sembra riconoscere soltanto l’istinto, a una
scrittura esasperata e febbrile, che si esprime con la violenza dei
colori e delle sensazioni.
La
pubblicazione delle Poesie
(1970-1983), per impulso e a cura di Luciano Pagano (Musicaos
Editore, 2020), vedrà finalmente raccolta in un unico volume
l’intera produzione edita del beffardo Rimbaud del profondo
Sud, come lo definisce, affettuosamente, il poeta e critico
Vittorino Curci. Meritoria iniziativa, se il modo migliore per
ricordare un autore è ristamparne l’opera.
Di
Salvatore Toma non si potrà che ripetere quanto scritto da Cioran a
proposito del grande poeta rumeno Mihail Eminescu: Un poeta,
uno spirito supremamente autentico.
E chissà - questo almeno
il nostro sommesso auspicio - che i dieci autori per una
contro-antologia del Novecento - come recita il sottotitolo del
volume Maledetti
italiani,
curato da Davide Brullo - possano un domani diventare undici.
______
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Dario Stanca (1973) si laurea presso
l’Università del Salento, in Filosofia, con una tesi su Carlo
Michelstaedter.
Ha curato il volume Anacleto
Verrecchia, Meglio un demonio che un cretino (El Doctor Sax,
2023).
Per la poesia, ha scritto la prefazione
al volume di Giorgio Gramolini, Vita breve.
Appassionato lettore di aforismi, ha
firmato la postfazione di Per un piccolo ordine di grandezza,
dell’aforista Amedeo Ansaldi.
Con l’inedito Canzoniere
dell’assenza, ha ricevuto al premio I Murazzi 24, a
Torino, il riconoscimento di una Dignità di stampa con Diploma
d’onore.
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N.d.R: di Dario Stanca su Le parole di Fedro potrete trovare anche un dialogo poetico con Sergio Daniele Donati - nella sezione dedicata ai Poeti allo specchio - e degli inediti con nota di lettura di Annalisa Mercurio
Grazie Fedro. Grazie Dario...
RispondiEliminaUno scritto critico avvincente che hai il sapore dell'omaggio. Complimenti
RispondiEliminaSimone Beghi