A proposito della raccolta di Daniele Ricci "Lezione di meraviglia" (peQuod ed., 2022) - nota di lettura di Sergio Daniele Donati
Un vero piacere per la Redazione de Le Parole di Fedro potersi soffermare sulla raccolta "Lezione di meraviglia" (peQuod ed., 2022), del poeta Daniele Ricci.
Una scrittura la sua che traccia sempre linee chiare e malinconiche tra un vissuto personale e il riflesso e richiamo che questo può avere su un universale battente.
Il poeta, in altre parole, si pone nella terra di confine tra osservazione/percezione e rielaborazione e il suo tingere questo percorso di nostalgiche sfumature pastello non può che rendere compartecipe il lettore del dato di abbandono che ogni osservazione - e anche ogni scrittura - porta con sé.
Nella lettura delle sue composizioni il senso di una perdita che, tuttavia, innaffia il terreno della consapevolezza, è dunque sempre presente.
L'elemento poi di poetico abbandono è confermato dalla struttura dell'intera raccolta in cui il tema guida del viaggio è molto presente.
Viaggio, quello del poeta, che, come dovrebbe essere ogni viaggio, diviene spostamento energetico ed interiore; essendo il registro dell'interiorità molto presente nelle composizioni.
Si legga, ad esempio, la poesia che segue, tratta dalla sezione La strada del ritorno (2021):
Si muove lentamente la nave
lascia indietro la luce intensa
dei bianchi palazzi di Atene
le strade trafficate del Pireo
una parete bianca che il tramonto dona.
Saluto il tuo ricordo
la narrazione del probabile
il bagliore e le voci
degli uomini attraversate dal vento.
La mia partenza è liscia
il vento leggero
parla col mare
con le mie mani
e il nulla.
Un dire che dalla descrizione del movimento del paesaggio che si abbandona, attraverso il medium di un saluto, di un ricordo di ciò che sarebbe potuto essere, diviene lentamente un tragitto verso il vuoto, verso un nulla che, tuttavia, non è qui descritto con tinte angosciose, ma come frutto di un dialogo tra elementi naturali e corporei: una sorta di diluizione nostalgica della densità di ciò che si abbandona verso un néant che, al contrario, è perchè è, perchè deve essere.
Altrove nella raccolta l'elemento rielaborativo e di riattualizzazione del ricordo vengono descritti con un approccio più deciso, sebbene pur sempre nostalgico, e diretto.
Un rivolgersi iniziale ad un tu impersonale che tanto richiama un io ben delineato; sia del poeta che del lettore, se di quella scrittura quest'ultimo è capace di mettersi in ascolto profondo.
È il caso della poesia, tratta dalla sezione "Il tuffatore di Paestum" che qui sotto si propone:
I giorni senza mente
obbidiscono alla distanza.
Ti sei perduto in una curva
scolpita nella vita
rimasta feroce.
Una vita intera
passata a bussare a una porta
a dimenticare me stesso.
Come avrete certamente notato, fino all'ultimo verso non è dato al lettore comprendere che questa poesia ha una struttura monologica, che il poeta, in altre parole si rivolge a un me stesso e non a un impersonale destinatario di quei pensieri.
E pare a chi vi scrive che questa scelta e cifra anche stilistica, solo stilistica non sia, ma anche etica.
Ovvero pare che questa scelta sia stata cercata dall'autore per lanciare un messaggio ben preciso su un tu che è anche io ed, allo stesso tempo, un noi (lettori).
Pare quindi che l'autore abbia scelto di donare a questa poesia uno spin particolare che, come diapason, risuona con le linee creative generali dell'opera, ovvero, come sopra si diceva, con una scrittura in cui il percorso narrativo è costituito da un movimento chiaro dalla propria interiorità alla percezione di un altro esterno, ma solo per poter far ritorno a un sé profondo dalle tinte nostalgiche tardo ottocentesche e allo stesso tempo, in un certo senso, postmoderne.
Una lettura profonda questa che non spiazza mai ma che al contrario permetta una lenta acquisizione di dati di comprensione sempre più fini, come se si fosse guidati nei primi passi da un'abile e amorevole mano di un maestro.
Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Daniele Ricci nasce il 21 giugno 1967 a Fano. Originario di Marotta, viene da una famiglia modesta (i suoi genitori erano sarti). Dal 1990 non abita più nel suo paese: per dieci anni, per motivi di studio, ricerche post universitarie e docenze, ha vissuto in varie città italiane ed europee; poi, all’inizio del terzo millennio, è tornato nella sua terra e si è stabilito a Fano, dove tuttora vive e insegna al Liceo classico.
I suoi interessi vanno dalle lingue e letterature classiche (si è occupato in particolare di lirica greca arcaica ed alessandrina) alla poesia contemporanea (ha compiuto studi su Ungaretti, Montale, su Umberto Piersanti ed altri poeti marchigiani). Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del nuovo millennio (fino alla nascita di sua figlia nel 2006) ha collaborato con alcuni periodici culturali. Nel 1998 ha pubblicato la raccolta di versi Lontananze (Montedit) e in questi ultimi anni sue poesie sono comparse in varie antologie e riviste letterarie.
Alla fine del 2022 è uscito il libro di versi Lezione di meraviglia (peQuod).
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