Lettere a una persona speciale - 71 - Aprile 2024 - "Un giullare"
Che poi lo sai. Mi basta chiudere gli occhi e dare spazio al senso che più mi parla o, forse, dar senso alla parola solo quando è figlia di un ascolto sovrano.
Sono lento e lenta è la mia intuizione, se e quando si manifesta.
E per farlo, lo sai bene, quel trillo che ogni tanto mi porta a pucciare piedini d'infante nel fresco fiume dell'Altrove, deve saper tagliare come forbice le dense coltri, le nebbie che mi offuscano il cervello.
Che vuoi che sia il mio sforzo di lombrico per drizzare una schiena che non posseggo alla ricerca dell'idea della luce?
Un canto? Un soffio? Un contatto fuggitivo con l'epitelio dell'amore?
E che dire di questo mio — troppo mio — sentirmi indegno delle parole che mi abitano, incapace di null'altro che non sia un balbettio scomposto?
O sì, mi prendo sempre in giro, e circumnavigo ogni giorno la circonferenza della mia seriosità crassa, per trovare un varco ove insinuare quell'ago che mi sgonfia l'ego.
Il «gioco di parola» è la mia via di fuga dal reame in cui battono forte le voci di guerra di un silenzio senza fine.
O sì, io muoio ridendo nell'ossimoro, nel paradosso di un'esistenza sempre monca, privata di sé stessa, nella quale le luci di stelle lontane e indifferenti trovano conforto nel riverbero di un faretto, in tinello, sul mio bicchiere di whisky.
È questo il modo di essere delicato al mondo e al mondo dedicato.
Non il tuo. Perchè tu sei figlia di una delicatezza seria e laboriosa che non necessita di alcuna ironia per essere, là, dove io, al contrario, per potermi definire ho bisogno di un mano sinistra che sbavi, passandoci sopra, sull'inchiostro del mio pennino.
La scrittura non mi ha mai pulito, lo sai.
Mi ha punito spesso, mentre io ridevo a crepapelle dei suoi castighi.
È una dea superba e altezzosa la scrittura, una regina; e io il suo giullare.
Non tu. Sei dea delicata, capace di rendere azzurro l'impuro e di mescolare l'indaco col cobalto con un solo sorriso, mentre io — a bè, in questo sono maestro — mi diletto a mescolare gin e tonica innalzando un canto da osteria alle pieghe di vita che porto sul volto.
Forse per questo io amo; non saprei fare a meno di quel tuo sguardo di tenero e accogliente rimprovero che mi vorrebbe diverso da ciò che sono, per il mio bene ma senza darmi troppe pene.
Delicatamente, così, come delicato è il nostro scriverci senza sosta affidando a un pubblico plaudente l'onere e l'onore di far da corteo ai nostri divertissements.
Tuo, sempre
Fedro.
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