(Redazione) - Figuracce retoriche - 17 - Epifrasi
di Annalisa Mercurio
Le
epifrasi non sono, come si potrebbe pensare, frasi di Epicuro.
L'epifrasi è la figura retorica del mese. Deriva dal
greco
ἐπιϕράζω
(epíphrasi), termine che viene spesso tradotto come aggiunta. Treccani, invece, riporta la traduzione che mi sembra più aderente
al caso: epifrasi = soggiungere.
Soggiungere
quindi, o meglio ancora, aggiungere qualcosa che soggiunge all’ultimo
minuto, come in questi versi di
Guinizzelli:
Verde
river' a lei rasembro e
l'are
Guido
Guinizzelli (Rime)
Sarò
come sempre irriverente - I’m sorry, Guido - e andrò a fare una
parafrasi personalizzata che mi permetterà di spiegarvi
meglio questa figura retorica.
Dunque,
le parafrasi classiche traducono il verso così: Le
paragono la verdeggiante campagna
e l’aria. Immaginiamo
invece un Guinizzelli con carta e penna alle prese con questo verso,
vediamolo assorto a pensare come descrivere la ragazza:
Paragono
a lei la verdeggiante campagna.
Guarda il verso, lo rilegge, manca qualcosa; il nostro Guido è perplesso, qualcosa non lo convince.
Dopo
una breve pausa di riflessione (come se Guido avesse
un’illuminazione), aggiunge: Ah
sì!
e
l’aria.
(Ah
sì
pensa sia meglio non inserirlo, ma certamente lo pensa).
Ecco, Guinizzelli, dopo aver aggiunto quel quid, è soddisfatto.
Passiamo
ora al seguente esempio:
Io
gli studi leggiadri
talor
lasciando e le
sudate carte
Leopardi
(A Silvia)
Questi
versi di Leopardi, tratti da A
Silvia, li abbiamo già
visti parlando di metonimia il mese scorso
(ecco a voi il link). E qui sento già il vociare: “E quindi? Deciditi! È metonimia o
epifrasi?” Keep calm.
Quel geniaccio di Leopardi ha usato in questi versi entrambe le
figure retoriche: per quanto riguarda la metonimia potete ciccare sul
link qui sopra, mentre, se analizziamo il testo cercando un’epifrasi,
vediamo che, come nell’esempio precedente, quel “e
le sudate carte”
sembra una cosa aggiunta in corsa, quando ormai la frittata è fatta.
Una dimenticanza aggiunta al volo, prima di chiudere. Insomma, direi
che possiamo paragonare l’epifrasi a una ciliegina sulla torta.
Proseguiamo:
Notte,
che nel profondo oscuro seno
chiudesti e ne
l'oblio fatto
sì grande
(Tasso, Gerusalemme
Liberata).
Dolce
e chiara è
la notte e senza
vento
(Leopardi,
La sera del dì
di festa)
d’una
clessidra che non sabbia ma opere
misuri
e volti umani,
piante umane.
(Montale,
Il rumore degli èmbrici,)
Avete
notato che in tutti questi casi l’epifrasi inizia con la
congiunzione “e”?
Usciamo
un momento dall’ambito letterario e immaginiamo una situazione
quotidiana come quella di chiedere a qualcuno di fare la spesa al
posto nostro: “ricordati di prendere il pane, il burro, le patate,
lo yogurt, il caffè e i biscotti” segue breve pausa… “e la
farina”.
Ecco che abbiamo dato vita a un’epifrasi casalinga.
Inoltre, se ci soffermiamo un attimo sulla lista, possiamo vedere che
è sia un'accumulazione (nel primo numero di figuracce retoriche
lo trovate qui)
sia un'epifrasi. Come dicevamo poco sopra, “two is mey che one”.
Vieni
a toccare la carne che rimane
dopo la tempesta
– mais pas la bouche –
dove
sboccia il sacro dei crochi.
Asciuga
le sorgenti, i canali oculari
– mais pas la
bouche–
tra
i denti il riverbero dei mali
l'acquolina
dei santi, le vie degli apiari.
Toccami
poi la fronte quando riappari
–
mais pas la bouche – vi conservo
l'eco
di spari e il morso che doma
ed
è culla del dolce. E d'amari sali.
(Annalisa
Mercurio)
P.S: il
ritratto originale di Guido Guinizzelli (il primo) è preso dal web,
i ritratti seguenti sono stati modificati dalla deficienza naturale - la
mia.
Bravissima. La leggo con piacere
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