(Redazione) - Passaggio in Grecia (Το πέρασμα στην Ελλάδα) - 01 - Konstantinos Kavafis e il tempo

 
di Maria Consiglia Alvino 
 

Il tempo: misera misura della vita umana, sabbia fuggevole, indistinta, mai attingibile. Come possiamo abitarlo è domanda antica e irrisolta, quasi ossessiva nelle liriche di Kostantinos Kavafis
Il poeta greco di Alessandria.
La poesia di Kavafis è, infatti, percorsa continuamente da una tensione oppositiva, vecchiaia-giovinezza, da cui si dipanano altre produttive e felici ispirazioni: piacere, inteso come puro eros, e sofferenza, luce e ombra, ricordo e dimenticanza, vita e morte. Il tempo non è indagato quale sostanza metafisica, ma quale oggetto umanamente percepibile solo nel suo sentimento, come malinconia e nostalgia, o, specialmente in riferimento alla storia antica, come memoria.
 In tal senso, la ricerca dell’istante perduto, in cui si condensa il significato di ogni vita, giustifica, peraltro, l’interesse per i personaggi e le vicende più minute della storia greca, in particolar modo di quella alessandrina e bizantina, e per i vinti, i traditi, i falliti di ogni tempo (cf. I Troiani, Oroferne, Idi di marzo), cui il poeta riserva proprio grazie alla poesia un ultimo atto di pietà.
 Anche quando parla di un momento o di una vita sola, Kavafis, lasciandosi ispirare dalla millenaria vicenda della sua città, Alessandria, ha davanti agli occhi la totalità dei momenti e la totalità delle vite. Per questo, per lui, un’ora o una vita – quell’ora, quella vita – vanno protette il più possibile (sua espressione tipica) dall’insignificanza: perché sono le sole che avremo avuto” (Nicola Gardini, in Costantino Kavafis, Poesie scelte, Traduzione di Nicola Crocetti, Introduzione di Nicola Gardini, Crocetti Editore, 2020, p. 8).
 Il tentativo di sottrarre la vita all’azione distruttiva del tempo procede attraverso una “retorica della verità”, che nulla lascia al non detto e pienamente si affida alla forza comunicativa della parola, più che ai simboli evocatori di nascosti significati di tendenza a inizio Novecento e che Kavafis, grazie alla cultura internazionale che aveva, ben conosceva. La realtà parla al poeta attraverso date (si vedano, in tal senso alcuni titoli estremamente precisi, quasi diaristici o cronachistici: Per Ammone, morto a 29 anni, nel 610; Giorni del 1903; Malinconia del poeta Iasone, figlio di Cleandro, a Commagene, 595 d.C.; Nel 31 a.C. ad Alessandria; Giorni del 1909, ’10 e ’11) e oggetti (lampade, balconi, specchi, candele), o momenti precisi del giorno, su tutti l’imbrunire e la sera, che consentono l’apertura di veri e propri varchi spazio-temporali attraverso cui le effigi (in greco eidola) di anni, quando non di secoli precedenti, giungono a ripopolare il reale, annullando ogni distanza ed accampandosi, infine, sul foglio scritto.
Come a dire che, in fondo, forse solo la Poesia è eternità.

 
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Dalle nove 1
 
Dodici e mezzo. È volato il tempo
dacché accesi la lampada alle nove
e mi sedetti qui. Sedevo senza leggere,
senza parlare. E con chi mai parlare
solo solo qui in casa. 
L’effigie del mio giovane corpo
dacché accesi la lampada alle nove
venne a trovarmi e rammentare
camere chiuse profumate,
e piaceri trascorsi – che piaceri audaci!
E in più mi riportò davanti agli occhi
strade che ora sono irriconoscibili,
locali pieni di movimento ormai spariti,
e teatri e caffè del tempo andato.

L’effigie del mio giovane corpo
venne a portarmi anche ricordi tristi,
separazioni, lutti familiari,
sentimenti dei miei, sentimenti
dei morti, tenuti in così poco conto.

Dodici e mezzo. Com’è volato il tempo -
Dodici e mezzo. Sono volati gli anni.
 
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Di sera

Comunque, non sarebbe durata a lungo.
L’esperienza degli anni lo dimostra. Ma la Sorte
vi ha messo fine troppo in fretta.
Fu così breve quella bella vita.
Ma come furon forti quegli aromi,
su che letto stupendo stemmo insieme,
a che piacere abbandonammo i corpi.

Un’eco di quei giorni di piacere,
un’eco di quei giorni ho risentito,
l’ardore della nostra giovinezza;
ho ripreso in mano una lettera
e finch’è mancata la luce l’ho riletta.

Poi, per cambiare pensieri, sono uscito
malinconicamente sul balcone, per guardare
almeno un po’ di questa città amata,
un po’ di traffico nei negozi e nella via.

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Candele

I giorni futuri stanno innanzi a noi
come una fila di candele accese –
dorate, calde e vivide candele.

I giorni passati restano dietro a noi,
penosa linea di candele spente;
le più vicine fanno ancora fumo,
fredde candele, ormai piegate e sfatte.

Non le voglio vedere; la loro forma mi rattrista,
mi rattrista ricordarne l’antica luce.
Guardo davanti a me le mie candele accese.

Non mi voglio voltare, vedere con orrore
come si allunga in fretta quella linea scura,
come su moltiplicano in fretta le candele spente.
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N.D.R: 1 -  Traduzione italiana a cura di Nicola Crocetti in Costantino Kavafis, Poesie scelte, Traduzione di Nicola Crocetti, Introduzione di Nicola Gardini, Crocetti Editore, 2020.
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Commenti

  1. Raffaele Ferrari27/5/24 19:11

    il tempo che va,che confligge con il nostro che resta e si consuma con noi -la malinconia del perduto,di quello che non avremo più

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