(Redazione) - a proposito di "Osicran o dell'Antinarciso", raccolta poetica di Saverio Bafaro (Il Convivio ed., 2024) - nota di lettura di Sergio Daniele Donati




Del mito di Narciso tutto è già stato detto, e tutto ancora si potrebbe dire, soprattutto in un'epoca come la nostra in cui, quantomeno in ambito poetico, è assai difficile tracciare una mappatura di scritture capaci di scardinare il rapporto autore-poeta/poesia.
Più volte, lo sapete, mi sono soffermato sulla necessità di ridefinire la poesia come fenomeno attraversativo cui il poeta partecipa, forse, più come ascoltatore e trascrittore di voci a lui estranee che come autore in senso lato. 
In ogni caso, che si vogliano accogliere teorie antiche di ispirazione etero-generata del poeta o che, più modernamente, si rimarchi della poesia il suo elemento sempre collettivo e plurale, una cosa è certa: urge, e sempre con maggiore impellenza, uscire in fretta dagli ombelichi dei poeti e cercare di ritornare ad osservare il mondo delle suggestioni e intuizioni che traduciamo, poi, in poesia. 
Questo è il senso profondo della raccolta di Saverio Bafaro che oggi presento - "Osicran o dell'Antinarciso", (Il Convivio ed., 2024), che traccia un vero e proprio percorso possibile verso un certo diluito oblio del poeta di sè stesso, a favore di una percezione più ampia e compiuta delle cose, del mondo che stimola la produzione poetica. 

Nel mattino chiaro
un raggio trapassa lento
il vetro di una colonia
siamo chiamati
a radere dal viso
un'esigua perdita
nel passaggio imprigionato
in bande che alternano
sogno a sangue

Il raggio della poesia trapassa il vetro spesso della nostra incapacità di uscire da noi stessi (e quel noi diviene colonia), e l'elemento di ogni mistica della parola - la chiamata - fa allora la sua comparsa. 
Un'esortazione, che io leggo come diretta al poeta, a tornare al Sogno (l'altruità per eccellenza - la lingua altra) e al Sangue (una corporeità sì, ma non individuale, oggetto di scambio genetico, di padre/madre in figlio/figlia).
Questa composizione, come potrete osservare, potrebbe divenire manifesto dell'intera raccolta, così come centrale, a mio avviso, è quella il cui testo qui sotto riporto.

L'immagine ferisce
come un pugnale
toglie il respiro
e lacera il ventre
lasciando defluire piano
una sangue denso
nella vasca del principio.

Ancora, forse, una descrizione del poetico che non è richiamo all'imago di sé -  e non riesco qui a non rimembrare Foscolo e alla sua definizione della morte come imago della fatal quiete - ma ad altro.
L'immagine, specie la propria, quella che Narciso vede riflessa nella pozza, ferisce e in profondità, e porta alla morte di ogni intenzione. 
E poi, ancora, sangue; un sangue denso che defluisce lento togliendo il respiro.
Dinamiche che, per negazione, definiscono cosa poesia non sia. 
e poi altre in cui il ritmo rallenta e ci si trova davanti ad altri paesaggi, in cui un filo di luce calda filtra, come in qesta che qui sotto vi proponiamo. 

Vai oltre la riva
con passo calmo
rallenta il respiro
snoda la barca
attraversa il fiume
e sentiti pieno
di tante parti
come tanti semi
davanti al Giardino
per essere pronto
alla grande visione:
«Ogni fiore è frutto
di una resurrezione»

Narciso muore nell'osservazione statica ed ammirata della propria imago e annega cadendo nella pozza che la riflette. 
Osicran (l'Antinarciso) ci esorta al contrario della stasi, ad un movimento fatto di passi calmi e di barche liberate dalle funi che le tengono fisse ad un immaginario molo, barche che, non sapendomi mai scostare dalla lezione dell'Alighieri, non posso che immaginare picciolette.

Dante Alighieri - Paradiso II, 1-7 («O voi che siete in piccioletta barca, / […] tornate a riveder li vostri liti: / non vi mettete in pelago, ché forse, / perdendo me, rimarreste smarriti. / L’acqua ch’io prendo già mai non si corse»).

Eppure qui Saverio Bafaro ci esorta a non svalutare il rischio di non prendere quella barca, perchè, forse, il senso di pienezza che porta a una vera e propria resurrezione, sta nella capacità di sapersi perdere, di saper, in altre parole abbandonare Narciso, per accogliere il suo alter-ego Osicran che in tutti noi batte per poter emergere e respirare.

Per La Redazione de Le parole di Fedro
Il caporedattore - Sergio Daniele Donati

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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Saverio Bafaro è nato a Cosenza nel 1982. Poeta, psicologo, psicoterapeuta e critico letterario. È stato redattore di «Capoverso. Rivista di scritture poetiche» per cui ha curato il numero monografico Omaggio a Pavese (Orizzonti Meridionali, 2019). Ha pubblicato: Poesie alla madre (Rubbettino, 2007), Eros corale (e-book sul sito www.larecherche.it, 2011), Poesie del terrore (La Vita Felice, 2014), Carte di Carne (Freemocco, 2023), Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio, 2024). Sue opere sono apparse all’interno di antologie come Quadernario. Calabria (LietoColle, 2017), di riviste letterarie come «Poeti e Poesia», «Testo a fronte», «L’Ulisse»; di blog di poesia quali blanc de ta nuque, bottegaportosepolto, Pioggia Obliqua, La Recherche, Le Parole di Fedro, Poetarum Silva, La Presenza di Èrato, Atelierpoesia, Carteggi Letterari, e sono state tradotte, ad esempio, nel «Journal of Italian Translation» (Bonaffini, 2021, vol. XVI, n. 2). Di recente ha curato la silloge postuma di Carlo Cipparrone Crocevia del futuro (L’arcolaio, 2021), la traduzione di Stickeen. Storia di un cane di John Muir (La Vita Felice, 2022) e Segni e Coincidenze – Catalogo della mostra di Mauro Magni e Giulia Napoleone con suoi testi poetici (Efesto, 2024).
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N.D.R.: poesie inedite di Saverio Bafaro sono già state pubblicate su Le parole di Fedro. Le potrete trovare cliccando a questo link
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