Estratto da “Prodigi” (peQuod 2023) di Anna Ruotolo - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

 

Un vero piacere - e onore - poter pubblicare un estratto dall'opera di Anna Ruotolo "Prodigi" (Pequod ed., 2023).
Una raccolta densa e piena di spunti interpretativi possibili, in cui un richiamo a un tu che si può immaginare allo stesso tempo sia impersonale che personale, quasi per paradosso, gioca un gioco centrale. 
Le ripetizioni, le anafore, le epanalessi, poi, creano spesso un  effetto di marcatura e sottolineatura, tipico di quelle figure retoriche, ma che nell'abile uso della poeta appaiono anche avere il ruolo di controcanto o, quantomeno di una lontana eco. 

«Dopo l’amore dopo l’amore dopo l’amore
accontèntati di ritrovare te che giace in te»

ad esempio è un esordio di poesia in cui il triplice richiamo all'amore non ha solo la funzione di rimarcare, ma pare essere e creare un gioco di rimandi per il quale al lettore resta un piacevole senso di stupito stordimento. 
Pare di trovarsi in una valle e sentire i suoni di ritorno di una scherzosa Eco. 
Le figure retoriche di cui sopra hanno, nel sapiente uso della poeta, dunque, un ruolo non solo nel determinare e amplificare l'attenzione su significati e significanti, ma, soprattutto una valenza sonora e timbrica. 
Un impianto simbolico del tutto originale, unito al canto di certe figure retoriche, rendono questa raccolta e, in genere, la poesia di Anna Ruotolo, una voce unica nel panorama della poesia contemporanea. 

Siamo dunque felici di potervi proporre questo estratto e di poter condividere con voi la scrittura di una poeta davvero unica e con una voce ben distinta e positivamente riconoscibile. 

Per la redazione
de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati


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ESTRATTO DALL'OPERA


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Cercare le parole più piccole
e più grandi
mettere le une in braccio alle altre.
Malceli anche tu la tenerezza
di vederle apparire come tenere
code e bandierine divorate di luce
dalla luna e dall’acqua.
Cercate le parole prime e semplici
– sempre piccole –
che non scendono mai, mai
dalle vostre braccia.

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Dopo l’amore dopo l’amore dopo l’amore
accontèntati di ritrovare te che giace in te
con i miei capelli e qualche
centimetro, però, aggiunti
sotto i tuoi piedi.
Tutto ciò che vuoi è ritrovarti.
E niente è come prima. Quando?
Dopo l’amore
è un accrescimento nuova cosa
scoppio fascio rottura d’uovo e di cristallo.
Terrai la conta delle cose che non saranno
uguali a prima. Tu dicevi no, non c’era spazio.
Ora in te conti tutte le mie dita.
Parli come a chi piovve sulla testa
lo spirito divino. Una lingua mia, un’altra voce.
Un’altra città.
Dopo l’amore.


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Una mano di piume

Un segno di bilancia ti sovrasta
vieni da un’orbita
che non si può predire

e ridi dalle fessure degli occhi
dei denti, delle mani
che porti davanti (e non togli).

Io che sono uno scorpione
ti cerco nei nidi, credo che tu sia
un’ala bianca, fulva che se ne va.

Ti prego, resta ancora finché cresco
insegnami la vita più leggera
tu che corri dentro e fuori il mare –

forse una mano di piume ti sostiene.

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Crescono i coralli ogni giorno.
La tua carne si riduce.

ORI BERNSTEIN

braccio a braccio
ho da dirti due cose:
dapprima che non c’è abbandono per te
né passaggio di notizie infauste
a primavera (tu sei immune, sei immune).
Due: sei tanto debole
che ti sistemo un’ala,

tanto forte
da riuscirci per me.


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Per tutta quell’età

Ci si affacciava dalla casa
l’unica che avevamo avuto
e l’incrollabile certezza, pure
avuta, di appartenere a tutto
per tutto avere fede
o per almeno un albero fitto
e, accanto, una scala
lunghissima e infinita
poggiata al tronco per tutta quell’età.


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Guardate anche voi
Solo che veniva la sera
e cadeva una voglia di essere
architetti fuori, più fuori
dai quadrati delle case e dei palazzi
e da ragazzi capita di fare
pietre di stelle e di fasi lunari
in una scatola smessa e bianchiccia
con le biglie speciali che costano
più di quelle che vinci ai tornei,
biglie profonde di azzurro e di argento
– fari larghi di mondo –.

E poi bisognava correre forte
andare da tutti
fare le porte un velo da stracciare
dire qualcosa come aver portato
nel secchio tutto il mare
nella botte senza più vino il cielo,
gridare: “guardate quanto è fitto e vasto
guardate anche voi, guardate!”.

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– Puoi venire qui vicino? Mi ricordo che c’era
un mare alzato ai nostri lati
e la tua piccola mano sfiorava le pareti
– E che succedeva?
– Toccavi abnormi ricchezze, il fianco dell’orca
e della murena.
– E avevo paura?
– Tantissima. Per questo pregavamo Dio di lasciarci
nel sogno, non ancora concepiti, dove ti tremolano
gli occhi di pietre azzurre, dove che venga pure tutto
il futuro,
noi non dobbiamo sbrigarci.

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Immaginando la morte di colei che scrive

Potessi descrivermi la mia morte!
Ma tu non vuoi,
dici che, tra tutti, è il gioco meno bello
e il più crudele
e che nemmeno tu che tiri ai dadi
potresti farlo mai
perché la mia morte avrebbe
carte stracciate e lottomatiche chiuse
corse dei cavalli annullate
azioni in ribasso
l’oro povero, l’argento mal considerato.

Giorno di umanissima catastrofe.

Invece io mi vedo proprio bella
aerea, repentina nei cambi di stato
nei luccichii dei varchi casalinghi
nel cammino funicolare sopra
le teste di tutti
nell’accarezzamento di qualcuno
che siede sulla mia sedia e piange
con la mia mano di niente
sulla guancia ignara e umido-lucente
che avverte, si spaventa, tace, poi riprende.
Io, per me, vorrei anche restare
ma il vento e i rumori astrotemporali
e tutto ciò che inavvertitamente arriva
mi porgono il mio biglietto intatto.
Meglio, dico! Più di tutte le altre volte
che mi hai veduta e avuta per davvero
più di tutte le altre volte, dico
ora e così c’è quel momento
che ti vengo davvero, davvero
dentro
dentro
più in fondo, là
nel cuore.

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Sul tuo petto esistono due porte
(poesia di ingressi, passaggi e uno stanziamento)

Sul tuo petto esistono due porte:

una a destra, l’altra che si sposta
dal centro verso sinistra

con la naturalezza dell’acqua fra l’erba
e dentro le nuotate d’estate
e tutte le perdite che un giorno,
presto, hanno inizio.

Così se apri l’una, l’altra è chiusa
e tale deve rimanere. Tale è il suo
ruolo e lo scotto. Allora mi chiedo
quale sia giusto spalancare
sugli orti che ti vedo nei nervi
e le colline che annuso nei muscoli.

Se prendo (e così è andata)
la strada per la prima, la destra,
si apre – perché si aprì davvero –
una vallata di cose nuove
e animali di specie inabissate
e metrature vaste e piccoli, calmi
terremoti dal giorno alla notte,
per avvisare dell’ordine perfetto,
per farmi entrare
nell’antro della pace.

Ma quando ho preso, una volta,
per caso e per dimenticanza
del nascosto e del privato
la tua porta del centro
un poco spostato
a sinistra e ho avuto nell’occhio
la luce che non può
tornare in quel modo due volte di fila

quando l’ho scostata piano, nemmeno
con furia perché mi sentivo pronta
a tutto, bardata da guerriero lucente

quindi entrando quasi senza fendere
l’aria, lasciando per poco l’impronta
nel vano (di certo come sarebbe
venuto a tutti di fare)
fu lì che la stagione invereconda

di tormente e sole a intermittenza
e il giro delle mappe e l’incostanza
dei territori che v’erano
e pure i suoni millenari sentìti
e i tamburi battenti da una costa
all’altra
mi atterrirono. Ebbi paura di quanto
tu potessi contenere, della moltitudine
della quale fosti padre, lo sei sempre
e non lo dai a vedere.

Invece – entrata – fece buio, quiete
la neve si fermò sull’ultimo nocciòlo
il giro di grammofono fu lento
la primavera ebbe la meglio,
il gioco s’assestò.

Trovai da sedere e da mangiare.
Da allora vi feci il mio luogo
ed ogni volta ritorno
– tu lo sai –
come nella casa delle più
mansuete tra le bestie,
come nel fuoco
dei più brillanti tra i ghiacciai.

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La tua carne rosa è una cattedrale
nell’ombra delle ore diciassette
distese sulla città del fiume spaccato
in due
e al centro il ciclo degli incontri
serali e prefestivi.

Sali anche tu verso il cielo
con le tue pietre salate e leggere.
Il tuo cuore è un salmo gradito
ma di Dio si prova l’assenza
e tutta la sua lontananza.

E così del tuo cuore.
Io ricordo la tua carne, stasera
e la tocco nelle pietre
la tua carne è a posto,
perfetta.

Ma il tuo cuore, il tuo cuore
si cerca come fa la cerva con l’acqua
sui monti del cantico
ed esco nella sera
e premo sul polso per sentire.

Il tuo cuore è una fede
cade nei tombini
cade nelle porte
va via nella primavera,
dimentica d’estate

il tuo cuore che resta nel silenzio
visita il centro delle strade
nel mio petto.
E porta una pietra azzurra
sulla quale io possa camminare.

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Prego ogni giorno per te.
E ogni notte.
Ogni notte e ogni giorno
di te mi ricordo.
Questo è facile.
È facile predire il bene
per chi si ama.
E chi si è amato?
Chi era in fila
e ora l’ha rotta
chi aveva iniziato
la trafila dei ritardi
e dei nuovi nomi
e dei funamboli
e delle osservazioni
del cielo caduto sulla terra
e poi è sparito
nell’orlo tremolante
dei lampioni?
Anche per quello si prega?
Anche per chi si è amato
e non si ama?
Il dente del cuore
morde il suo segreto.
Esci invincibile da ogni tormento
e tronco
e bulbo.
Ogni notte e giorno
e ogni ora del giorno
e della notte
si prega per il destino
di chi si è amato
e anche perché
il destino
ancora una volta
in un modo o in un altro
lo riporti da noi.

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Proteggici sorriso, vorrei dire.
Proteggici nel cuore dell’inverno
e nelle foreste nere che chiunque
e dovunque ha già attraversato.

Proteggici e rendici sempre
uguali a noi stessi
perché noi, nel tuo riflesso, lo possiamo.
Essere sempre identici e cristallini

come il rumore delle cose preziose
che cadono e non si spezzano
e tintinnano, come nevi azzurrine
e loro minuscoli scontri.

Proteggimi sorriso come quando
addosso portavo solo un peso
leggero e stringevo le mie mani
attorno al suo corpo piccolo e confidente

proteggimi come quando
stringevo la chiarità di Chiara
grandi nuvole oscure si ritraevano
e niente era difficile, niente.



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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Anna Ruotolo (Maddaloni, 1985) vive e lavora a Milano. Ha pubblicato Secondi luce (LietoColle 2009), Dei settantaquattro modi di chiamarti (Raffaelli 2012), Telegrammi/Telegramas (’round midnight 2016, poesie bilingue italiano/spagnolo, traduzione a cura di Jesús Belotto), Le stelle dormono a nord (Fara editore 2021), Te voi repeta în numele lucrurilor/ Ti ripeterò nei nomi delle cose (Eikon Cosmopoli 2023, traduzione in rumeno di Eliza Macadan) e Prodigi (peQuod 2023). Suoi testi sono apparsi in varie antologie, nelle riviste «Poesia», «Capoverso», «Poeti e Poesia», «Italian Poetry Review», «Gradiva», «La Clessidra», «UT» e, in traduzione di Jesús Belotto, sulla rivista internazionale «Poe +» e nell’antologia rumena di poeti italiani «Poezia» (traduzione e curatela di Eliza Macadan). Nel 2023 ha partecipato al format Raipoesia2022, a cura di Luigia Sorrentino.
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