Estratto dalla raccolta di Alessia Bettin "Appese a un chiodo ma vive" (Puntoacapo ed., 2024) - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

 


Le idee e le opinioni attorno a cosa sia la funzione della poesia sono tante quante sono le penne che poesia scrivono. E, in questo perenne stimolo e richiamo a degli eterni eppure che sfuggono a tale definizione, ci si sente a volte spersi e pare quasi che il senso critico, questa divinità crudele sul cui altare tutti noi ci immoliamo, si faccia freddo e distante.
Ma se c'è una cosa che la fortuna mi ha donato è di aver incontrato dei maestri che hanno saputo donarmi una regola aurea che vuole che io, affannosamente, sappia cercare e trovare qualità anche in linee poetiche molto diverse da quelle che io stesso adopero.

Io non l'avrei mai scritta così, mi diceva quel vecchio poeta di cui non farò il nome, ma, dio mio, quanto è bella. 

Leggere la raccolta di Alessia Bettin  Appese a un chiodo ma vive (Puntoacapo ed., 2023), ed apprezzarne la fine qualità sin nei midolli è stato per me proprio un po' questo; un profondo esercizio di estraniamento da me stesso, dalla mia idea di poesia per immergermi in una scrittura altra e percepirne la finezza e la funzione.
Ciò che in questa raccolta la poeta magistralmente ci racconta è il limite del vivere in termini descrittivi che non lasciano alcuno spazio al volo pindarico e alla sovrainterpretazione. 
Questo lo si coglie ancor più nelle composizioni più brevi, delle sorta di rune su pietre antiche.
Ve ne riporto alcune qui sotto

*
Per ripicca
ho lavato i denti al cane 
col tuo spazzolino

*
Cosa raccontano le tue occhiaie?
Potrei leggerle come il giornale

*
Oggi tutto mi sembra ostile
le lenzuola, le formiche

*
Non mi importa sapere
da dove tu venga
il tuo packaging è rassicurante

Sono queste composizioni brevi, quasi aforistiche, che dicono ciò che dicono e prendono valore dal loro essere, in un certo senso inconfutabili. Quasi prive si simbolo, con accesso celato alla figura retorica mai esasperato, ci narrano di una vita senza mezzi termini e ambiguità e lasciano al lettore un senso di completezza e ammirazione per una comprensione istantanea di cui si sente forte il bisogno.
Il simbolo appare maggiormente nelle composizioni meno brevi, in cui la poeta da spazio a voci differenti ma sempre votate a dire il vero.
E di questa necessità di dire il vero, o almeno il nostro vero, quanto spesso in poesia ci si dimentica, quasi che la parola non possa, e forse debba, essere anche veicolo di una verità urticante, e non solo di una fuga nel sogno edulcorante. 
Alessia Bettin scrive una poesia che potrei dire quasi diametralmente opposta alla mia, è una poesia di una semplice densità molto rara, una poesia che scardina dicendo, senza falsi appigli in un celarsi della parola a sé stessa. 
Ed in questo io ho sentito palpitare tutta la sua ossimorica qualità (l'ossimoro è sempre molto presente nei suoi versi) e, per questo motivo, io le sono doppiamente grato.
Per avermi ricordato, da un alto, dell'inutilità di cercare una definizione univoca della poesia e di saper cogliere qualità in ciò che si sente come molto distante da sé.
E per avermi ricordato, in seconda istanza, che seppur poetica, la parola deve mantenere in sé una scintilla di verità, foss'anche personale ed individuale. 
Alessia Bettin non scrive per giocare a rimpiattino col lettore, nascondendosi dietro le parole, ma per condurci a vedere lo stesso suo cielo, gli stessi suoi asfalti, le stesse sue ripicche e idiosincrasie che, quelle sì, sono patrimonio comune di tutta l'umanità. 
Una raccolta da non perdere davvero che merita davvero ogni onore delle armi proprio da chi avrebbe scritto diversamente ciò che lei con enorme maestria ha saputo scrivere.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati







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ESTRATTO DALL'OPERA

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Se chiudo gli occhi vedo il fieno bruciare
briciole di ferro e di alluminio
il cielo coprirsi di fumo
ma fuori i bambini continuano a ridere
a giocare

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Non le piaceva
stare in casa all'ora di cena
pazientare mettere l'eyeliner
fare la ceretta integrale
sedere dietro in auto
non essere sboccata
sapere di essere guardata
agire graziosa e contenta
nascondersi la bocca
con la mano mangiando
una banana
sopportare i silenzio
per il quieto vivere

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Preserva questo bambino
cielo di ghisa
scalda il suo cuore di legno
con le molotov
con la benzina

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come tanti
anche noi siamo
appese a un chiodo
ma vive
allora io dico
sbòzzolati fuori da quella vestaglia
lavati il viso e i capelli
spalanca gli scuri
ascendi alla vita
e vieni
nel mio anfiteatro di arbusti.

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Note biobibliografiche

Alessia Bettin è nata a Padova nel 1982. È laureata in Lettere e in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Ha pubblicato le raccolte di poesie Appese a un chiodo ma vive (Puntoacapo, 2023) e Ci aspettano estati tropicali, presente nell’ebook ESORDI I 2020 (Pordenonelegge, 2020). 
Ha vinto diversi premi letterari, tra cui il premio Esordi 2020 Pordenonelegge, il premio di poesia Coop for Words 2018, il premio speciale del presidente di giuria Bologna in Lettere 2019 per la poesia inedita e il premio Action4Land 2021 Seven Blog.




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