(Redazione) - Fisiologia dei significati in poesia - 02 - L’ A-posteriori del significato
Di Giansalvo Pio Fortunato
Si
sottolineava, nel precedente articolo, quanto fosse necessaria la
presenza di un percorso di uniformità e di resa comunitaria nella
denotazione specifica di ogni parola. Denotare
una parola,
infatti, significa – non a caso si usa questo verbo –
significarla,
in
un processo complessivo: se infatti significare implica l’emergere
di un riferito concettuale,
denotare ne esplicita l’individuazione,
quindi delibera il riferimento ad un individuo (leggi come quid
generico) e ad un individuo che resta costante. Questo implica,
chiaramente, che la denotazione
ed il significato rappresentano, sommate, l’interezza
dell’ontologia della parola. Ogni
parola, quindi, ha un suo riferito concettuale, che la rende parola
perché
ogni parola non può che essere concettuale (vedi come significato –
quindi come deittico semantico specifico -),
ed
un’alterità, ontologicamente altra, a cui fare riferimento. Questo
che cosa significa? Significa che ci troviamo dinanzi ad istanze
ontologiche distinte.
La parola stessa, infatti, non può essere separata dal discorso
sull’essere;
dove per discorso sull’essere
non
voglio alludere alla congiunzione ontologico – linguistica posta
magistralmente in essere da Martin Heidegger (seppur ineccepibile ed
essenziale), ma voglio parlare materialmente di un essere
e
di un manifestarsi
della
parola in quanto parola ed in quanto suono. È da questo assunto,
quindi, che viene fuori una conclusione estremamente banale, almeno
in apparenza, ma in realtà essenziale: la
parola è conosciuta prima come l’ampiezza di una vibrazione o
prima come un concetto (avente in sé il significato e la
denotazione)?
È
innegabile che la prima relazione della parola sia di carattere
prettamente sensoriale ed estetico [1]. È, infatti, nella semplice
deformazione vibratile dell’aria – deformazione dettata
dall’emissione di un suono – che siamo in grado di sviluppare un
primo contatto con la parola. Per cui, attraverso il semplice ascolto
presente, siamo in grado di recepire la parola come suono; ossia come
deformazione
del circuito / microcosmo d’aria che ci circonda.
Ma questo è realmente un semplice
ascolto presente?
A dirla con Husserl non di certo: non abbiamo fatto i conti, infatti,
con la ritenzione
[2], applicabile tanto al suono melodico quanto alla sequenza
di suono correlata ad ogni lettera.
Per cui, da come è comprensibile, esiste una natura – ed una
natura complessa – per la parola-suono che, in maniera evidente, ha
la preminenza
fisiologico-gnoseologica sul
significato
ed è in sé denotazione
della materia grigia di un significato.
Riflettiamo attentamente: la prima dinamica che si istituisce
nell’apprensione della parola casa
non è il rimando diretto al riferito casa
(al
significato che esso possiede), ma alla denotazione di casa
nella
complessità
vibratile / sonora di ogni lettera che compone la parola casa
e
che, secondo ritenzione [2], genera in noi il
suono della parola casa.
Questa dinamica, quindi, merita altri due chiarimenti: in primis,
questo, che sembra essere un meccanismo farraginoso e sequenziato,
avviene senza la nostra percezione cosciente, verificandosi con uno
scarto temporale assolutamente minimo [3]; in secundis, questo stato
in essere fisiologico certifica già la natura a-posteriori
del significato,
perché essa successiva ad una denotazione di matrice sonora (che è
anche referenza). In tale senso, ritornando alla questione ontologica
precedentemente accennata, è evidente che l’esistenza
sonora della parola è altro rispetto alla sua esistenza concettuale
ed è altro con tutte le caratteristiche essenziali che la
compongono, rendendola di essere distinto [4] e separato rispetto
alla parola-concetto.
Chiarita
questa dinamica, allora, si può porre l’attenzione alla
parola-concetto, partendo anzitutto dalla sua matrice
apprensiva.
Mentre, infatti, la parola-suono si relaziona ai sensi, la
parola-concetto completa l’apprensione comunicativa e lo fa solo in
una dinamica strettamente cosciente. Per intenderci, è la nostra
coscienza che, debitamente educata, riconosce a quella parola il suo
significato e non
può la coscienza relazionarsi alla parola-concetto se non come
parola-concetto,
perché è in quanto entità di significato, che la parola è
conosciuta / ri-conosciuta quale parola. Per cui nello
statuto ontologico della parola,
sperimentato dalla coscienza, la parola è solamente e
necessariamente parola-concetto, parola significante, parola
riferita. Tale matrice apprensiva non solo esemplifica lo stato
ontologico distinto della parola-concetto dalla parola-suono, ma ne
costituisce anche il suo essere a-posteriori.
La parola (da questo momento in poi sarà implicito che per parola
si intenderà parola-concetto),
infatti, è sia a-posteriori nell’estemporaneità del
ri-conoscimento, sia a-posteriori nel primo conoscimento. Cosa
significa? Significa che la prima conoscenza è una conoscenza di
matrice estetico-empirica; ossia è conoscenza basata sul semplice
vissuto della cosa (vedi come quid
generico).
E tale vissuto delle cosa è esperibile anzitutto per via sensibile
ed istintiva, rispetto alla quale la ricostruzione significante
rappresenta solo un passaggio successivo. Questo implica, quindi,
che l’essere umano, prima di poter arrivare
ad un’esistenza completa della parola (quindi alla sua
concettualizzazione), deve
prima esperire la cosa, quindi conoscere
la cosa attraverso i sensi e attraverso la reazione – estemporanea
e quasi estemporanea [5] – in virtù delle conoscenze e dei
significati già posseduti.
Solo successivamente, in virtù del completamento del vissuto, si
può completare l’ontologia della parola e, quindi, attribuirle
un significato. Per
comprendere meglio, facciamo un esempio. Ammettiamo, per assurdo, di
non aver mai conosciuto, prima d’ora, una casa.
Conoscere – in questo contesto - significa, rendendola molto in
soldoni, vedere; per cui il nostro assurdo è il seguente: Non
ho mai visto una casa
fino ad ora.
Vedo per la prima una volta una casa. Anche nel lessico quotidiano,
ciò che mi aspetto è anzitutto il vedere
la casa,
dunque la casa
esperibile (visibile – per esempio). Dopo aver visto la casa, torno
dalla mia famiglia e, entusiasta , spiego loro cos’è
una casa.
Per cui, chiaramente, compio una duplice azione: denoto
e significo.
Cioè? Creo, anzitutto, un percorso di individuazione, per cui la
cosa
così è così (con
quattro mura, il tetto, le finestre, le porte ecc…) è una casa e
nulla di diverso da questa specifica cosa
così è così sarà
una casa. Attuata la denotazione, ovviamente, si istituisce anche il
significato.
Significare,
infatti, rappresenta la pienezza di un riferimento; per cui, avendo
una parola, questa si riferisce – quindi, ri–chiama – quel
vissuto e, dunque, il viversi di quel vissuto. Da come si evidenzia,
allora, tale dinamica afferma l’a-posteriori
entro un circolo conoscitivo.
All’interno
di un ri-conoscimento, invece, è ancora vigente questo a-posteriori?
L’etimologia e l’ingegneria lessicale non tradiscono mai: il
ri-conoscimento
[6],
infatti, si genera da un atto di conoscenza successivo al primo atto
di conoscenza che poi va, conseguentemente, a determinare il
riconoscimento. Questo implica, ovviamente, una relazione di
consequenzialità necessaria e determinante, per cui il
riconoscimento ha luogo solo dopo
aver avuto luogo un atto primo di conoscenza,
un atto di esclusione dallo stadio dell’ombra. Non a caso – lo
accennavamo poco sopra – il riconoscimento è un ri-conoscere;
ossia
un atto conoscitivo che si presenta nuovamente attorno ad uno
specifico oggetto di conoscenza. Il riconoscimento, tuttavia,
possiede una natura diversa rispetto al primo atto conoscitivo: è
essenzialmente diverso,
perché diversa è la sua fisiologia e diversa è la sua validità
gnoseologica per la parola. Il riconoscimento, infatti, richiede una
conoscenza pregressa; ossia richiede che vi sia prima un’esperienza
della cosa, quindi lo sviluppo di denotazione e significato e, solo
a termine di questo, può
aver luogo il riconoscimento. Tale
dato genera, quindi, due effetti epistemici conseguenti:
- differenza epistemica tra conoscenza e ri-conoscimento: mentre la conoscenza è una relazione anzitutto sensoriale, il ri-conoscimento è relazione strettamente di coscienza; mentre la conoscenza è insieme che contiene il ri-conoscimento, il ri-conoscimento è sottoinsieme della conoscenza ed è contenuto nella conoscenza, mai viceversa.
- il ri-conoscimento ha una fisiologia distinta rispetto alla conoscenza.
È
questo l’ultimo elemento su cui soffermarsi, anche per rispondere
alla domanda dell’a-posteriori
del significato.
La fisiologia del ri-conoscimento, infatti, si inscrive entro
un’azione prettamente di coscienza, un’azione propriamente
intellettiva e concettuale. Essa, certamente, fonda il suo sorgere
nella relazione esperienziale, ma a questa relazione toglie
il potere costruttivo / creativo del significato. In
questi termini, per capirci, si instaura un meccanismo legale a due
livelli: la conoscenza
lega
l’esperienza ad un suo significato (sia
per la prima volta, sia per le altre volte),
il ri-conoscimento
lega la conoscenza prima all’esperienza (quindi
al nuovo atto conoscitivo)
e poi si lega al combaciare con la conoscenza prima corrispondente.
In tale meccanismo, allora, emerge visibilmente una successione
temporale (intesa come sequenza di due atti conoscitivi); una
successione che è determinante proprio per l’ultimo punto di
distanza tra conoscenza e ri-conoscimento: la vivacità.
La vivacità altro non è che una qualità
della conoscenza,
una qualità che può fortificarla o, in caso contrario, indebolirla
e annullarla del tutto.
La
stessa vivacità, pur non arricchendo di altro contenuto il
significato, gli
fa assumere una natura diversa, una presa conoscitiva diversa. Il
riconoscimento, infatti, avviene nel momento in cui il significato
1 (il nostro riferito 1) che è denotato rispetto alla parola A,
attraverso un’esperienza vissuta 1,
ed il significato
2 (il nostro riferito 2) che è denotato rispetto alla parola A,
attraverso un’esperienza vissuta 2, COINCIDONO.
Questa coincidenza / corrispondenza è la molecola costituente non
solo del riconoscimento, ma soprattutto della vivacità.
Per
cui si origina, come diretta conseguenza, attraverso il
riconoscimento, un duplice rafforzamento:
- della conoscenza: perché il ri-conoscimento ha dettato, a maggior ragione perché con circostanza di vissuto diversa, lo stesso contenuto di esperienza;
- del ri-conoscimento: perché esso è realmente un ri-conoscimento della conoscenza prima, non una nuova conoscenza; questa divenuta più solida.
Si
assume, insomma, attraverso il riconoscimento, la prova
inequivocabile – fino a controprova (ma qui si svasa nel campo del
credibile) – che il riferito ricostruito di una parola (quindi
l’ontologia stessa della parola) è quello e basta, avendo la
realtà dimostrato l’esattezza di quest’atto conoscitivo. Anche
in questa circostanza, allora, diviene specifica ed essenziale la
caratterizzazione a-posteriori
del
significato: esso non dipende forse dall’esperienza già vissuta
della conoscenza prima? E tale esperienza non ha forse ragione
d’esistere in virtù della nuova esperienza che si compie?
Questo,
allo stesso tempo, che cosa implica? Implica l’individuazione,
procedendo in climax, dell’esistenza
della parola sempre a-posteriori,
perché concludere che il significato sia a-posteriori significa
ammettere che la
materia stessa della parola, il suo fiato, sia a-posteriori [7].
______
Note:
[1]
per carattere
estetico
intendo, essendo già presente l’aggettivo sensoriale,
il suo significato moderno e contemporaneo: estetico
come
indagine sul bello
o, più semplicemente, intromissione del gusto (giudizio riflessivo)
rispetto al senso sonoro ed artistico della parola.
[2]
per ritenzione,
secondo
già le Ricerche
logiche (Husserl,
1900-1901), si intende l’intenzionalità sui
generis
che caratterizza l’apprensione di un suono. In tali termini,
disponendo di una apprensione non istantanea ma complessa, tanto
quanto la linea melodica, anche la sequenza sonora della pronuncia
delle lettere condiziona l’apprensione complessiva del suono della
parola. Non a caso, quando si pronuncia una parola troppo
velocemente, non ne si comprende correttamente il modulato. Fattore,
questo, che condiziona irreversibilmente la successiva fase dell’
apprensione, quale parola-concetto.
[3]
lo scarto
temporale assolutamente minimo
è possibile solo in virtù di un ri-conoscimento (sensoriale e
contenutistico). Questo significa, per esempio, che se mi è
pronunciata una parola in una lingua che non conosco – dunque, se
apprendo una parola-suono che non ho mai appreso prima – questo
scarto si interrompe per la mancanza di un ri-conoscimento sia
sensoriale che, a maggior ragione, concettuale. Ecco perché si fa
particolare difficoltà ad apprendere, come prima volta, parole –
per esempio – di altra lingua.
[4]
per essere
distinto,
avendo una riduzione estremamente pragmatica ed utile all’analisi
del fenomeno parola, si intende la semplice esistenza,
non l’interezza della ricerca ontologica, soprattutto se di matrice
heideggeriana. Non a caso, esso è indicato come essere;
non come Essere.
[5]
per il quasi
estemporaneo vedi
Genealogie
verbali – Parole di Fedro, 6 marzo 2024. Lo trovate qui
[6]
il ri-conoscimento,
pur essendo un atto di coscienza, è applicabile sia all’azione
sensoriale che a quella concettuale. Per cui, può essere
riconosciuta una parola-suono, tanto quanto una parola-concetto.
Esso, infatti, si origina ed ha ragione di essere in virtù della
memoria,
che è conservazione inalterata e non procreativa dei vissuti.
[7]
precisiamo che, in questo articolo, non si vogliono definire i
termini epistemici e teoretici dell’a-posteriori.
Quindi, questo assunto conclusivo è individuato, accettando e
condividendo l’intera storia significante dell’a-posteriori;
ma superando volutamente le diatribe su alcuni giudizi analitici
a-priori (come Dio o il tempo e lo spazio), che pur sempre rientrano,
però, in una parola e nel suo campo di esistenza (significante).
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