Sei poesie di Gualberto Alvino con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

 
 
 
È sempre più raro riscontrare in poesia un incontro, che  dovrebbe invece essere felice, tra pensiero, simbolo e riflessione sull'esistenza. Questo può avvenire soltanto quando la scrittura poetica è accompagnata da una tensione alla conoscenza che non si privi di afflati filosofici e tendenze al ripiegamento positivo della parola su un questionamento che riguarda la sua stessa radice, funzione ed esistenza. 
È sicuramente questo il caso della poetica di Gualberto Alvino in cui anche l'elemento meramente decrittivo - in senso più che positivo - degli esordi di alcune poesie è portatore di un altro fecondo. 
Oggi abbiamo l'onore di presentarvi sei poesie del Poeta che a mio avviso hanno capacità di segnare tratti del tutto peculiari.
Facenti parte, come si diceva delle  raccolte R[h]ethorica novissima - Il ramo e la foglia Edizioni, 2021, e Sala da musica. Trenta lezioni di poesia amorosa Il Convivio, 2022, le poesie che oggi presentiamo si caratterizzano per questo sapiente richiamo al pensiero e alla conoscenza, stando però sempre a contatto con l'osservazione di un certo déroulement della vita nella sua quotidianeità.
Ed è proprio l'osservazione di questo svolgimento vitale che porta alla riflessione ed al pensiero.

Sono una poesie di una certa lunghezza e durata nel senso che anche il grande Peter Handke dava alla parola, in cui la cura per l'elemento quotidiano del vivere si trasforma in una sorta di visione che, come la struttura stessa dei componimenti dimostra, non necessità di interpunzioni, e si può permettere di richiamarsi a simboli matematici ed a sigle del linguaggio comune e dei social (i.e. IMHO, x e y per definire degli individui, ed altro) ma che allo stesso tempo dimostrano appieno l'immensa capacità del poeta di richiamarsi ad una storia della poesia che, per estrazione culturale e professionale, non gli è certo estranea. 
Pare poi a chi vi scrive, non me ne voglia l'autore se mi sbaglio, che i versi finali delle singole poesie siano portatrici di una certa ironia che crea un piacevole effetto positivamente deviante dalla serietà e profondità delle poesie, cui si resta comunque ancorati ma con una sorta di sguardo laterale rinnovato. 
 
Per concludere, una poesia colta e di livello molto raro da riscontrare; una poesia che chi vi scrive vorrebbe incontrare molto più spesso nell'attuale panorama della poesia contemporanea che pare aver in parte dimenticato -  e lo si dice con dolore vero -il legame tra parola poetica e pensiero, quasi che l'elemento emozionale, che può essere uno dei motori di un certo poetare, possa definirsi sufficiente a sé stesso, anche se privo di una rielaborazione mentale, psicologica, simbolica di un accaduto. 
 
Una poesia da seguire con attenzione dunque che noi della Redazione de Le parole di Fedro siamo onorati di poter condividere con voi e di poter ricambiare, in questo piccolo modo, il dono ricevuto dal poeta Gualberto Alvino.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
 

Poesie tratte da 
R[h]ethorica novissima, prefazione di Francesco Muzzioli, Roma, 
Il ramo e la foglia Edizioni, 2021.

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Regard

si vede una camera d’albergo paggi cinesi persino
un salon de coiffure listato a lutto nella hall turisti
svizzeri parlano tutte le lingue si vede
una lampada al neon come quelle
delle vecchie stazioni inghiottire
lo spazio migliaia d’antenne
si vede la ragazza capelli rossi dura
tale un pugno dardeggia sguardi d’ardesia
d’intesa si vede a destra la spiaggia dai 100 pali
a sinistra l’atroce ocra dei volti stesi
sui sassi in plenaria incoscienza si vede
il rumore assoluto perché tutto trema
perciò si vede e poi si vedono
i nasi che aspirano i nervi vibrano divorano
annientano soldati seduti al sole poco
prima di mezzogiorno attraverso i vetri
delle corriere macchiati d’impronte la strada
piena di fiori a morto le volte
delle chiese puntellate si vede l’orizzonte
avanzare bisogna fare grandi
sforzi per non vedere come dall’alto
di una torre i nostri doppî formicolare
a scatti nell’aria ferma basta seguire la pista

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De senectute

poetica sicut retorica fu elaborata
in termini cristiani disse a occhi chiusi
le lettere da stampar libri fànnosi
d’una composizione di tre parti
di stagno fuso e un’ottava parte di piombo negro
e un’altra ottava di margasita d’antimonio fusa
noialtri passionati per gramaticha si bada
a come le parole suonano non significano ma il suono
è tuttavia polpa l’unica sostanza
nonostante le intervenute raschiature il palinsesto
è perspicuo e carico di stile basta elidere
passato futuro fermare il cronografo all’attimo in cui
la voce si sgrana la faccia sempre più somiglia
a quelle di mamma papà mescolate
la stempiatura a sinistra il giallore della chiostra
certe macchie non c’è verso la testa assume
via via la forma del teschio il numero degli anni
si fa osceno pelle dura come
roccia sedimentaria clastica compatta o terrosa
talora scistosa per strati concentrici come un
pulcino dentro l’ovo sfiora appen’appena
l’impiantito lì in fondo contro il verde del grano
messo a macerare non s’ha mai voglia
di vedere altro anche se poi si sa
poi tutto s’accomoda par d’essere stati
sempre vecchi terre brulle ormai
altro che fumigare d’azzurro in polle
d’acqua limpida e ferma oh bel cittino
quanta irruenza incontrollata di crescere

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Prima della cosa

guarda che succede lì fra la terza e la quinta
hanno come dei marchi non so dei graffiti dai colori
arsi li avranno fatti con l’unghie
lì fra la testa e il collo
che pieghe carnose
rosse vien voglia di
pare d’averle in bocca
non vorrei dirlo ma si abbracciano
guarda
intrecciano le dita come se tra loro corresse chissà quale
certi si baciano succhiano non lo dànno a vedere
l’elementarità animalesca l’incedere
goffamente ardito il prorompere
canino degli ossi pullulano liquami vanno
tornano sempre più insistenti
si slaccia la cravatta fingono persino
stanchezza pur potendo incollarsi interi quarti
ci scommetterei tutta la mia
chi non conosce la loro forza uno
porta piano la palma alla bocca mostra
la doppia fila l’avorio scintilla
un diamantino come vedi basta
un niente perché tutto s’ingrani
nella giusta chiarezza è come
il lampeggiare un mobile gioco di luci
d’ombre la volontà di far accadere
una cosa a dispetto di
non dà luogo a alcuna certezza
guarda
arcuano i gomiti lì al vertice tra i distributori e il fanale
un pupazzo appeso al balcone un basto di doni
si grattano le ciglia mettono le mani
a conca col gesto che da piccoli ricordi?
ti sei cacciato in un bel guaio
credevi uscirne illeso poter facilmente doppiare
la cima invece ci sei dentro con tutte le
guarda
non vorrei dirlo ho perfino paura di
svelto
scendi nel retro c’è una porticina verde dai cardini
non è più quella di un tempo
la sala costumi ha un odore forte ci abbiamo
passato intere stagioni là dentro col conte
calvo dal lobo mozzo a la manière de
un attore di farse dalle mille voci l’inseparabile
pastrano ci scavava gli ombelichi con la punta
del mignolo dopo averci colato
dentro un po’ di sputo anche d’estate
chissà da quanto non ci pensi
lo vedo da come ti si secca
la lingua che parlano è graziosa mi allarma il loro
oscillare ostentando un certo quale
ci vorrebbe un bite nel cervello per non digrignare
le sinapsi sono state recise credo ormai da parecchio
che succede? dicono qualcosa
specie quello alto colla spilla di rame
sul dorso la lingua triforcuta
un ronzio cela il viso nel bavero dando scontato
a quanto pare che abbiamo già benché
sappiano fin troppo bene non vorrei dirlo
ma è come se ci vedessero una parla
frasi sospese tali ernie dischi di fuoco
sembra un ladro a messa con quel suo
modo di curvare le spalle l’issarsi sulle punte
quasi camminasse sull’acqua un testo corrotto
è pur sempre un testo supponiamo per dire
lo sguardo dardeggia
che l’unico superstite sia stato x piuttosto che y
ciò non comporta nessuna modificazione
si tira un dito
lo schiocco
se per sbaglio ha scritto una parola mentre
intendeva scriverne un’altra
i sensi dell’opera non sono affatto inesauribili
c’è sempre un punto in cui l’universo
deve per forza riportare in nota le lezioni
divergenti in linea di pura astrazione
più o meno esplicitamente
quale chi somniando vede
tutta una parte e la più calda
di gran lunga più affidabile
non capisco perché dovrei usare vocaboli miei
per trastullarli non capisco davvero
ce ne sono già pronti e quanti
basta insufflarli
specie dove ogni distinzione viene meno
ma è sufficiente qui l’aver compreso
sorrise parolette
suntuosi edifizî
soccorre il modello del piede piagato ovvero
la questione del cignale supino
il problema di che significhi volontà
se un testo viva di vita propria
suscettibili di più interpretazioni
imho
non certo infinite


Poesie tratte da

Sala da musica. Trenta lezioni di poesia amorosa, prefazione di Luigi Matt, 
Castiglione di Sicilia, Il Convivio, 2022


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La buona critica

non riesco a sentire che dici
tu mi senti? rilàssati ho solo bisogno di una cosa
la vita è andata ma un bruscolo
ancora dura nella macchia che lasciasti
minima smarrita in tutto quel bianco
che al solo vederla vacillò l’universo
entrasti impietrita e poi la luce accesa
il buio la musica la mano sul fianco ricordi?
la vita è andata ma un minuzzolo
resta brilla ne racchiude un’altra
certo di brevissimo corso
l’età avanza a gran falcate
tuttavia rigoglia la senti?
borborigmi sussulti bambini
da schiantare le pietre
i manoscritti li guarderò più tardi
nessuna buona critica senza filologia
o l’inverso meglio l’inverso
non è più tempo di postille
varianti alternative segni diacritici
ricopiature in pulito l’atroce scelta
tra lezioni concorrenti
la macchia non è sparita
resta la gora
un’ombra appena

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4 maggio
 
prenditi l’oro
espropriami la casa
confiscami il terreno
coltivalo a orzo e saliva
abbranca gaia i ricordi
di questa breve stagione senza vento
fanne pietre miliari per figli e nipoti
tramutali in talenti da dissipare
nei meriggi di quiete quando
amatrice del ben parlare
mostri foto nel taglio di luce
a un millimetro dai miei denti
lodi il mio passo
e implori la mano
anche per un corto tratto
in penombra 

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Dorso fiato vento

spogliare un codice non è cura dappoco
ci vuole tatto carézzane il dorso
palpa le iniziali per esempio A S P
ma bada a non irritare la pelle
trattieni il respiro fondilo al suo
più fiato che vento
più bacio che fiato
spìane accorto le reazioni
l’umidore è il sintomo primo
significa prendimi e allora
volta le pagine con soffî mirati
vige la più grande confusione
usano i più svariati segni convenzionali
traggono piacere anziché darne
discerni il piano del testo
dal piano delle postille al testo
trascrivi senza furia ogni singola parola
considera il ritmo la cadenza
férmati più e più volte
e ammira la celeste armonia dell’insieme
annota su un foglio indicazioni
di lavoro dubbî autocommenti
esamina il ductus la diversa lestezza
con cui è tracciata una lettera
prediligi il meno
abbi orrore del troppo 


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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
 
Gualberto Alvino si è particolarmente dedicato agli irregolari della letteratura italiana, da Consolo a Bufalino, da Sinigaglia a D’Arrigo, da Balestrini a Pizzuto, del quale ha pubblicato in edizione critica Ultime e Penultime (Cronopio, 2001), Si riparano bambole (Sellerio, 2001; Bompiani, 2010), Giunte e Caldaie (Fermenti, 2008), Pagelle (Polistampa, 2010), nonché i carteggi con Giovanni Nencioni, Margaret e Gianfranco Contini, tutti editi dalla Polistampa. Fra i suoi lavori più recenti la curatela di Sconnessioni di Nanni Balestrini (Fermenti, 2008), Peccati di lingua. Scritti su Sandro Sinigaglia (Fermenti, 2009), «Come per una congiura». Corrispondenza tra Gianfranco Contini e Sandro Sinigaglia (Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2015, 2022), Per Giovanni Nencioni, con Luca Serianni, Salvatore C. Sgroi e Pietro Trifone (Fermenti, 2017), i romanzi Là comincia il Messico (Polistampa, 2008), Geco (Fermenti, 2017) e Pelle di tamburo (Caffèorchidea, 2021), le raccolte di saggi critici Scritti diversi e dispersi (Fermenti, 2015), Dinosauri e formiche. Schegge di critica militante (Novecento, 2018), il monologo teatrale La Perfetta (La Mongolfiera, 2021), le sillogi poetiche Rethorica novissima (Il ramo e la foglia, 2021) e Sala da musica (Il Convivio, 2022). Nel 2023 ha pubblicato per Caffèorchidea Maledetta grammatica e nel 2024 per Carocci Scritture verticali. Pizzuto, D’Arrigo, Consolo, Bufalino.
Suoi scritti poetici, narrativi, critici e filologici appaiono regolarmente in riviste accademiche e militanti (tra cui «Strumenti critici», «Studi e problemi di critica testuale», «Filologia e critica», «Studi di filologia italiana», «Italianistica», «Studi linguistici italiani», «Filologia italiana», «Ermeneutica letteraria», «Letteratura e dialetti», «Giornale storico della letteratura italiana», «Moderna», «L’Immaginazione», «Il Caffè illustrato», «L’Illuminista», «Fermenti», «Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca», «Microprovincia», «Avanguardia», «Alfabeta2», «In limine», «Italian Poetry Review», «Per leggere», «Malacoda», «il verri», «La lingua italiana», «Steve»), di alcune delle quali è redattore e referente scientifico.
Collabora stabilmente con l’Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani) con recensioni e rubriche. Dirige la collana «Vallecchi/Italianistica».

 
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