Wislawa Szymborska, la sublime “virgola antiquata” di Maria Pia Latorre
Siamo molto lieti di poter accogliere su Le parole di Fedro un prezioso intervento di Maria Pia Latorre a proposito della grande poeta Wislawa Szymborska.
Per al Redazione de "Le parole di Fedro"
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
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“Avrei
preferito non parlare con la Storia, ma la Storia è venuta da me”,
queste parole della poetessa americana Joy Harjo sarebbero forse
molto piaciute a Wislawa Szymborska e ben si addicono alla visione
che si è andata costruendo della sua opera.
La
grandezza della Szymborska ci è arrivata come una eco, quando nel
1996, tanta fu la sorpresa per l’assegnazione del Premio Nobel,
attribuito all’esile donna dell’Est, fuscello dall’espressione
appuntita ma ad un tempo rassicurante, come sa esserlo la nonna della
porta accanto.
La
sagoma iconica che di lì a poco ne è scaturita è un perfetto
cocktail di simpatia e mistero; così l’elegante donnina con
cappellino e occhialini ha fatto il giro del mondo imprimendosi
nell’immaginario collettivo come l’apprezzata poetessa che oggi
conosciamo.
Un
successo che è andato sempre più crescendo, vuoi per la
straordinarietà della sua parola, vuoi per la diffusione dei mezzi
di massa, tanto che oggi la ritroviamo in territori sempre più
inaspettati, lontani dal mondo della poesia, come nel film “Cuore
sacro”
di Ozpetek, dove, dalla borsa del personaggio della ladra, salta
fuori un suo libro di poesie, o come in una canzone di Jovanotti o in
numerosi romanzi in cui viene spesso citata. O come fa la scrittrice
polacca Olga Tokarczuk (anche lei premio Nobel), che per stima e
profonda amicizia ha regalato ai lettori tanti aneddoti e ricordi
legati all’insigne connazionale. Wislawa era brillante,
imprevedibile, scanzonata, bizzarra e amava i romanzi di Olga. Molte
le affinità tra le due scrittrici, dall’anticonformismo alla
comunanza nelle scelte di vita, dalla stretta relazione con la natura
e gli animali all’originale capacità d’indagine di topoi
come il mito, la storia, il viaggio e il sogno.
È
certo che la Szymborska è stata una colonna portante della
letteratura del secolo scorso, divenendo, nell’ultimo ventennio, un
vero e proprio caso letterario, così come è certo che il futuro non
potrà prescindere da lei.
Il
nobel russo Brodskij l’annovera insieme a Milosz ed Herbert tra i
maggiori poeti polacchi di tutti i tempi e considera la poesia “La
fine e l’inizio”
tra le cento migliori poesie del secolo. La stessa Anna
Achmátova stringe con lei amicizia e ne traduce i
testi permettendone
una circolazione negli ambienti culturali russi. Le poesie della
Szymborska
cominciano così a diffondersi prima nell’Europa dell’Est,
sopratutto in Bulgaria, poi in Francia, dove la poetessa si reca per
scambi culturali.
In
Italia viene accolta favorevolmente grazie all’intuizione
dell’editore Scheiwiller e alla caparbietà del poeta e letterato
Pietro Marchesani, che ne diventa
il fedele traduttore. È del 1993 la “Fiera dei miracoli”, il
primo
volume
pubblicato da Scheiwiller,
ormai raro e fuori commercio, contenente poesie provenienti da
raccolte diverse della polacca. Tra Marchesani
e Szymborska
nasce
una bella amicizia che, nel corso degli anni, si arricchisce
di reciproche visite e che fa
del polonista il suo traduttore ufficiale in Italia.
In
patria, invece, a partire da “Per
questo viviamo”,
le raccolte, undici nell’arco di un cinquantennio (davvero poche,
in verità), sono state accolte da alterne sorti e questo si spiega
soltanto accostando la biografia dell’autrice alle vicende
politiche della Polonia, sopratutto a partire dagli anni del secondo
conflitto mondiale e ancor di più, dal 1952, anno in cui Szymborska
si iscrive al Partito Operaio Polacco, fondato solo quattro anni
prima.
Wislawa
nasce a Kornik, il 2 luglio 1923. La tenacia e l’impegno politico
la portano a conoscere intellettuali e scrittori tra i quali Adam
Wlodek, che sposa nel ‘48 e con cui va a vivere presso un ostello
di letterati. Da lui divorzierà sei anni dopo. Nella Casa
degli scrittori
sperimenta la vita di comunità e inizia a comporre limeryck (testi
poetici nonsense).
A Wlodek si era rivolta per far pubblicare le sue prime poesie, ma,
ritenute troppo brutte, vennero cestinate o tagliate e rimaneggiate.
“Szukam
slowa”
(Cerco
la parola)
è la prima poesia in assoluto, pubblicata nel ‘45 su Dziennik
Polski;
ad essa faranno seguito numerose altre poesie che confluiranno nella
prima raccolta “Per
questo viviamo”.
La
tessera del Partito Operaio Polacco le apre la strada alla carriera
di redattrice prima e di direttrice poi presso la rivista nazionale
Życie
Literackie
(Vita letteraria), così come la restituzione della stessa tessera,
nel 1966, la chiude. Szymborska
viene prima
declassata e poi licenziata.
Dietro
la tessera di partito tutta la vicenda politica ed esistenziale della
poetessa,
che in un primo momento crede nel socialismo reale di matrice
sovietica,
ma lentamente comincia a prendere le distanze dalla politica di
governo del suo Paese,
fedele stato satellite dell’U.R.S.S.
Quando,
il
14
gennaio 1964, un gruppo di intellettuali polacchi, guidato da Antoni
Slonimski, firma
una Lettera
contro la censura e la limitazione della libertà di parola dei
sistemi totalitari, Wislawa si schiera con
il governo, aderendo ad una raccolta di firme che rema contro la
Lettera.
Per oltre un decennio Szymborska
aveva dato il suo pieno contributo alla propaganda di regime e aveva
goduto dei benefici
dell’attività di stalinista convinta, ma è
l’ultima volta che sta dalla parte del regime.
Un
altro episodio ben più grave era accaduto nel ‘53, quando aveva
appoggiato il processo intentato contro alcune decine di sacerdoti di
Cracovia accusati di spionaggio in favore degli Stati Uniti. Il
processo si era concluso con tre esecuzioni e numerosi ergastoli.
Possiamo
solo immaginarlo l’intimo dramma che la scrittrice si trova a
vivere, se è vero che vietò per sempre la ripubblicazione e la
diffusione delle sue due prime raccolte “Per
questo viviamo”
e “Domande
poste a me stessa”,
e più volte cercò di giustificarsi pubblicamente per quel passato
politico che visse, in seguito, come un’onta sulla coscienza.
E
questi sono probabilmente i motivi per cui in patria non è stata mai
pienamente apprezzata, soprattutto rispetto all’altro grande suo
contemporaneo: Czeslaw Milosz, il quale preferì l’esilio
all’asservimento al regime, dando prova di coraggio e coerenza e
che oggi, a tributo dell’intera nazione, riposa a Cracovia, nella
Cappella di San Stanislao, accanto alle altre illustri personalità
del Paese. Tale privilegio non sarà attribuito alla Szymborska,
che riposa modestamente nella tomba di famiglia.
Possiamo
condividere
la solitudine della
poetessa,
combattuta tra ruolo e coscienza, alla ricerca di una coerenza che le
avrebbe permesso di costruire una
nuova scrittura,
ma solo dopo aver sciolto
i nodi dei
condizionamenti che
la tormentavano.
Libertà
che si conquistò con fatica,
a pugni serrati, una sigaretta dopo l’altra (era
accanita fumatrice) cominciando con l’abbandonare, nel 1963,
la comoda Casa
degli scrittori,
ritenuto ormai covo di regime, per andare a vivere da sola in un
appartamento che ribattezzò “il cassetto”, a
causa delle
microscopiche dimensioni.
Forse
sentì, periodicamente, freddezza e isolamento intorno a sé, tanto
che spesso
tornava
a Kornik, sua città natale, dove poteva sempre contare su un gruppo
di fedeli estimatori che la apprezzava.
Poi
venne la stagione del disgelo, coincidente con i primi viaggi in
Europa occidentale. Wislawa prende sempre più le distanze dal
governo, tanto che le viene vietato di uscire dai confini nazionali.
La
poetessa
non ama viaggiare e accetta
di buon grado.
Dirà che in
tal modo
evita noiose premiazioni
e asfittiche serate cerimoniali.
Prende
sempre più le distanze dalla politica attiva e, anche se invitata,
negli anni Ottanta
decide di non iscriversi a Solidarnosc, sindacato dei lavoratori
fondato da Lech Walesa, dichiarando di voler essere semplicemente
una simpatizzante. Anche questa decisione viene giudicata
negativamente
dall’opinione pubblica. In
quegli stessi anni inizia per lei la stagione dei premi, che la
porterà al successo letterario sia in patria che all’estero fino
all’assegnazione del Nobel.
Come
non
riconoscere
la grandezza poetica della Szymborska?
Certamente
il
suo maggiore merito
è legato
alla capacità
di parlare universalmente e di parlare ad ognuno di noi senza mai
dare risposte certe, ma utilizzando il metodo del problem
solving,
ponendo, dunque,
domande profonde che ci vedono tutti intimamente
coinvolti.
Ma
cosa ce la fa tanto amare? Szymborska ha posto nella sua poesia
ingredienti vincenti, che tengono inchiodati al
testo, a partire dalla semplicità del linguaggio che aggancia
una complessità che compare improvvisa,
all’accettazione della vita, vissuta sempre con meraviglia e mai
con angoscia e disperazione, al contatto continuo tra quotidiano ed
assoluto, al tono colloquiale che le permette di entrare in immediato
dialogo col
fruitore.
Il
suo profilo poetico scivola su una leggerezza mentale ed espressiva,
tra vitalità e brillantezza, con caratteristiche di unicità, a
partire dall’autoironia, all’ironia, alle catene di nessi che
elegantemente sa collocare nei sui testi, alle costruzioni dei
paradossi, ai cambi di tono, ai ribaltamenti semantici e di
prospettiva, creando, così, strutture poetiche che rasentano la
perfezione.
Sono
persuasa che il lavoro di cesello che Szymborska
ha compiuto sulla sua parola non sia stato un lavoro di potatura e
asciugatura, quanto piuttosto una precisa ricerca per
sostituzione
ed aggiustamento, come si fa con i pezzi di una scacchiera durante
una partita.
L’algido
rigore dell’Est
ha fatto da legante regalandoci
testi come “Foglietto
illustrativo”,
“Un
parere in merito alla pornografia”,
“Autotomia”,
“La
cipolla”,
“Pi
greco”,
“La
mappa”
e tanti altri capolavori che restano pietre miliari della letteratura
mondiale.
Salutiamo
la sublime “virgola
antiquata”
con alcuni versi tratti da “La
mappa”,
una delle sue ultime, pubblicata in Italia da Adelphi, nel 2012, anno
della sua morte: « Amo
le mappe perché dicono bugie./ Perché sbarrano il passo a verità
aggressive./ Perché con indulgenza e buon umore/ sul tavolo mi
dispongono un mondo/ che non è di questo mondo».
Maria Pia Latorre
La mappa
Piatta come il tavolo
sul qual e è posata.
Sotto – nulla si muove,
né cerca uno sbocco.
Sopra – il mio fiato umano
non crea vortici d’aria
e lascia tranquilla
la sua intera superficie.
Bassopiani e vallate sono sempre verdi,
altopiani e montagne sono gialli e marrone,
oceani e mari – di un azzurro amico
sui margini sdruciti.
Qui tutto è piccolo, vicino, alla portata.
Con la punta dell’unghia posso schiacciare i vulcani,
accarezzare i poli senza guanti grossi,
posso con un’occhiata
abbracciare ogni deserto
insieme al fiume che sta lì accanto.
Segnalano le selve alcuni alberelli
tra i quali è ben difficile smarrirsi.
A est e ovest, sopra e sotto
l’equatore, un assoluto
silenzio sparso come semi,
ma in ogni seme nero
la gente vive.
Forse comuni e improvvise rovine
sono assenti in questo quadro.
I confini si intravedono appena,
quasi esitanti – esserci o non esserci?
Amo le mappe perché dicono bugie.
Perché sbarrano il passo a verità aggressive.
Perché con indulgenza e buon umore
sul tavolo mi dispongono un mondo
che non è di questo mondo.
(Trad. Pietro Marchesani)
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NOTIZIE BIOBIBLIOGRAFICHE
Maria
Pia Latorre, insegnante,
autrice di narrativa e articoli di letteratura giovanile. Vive
a Bari. È
stata cultrice di Letteratura dell’Infanzia (Uniba).
Ha
partecipato a esperienze di didattica della scrittura, a cura del
prof. C. Laneve, in Quaderni
di didattica della scrittura.
Sue
poesie sono presenti in diverse antologie. Dal 2021, insieme a Ezia
Di Monte, scrive
la rubrica di poesia Pane
e Quotidiano
(Quotidiano di Bari).
Ha
curato la rassegna di poesia “Inediti
percorsi”,
per la stagione artistica 2023-2024 di Puglia Teatro – L’Eccezione,
a Bari.
Curatrice
delle antologie L’isola
di Gary, L’isola di Gary - Paesaggi di guerra e di pace e
L’isola
di Gary - Mutevoli grafie della Terra e
delle attività dell’omonimo gruppo. Collabora con riviste e
litblog. È collaboratrice de L’enciclopedia
delle donne.
Coordina la fanzine Materìa.
È presente ne La
poesia delle donne in Puglia.
Tra
le sillogi
L’enigma dei crochi e Flamenco e cioccolato.
Ha partecipato a Scatti
di poesia 2023,
di L. Angiuli e G. Pavone. Ha curato con F. Preziosi 12 puntate della
trasmissione Versipelle.
È presente in The
Tiger Moth Review
(n 9, Pennsylvania, USA, 2023), a cura del prof. W. Allegrezza
(Indiana University). Sue
poesie sono state tradotte in inglese, greco,
spagnolo
e polacco ed è membro di giuria in concorsi di poesia.
Cura
il premio per l’Infanzia Con
Giorgia per la vita.
Nel 2023, insieme al fotografo F. Giacopino, ha allestito, a Bari,
presso la Biblioteca De Gemmis, la mostra Esemplare
l’umano e
pubblicato l’omonimo libro foto-poetico.
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