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Visualizzazione dei post da luglio, 2024

Estratto tratto dalla raccolta "Memoriali bianchi" (Edizioni Smasher, 2014) di Emilia Barbato - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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      È un vero piacere per Le parole di Fedro potervi proporre un estratto dalla raccolta di Emilia Barbato  " Memoriali Bianchi " (Edizioni Smasher, 2014). Sono poesie in cui l'idea dell'intimità trova incontro felice con la possibilità di un richiamo ad un  altro  che nel caso della poeta in esame appare molto fertile.  Ciò è evidente già dalla prima poesia "Scena prima" in cui la poeta immagina, in un dialogo con il poeta Chlébnikov, gli effetti di un amore in cui le sensazioni sono quelle dallo stesso grande poeta descritte, con un effetto di leggerezza finale, che contrasta - e crea poesia per  questo - con le immagini di clamore e scalpore evocate.  Interessante poi nella poesia Noi , dai versi brevi ed incisivi, l'effetto creativo (e in un certo senso ri-creativo) di un suono ( sillaba) che si lega alchenicamente alla terra e di una poesia/poeta che, portatore di luce - forse quando sillaba da suono diviene significato proprio questo...

Inchiostri e polsi

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Allora mi pareva che quel domani fosse stato scritto in blu da pennini crudeli e che il mio distratto ruolo in quel gioco perverso fosse di sporcare l'incerto polso adolescente sull'inchiostro ancora fresco di speranza. ______ Foto e testo - inedito 2024 - di Sergio Daniele Donati 

Due poeti allo specchio (Giorgia Mastropasqua e Sergio Daniele Donati)

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    di Sergio Daniele Donati Da quelle terre proviene il mio grido. Dall'immnesità del pulviscolo giallo l'inerzia della sentinella e la lama in un fodero blu, di pelle di biscia. Nella stasi la legge del mutamento, la poiana in cielo e la serpe per terra; resto immobile a contare del deserto i respiri. La voce che fosti allora è tornata oggi in sogno. Non domandare, nemmeno in quel regno, perdono. Io sono figlio di sale, guardia dell'abisso. Guardo e non mi è ormai concesso il rimpianto. Posa la mano sulla roccia piuttosto ed ascolta quanto laceri lo sterno la voce di un bambino che muto muore. di Giorgia Mastropasqua   A te vorrei svelare il poco che ho capito rasenta raramente le conquiste del senso condiviso, è il cristallo di un';anima, mi dico. Nella notte che avvampa il mattino ha inizio l'ultima stagione. Hai visto quel fastello di voci mormorare nel lucore dell'onda? Hai letto il sentiero nascosto nella rovina carsica di sabbie infinite? Noi tracciamo...

Gemma (un dettato dalla Voce)

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Foto di Sergio Daniele Donati La gemma ha una striatura cui  il tempo ha donato il  giallo . Ne osservo il canto che mi dice fossile ancora capace di respiro nell'involucro d'ambra. Fuori i cori cui la mia voce fa da eco cieca, mentre si sperde in nordiche nebbie  d'alba il mio desiderio di crepare  quella parete. _____ Testo - inedito 2024 - di Sergio Daniele Donati

(Redazione) - Dissolvenze - 33 - “Sogna il bicchier d’acqua, tace il calendario”

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  Di Arianna Bonino   “ Sogna il bicchier d’acqua, tace il calendario ”* Ho ventidue anni. Doveva avere questo aspetto in autunno anche Cristo a questa età; ancora non portava la barba, era biondo e le ragazze lo sognavano, la notte.   (“ Ritatto ”, Miklós Radnóti, 11 ottobre 1930) Albrecht Dürer, " Autoritratto con pelliccia ", 1500, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera Quando diversi anni fa ho attraversato l'Ungheria, non ho pensato alle fosse comuni. Abda, per esempio, è un posto tranquillo che ogni giorno si sveglia sulle rive del fiume Rábka. Una delle innumerevoli fosse comuni riempite di giustiziati durante la Seconda Guerra Mondiale si trovava proprio in quel posto tranquillo. Quando in quel giugno del 1946 la fossa di Abda viene riaperta, tra gli altri corpi che vi si trovano c’è anche quello di Miklós Glatter, ucciso, come gli altri, il 4 novembre 1944, come gli altri con un colpo alla nuca. In quasi due anni ne succedono di cose, di cose ne succ...

(Redazione) - Passaggio in Grecia (Το πέρασμα στην Ελλάδα) - 02 - In viaggio. L’Odissea di Nikos Kazantzakis

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  di Maria Consiglia Alvino Anima, la tua patria è sempre stata il viaggio! La virtù più fertile al mondo, la santa infedeltà, segui fedele tra risa e pianti, e più in alto sali!   N. Kazantzakis, Odissea, XVI 960-962 Traduzione italiana di N. Crocetti In estate forse più che mai accade di trovarsi di fronte ai propri confini e infiniti mari; allora, come un miraggio, riappare Itaca lontana, le orecchie si aprono a profonde Sirene e il cuore scalpita per il desiderio di nuove partenze, nuovi approdi. Non c’è allora che da ritornare al personaggio di Odisseo, alle sue mille facce, alle sue mille voci che ancora ci parlano. Ben lo sapeva Nikos Kazantzakis (Iraklion 1883 – Freiburg in Breisgau 1957), che ne ha fatto l’ispiratore della sua, tutta nuova e originale, Odissea , tradotta in italiano da Nicola Crocetti nel 2020. Composta tra il 1925 e il 1938, l’Odissea di Kazantzakis è un’opera complessa e multiforme, come il polytropos eroe che la percorre nello spazio di 24 canti...

(Redazione) - Fisiologia dei significati in poesia - 03 - Poiesis: analogia di una gestazione (Parte 1)

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  di Giansalvo Pio Fortunato La specificità di esistenza della parola e del suo significato rappresentano elementi essenziali per una definizione ontologica non della semplice opera d’arte, quanto per l’identificazione del peso d’essenza che l’opera d’arte possiede. Quest’affermazione, alquanto criptica, deve quantomeno secernere un grado razionale [1] di consapevolezza, potendo addirittura salire – in climax – ad una chiara esortazione morale di responsabilità verso l’opera d’arte. Essa, infatti, non incarna banalmente una produzione; o meglio: incarna una produzione, ma entro un significato tanto più universale, tanto più ampio, tanto più metafisico. Dinanzi a quest’ultima affermazione non si deve in alcun modo scadere – precisiamo - in misticismi o cognizioni miracolistiche di sorta, ma si necessita e bisogna calarsi entro una matrice che sappia apprezzare l’inestricabile fisica / fisiologia dell’opera d’arte rispetto alla problematicità ontologica [2] . In tali termini, allora...

Prosa poetica

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  Foto di Sergio Daniele Donati Abbiamo costruito cattedrali pagane attorno ad un cielo di sabbia e dimenticato le formule  che risvegliano dei nostri epiteli la muta intuizione. E restiamo orfani in un deserto privato di simboli che si ribella all'assenza di parola perché incapace d'ascolto del silenzio. E scriviamo su fogli che non odorano di papiro o pergamena e accecano di un bianco innaturale, così che il segno d'inchiostro non sia più portatore del sacro ma il frutto del più grande abbaglio. ______ Testo di Sergio Daniele Donati  

(Redazione) - Fatuari - 03 - Dondolii e smembramenti

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  di Diego Riccobene   Apancoméne era l’epiteto arcaico attribuito a un mito legato alla sfera di Dioniso e Arianna. La fanciulla Erigone, «colei che è nata all’alba», creduta epigonale della Signora del Labirinto presso l’isola rocciosa di Ikarion, era figlia di Icario/Iacchus (anche lui alter-ego: di Bacco, naturalmente). Costui portò il dono del vino presso quelle selvatiche contrade e in segno di gratitudine i pastori autoctoni, dopo aver libato il delizioso liquore e caduti nell’ebbrezza più detrimentosa, lo uccisero selvaggiamente e lo seppellirono. Una delle narrazioni eziologiche che riguardano la diffusione della vite in terra ellenica riporta il curioso fatto che la prima pianta di siffatta genìa fosse nata dal tumulo del dio. La sventurata fanciulla sua figlia, accompagnata dalla cagna Maira (o anche, nel corrispettivo maschile, Sirio) trova il cadavere del padre dopo una lunga erranza e, prostrata dal dolore della perdita, secondo una sinistra versione della vic...