Poesie inedite di Annalisa Barletta - con nota di Sergio Daniele Donati

 


Annalisa Barletta è poeta che Le parole di Fedro ha già con piacere ospitato (troverete qui il link)
La sua poesia è in piena evoluzione e crescita, come dimostrano i numerosi inediti che oggi abbiamo il piacere di proporvi, certi di un vostro apprezzamento. 
Quella di Annalisa Barletta appare essere una poesia che, partendo dall'esperito giunge al simbolo, con una ammirevole e rara nonchalance attraverso l'uso di forme retoriche  quali l'elencazione e l'accumulazione capaci spesso di creare dei crescendo che lasciano al lettore una sensazione di dolce stupore. 
L'uso sovente, poi, della prima persona singolare, appare qui più uno strumento di questionamento e domanda che un mero artifizio retorico. 
In altre parole la poeta appare rivolgere ad un Sé incerto la richiesta che la parola sia capace di sciogliere la domanda che le batte forte in petto.
D'altronde nella poesia finale di quelle qui presentate la poeta chiarisce  ogni suo rapporto con parola e poesia. 
Ne riporto qui sotto il testo.

Della poesia mi piace
la fede nell’irrecuperabile;
il desiderio interdetto
tra attesa e retorica:
l’indicibile nulla sospeso
tra la contingenza delle tue dita;
la fralezza del consistere
nella trafittura della pagina

corpo di minima voce
sussurrato a labbra spente 
 
C'è ovviamente un che di antico nel definire la poesia come atto di fede, ma qui non pare un mero vezzo di richiamo della poeta, bensì una precisa presa di posizione e postura  nell'eterno questionarsi attorno alla natura della poesia. È questa una poesia che contiene una vera e propria poetica sulla quale si potrebbe indagare. 
Restiamo pertanto in attenta osservazione della evoluzione di una giovane poeta certi che saprà donarci frutti sempre più ricchi e profondi.

Per la redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati

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POESIE INEDITE
__________
Certi cieli si attraversano
sul confine della foglia
e l'ulivo promana tutta
la stirpe degli elementi,
la presunzione dell'essere
materia nella vulgata dello spirito.

E tu affondi dove più rossa
l'effigie è sconsacrata,
strisciando un abbozzo
nella muta del divenire.
 
__________
Ho lasciato ad una carta di appunti
l’ala fortuita della lampada;
chiede impazienza a raccogliermi
le mani in ombra di preghiera
che trema, in un fodero
di porta richiusa.

È dell’ala sulla notte
il sogno nel cerchio della lettera;
reclama un piumaggio di luce
alla fame che crescesti
prima di sperderti
nell’avidità del tuo buio.
 
__________
Misuro i giorni
sulla falce dei ricordi,
tagli che solo la pelle
soffre in femmina custodia;
li trattiene una genetica
di cellule che resiste
alla parca dei lavacri.

Ogni ora ti acquisto al silenzio
in questo sghembo accartocciarsi
del sole
e
se ti attendo, è un origami
di geografie leggere alla perdita.
 
__________
Parca la misura nella questua
dei giorni; scivolarti nelle tasche
degli impegni è stato un gioco
di quando ero bambina
e rinunciavo al pane dei giudizi,
e fame era un ostensorio
e preghiera la gola;

un permesso alla trasgressione
dell’amore: la trasparenza
di questa mia pelle.
__________
Sollevami dall'ossesso del cesello,
dalla carta leziosa la precisione
metafisica della nomenclatura;
petrosa è la fattura della pelle,
sorda vuole esserti la mimesi
della miniatura: il significante
al significante e l'allegoria
una colla di pesce per le tue
adulterazioni auerbachiane.

__________
Mi chiedo dove si attraversi indenni
l'ora in cui in destini si abbandonano
alla voracità della colpa, alla tenebria
della nepente che all'inferriata
ripete l'addio e disseziona la polpa.

Mi chiedo che fanno ancora vivi
i tuoi gesti nelle teche dei miei occhi,
ora che la memoria è un campo di miche
ma tu seguiti a figgere l'orma profanata
dell'erma dopo la battaglia.

È l'ora in cui esistere è cedere
all'abbaglio della lampada
e far solecchio al tuo nome
se intorbidare è salvezza, l'enigma
del favo che stilla amara la notte.

 
__________
I tetti lo sanno
quanto larga dista
la serietà delle braccia
dall'alterità dell'ala;
quando sventagliano
le spalle in preghiera
nera è perché l'ermo
della sera nasconda
il sasso, disperda l'ubbia
e schiuda il boccio
alle labbra, il ladro
degli amanti. 
 
__________
Amore ti dicono le rose morte
sotto la cornice del sudore
tra il piattino dei portaspilli e le sigarette
lasciate a fumare ricordi d’equinozio
e attendere giacche per il gelo.

È di oggetti come questi
che si sta occupando il cuore:
i tuoi occhiali e un giradischi
suona note d’abisso.

Tu, spegnimi gli occhi
sulle ragioni della luce e sognami
in questa notte di mondo ferale.

__________
È tardi per parlarsi,
stanchi in questa grammatica
di direzioni che portano
ai musei di insicurezze incustodite;

ché non si può vivere con il sudore
alle mani vuote nella luce
di chi ha acceso l’artificio
a frangersi di insoddisfazioni.

Tu hai perso l’orologio
dei significati e per l’estate
hai fissato un’ipoteca
sull’ombra che non verrai,

io, in questa spoglia di cielo,
ti ho conficcato
all’ora in cui per tessere
tendo ancora l’ago
al nostro tramonto.

__________
Ci si abitua presto,
ci si abitua a tutto,
a quest’angolo di guerra
che non è mai cambiato
con le nostre facce tirate
a lucido a segnare
questi trarupi di confine
tra la bambina che gioca
la sua ultima carta al caramello
e una madre che stilla
a brani latte di lupo.
 
__________
Siamo solo
questa immensa nullità
di bagagli dimenticati
sulla stiva dell'universo
nell'endometrio del faro
a stare di guardia
per ritornare carne stellata,

sorte di chi va a originarsi
nel promontorio delle notti.

 
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Della poesia mi piace
la fede nell’irrecuperabile;
il desiderio interdetto
tra attesa e retorica:
l’indicibile nulla sospeso
tra la contingenza delle tue dita;
la fralezza del consistere
nella trafittura della pagina

corpo di minima voce
sussurrato a labbra spente

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