(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 33 - Le lettere sono i mattoni della creazione? Alef e Bet
di Sergio Daniele Donati
Dice la mistica ebraica che le lettere dello Alef-Bet preesistessero alla Creazione e che le ventidue lettere (ventisette, ove si considerino le Sofit) stesse siano, in un certo senso i mattoni della Creazione.
Non è mia intenzione addentrarmi nei meandri di disquisizioni filosofiche e di ermeneutica pura che occuperebbero interi tomi e affrontare argomenti che, pur avendoli studiati per decenni, mi sento del tutto impreparato ad affrontare con la serietà che meriterebbero.
In questo breve saggio però vorrei incuriosirvi su un metodo possibile di interpretazione.
Mi scuserte quindi il tono parzialmente ironico; serve solo a me, per non sentirmi inadeguato.
Immaginate un universo non ancora creato, in cui capeggiano tenebre ed abissi ed un vento divino (Ruach) svolazza come un'intenzione non ancora espressa sui volti delle acque.
Questo è il prima della creazione, il prima di quel detto [יְהִי אוֹר (yehi-or) - il fiat lux da cui tutto ebbe origine].
Dopo di allora universo e storia in un certo ebbero inizio.
Ma una cosa è un atto creativo, altra è la descrizione di quello stesso atto creativo.
E allora vediamola la prima parola della narrazione quel Bereshit (all'inizio, nel principio, al cominciamento) della narrazione biblica.
E questa parola, estremamente pregnante nel pensiero ebraico, inizia con la seconda lettera dello alef Bet, ovvero la Bet.
Mi raccomando non vi sbagliate, l'ebraico si legge da destra a sinistra, quindi la prima lettera di BERESHIT è ב.
Come mai? Non sarebbe stato coerente pensare che la prima parola iniziasse con la prima lettera dello Alef - Bet, la Alef (א)?
Le spiegazioni all'arcano, sedimentatesi nei secoli, sono migliaia. A voi ne sottoporrò solo una che mi pare più interessante per chi si interessi di parola.
La Alef è lettera muta, afona, prende il suono della lettera che la accompagna.
Rappresenta in un certo senso il grande silenzio di attesa che era prima che l'Olam venisse creato.
Un silenzio denso, imperscrutabile e non raggiungibile. Perché?
Basta vedere la struttura grafica della Bet (ב) e ricordarci che Bet in ebraico significa "casa".
E, in effetti se la guardate bene, ha un soffitto, un pavimento, una porta aperta nella direzione della narrazione (da destra verso sinistra, ricordate?).
E soprattutto ha una parete portante invalicabile, verticale, tra soffitto e pavimento; a destra.
Perchè?
Perchè di ciò che è prima della creazione, di ciò che è prima della prima lettera della narrazione della creazione non si può narrare.
È dunque il limite sacro di inconoscibilità, il che è come dire, amici miei cari, che "possiamo conoscere solo ciò di cui si può narrare, dire, parlare".
E perchè parlo di sacralità?
Perchè, in fondo, su questo limite, si costruisce l'uomo e, in un certo senso, anche il poetico.
Tutto sorge dalla consapevolezza che esiste un altro, un altrove, un altro tempo, ma che non tutto è descrivibile, narrabile, conoscibile.
E l'uomo che si costruisce su un limite strutturante e strutturale è l'esatto contrario del superuomo che pretende, rimanendo un omuncolo dal braccio destro anchilosato e teso dalle sue facili certezze, di spezzare l'idea stessa del limite.
Quel Bereshit, se vogliamo, è un monito anti-nietzschiano che parafrasando il grande filosofo tedesco ci porterebbe a dire: umano, fortunatamente limitatamente umano.
E, badate bene, l'elemento del limite nel pensiero ebraico non coincide mai con l'idea di resa, di umiliazione, ma, al contrario, con l'idea del campo di crescita.
Il piccolo David non abbatte il gigante Goliath, nonostante la sua piccolezza, ma grazie alla sua piccolezza, che sa far divenire grandezza e non limite.
Ricordate la storia? Il re Saul gli propone di indossare la sua sacra armatura, ma egli rifiuta.
Perchè fingersi grandi e possenti quando nel più piccolo degli atomi è già presente ogni potenza immaginabile?
E questo salto nel campo del limite che influenza può avere in poesia?
Davvero non lo vedete?
Davvero non percepite che tutte le metriche, i limiti dei fogli, la finitezza della parole e degli inchiostri, le misure della tela (per dirla in termini pittorici) sono il campo in cui la creazione è possibile?
Abbiamo un bisogno vitale di quel limite per creare, per permettere il contatto degli epiteli con l'altro da noi. Ogni pelle è sia limite tra me e l'altro da me che luogo di scambio.
È questo un pensiero umile?
No affatto, né umile, né umiliante.
Al contrario, è per me la prima descrizione dell'entrata del sacro nella creazione, e nella sua narrazione.
E l'uomo che conosce questo limite invalicabile e comincia a muoversi nella corretta direzione della narrazione (da destra a sinistra) è un uomo destinato a percepire ogni fine passaggio, da lettera a lettera, in 22 balzi, dalla comprensione che un neonato può avere nel focolare che lo ospita alla più fine conoscenza e sapienza.
Si può pure percorrere all'inverso e tornare, figliol prodigo, nel ventre della Bet, ma la Alef e quel suo silenzio maestoso sono e restano intuibili dall'uomo, ma mai perfettamente conoscibili.
Le lettere sono i mattoni della creazione? Si, direi.
E la calce, l'argilla sacra, è quel silenzio che crea lo spazio della nostra crescita nella parola.
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NOTA DI REDAZIONE
Al link che segue troverete qualche riferimento allo alfabeto ebraico. Da non perdere sono gli interventi del biblista Paolo De Benedetti sulla simbologia dell'alfabeto ebraico. Li potrete trovare al seguente link. Più percorsi poetici nella struttura simbolica dell'alfabeto ebraico sono proposti in questa pagina da Sergio Daniele Donati, qui di seguito i link:
5 - Il quinto Alef-Bet (per binomi) - ancora in completamento
Qui troverete un breve saggio di Sergio Daniele Donati sulla funzione delle lettere ebraiche nel pensiero e nella parola non solo ebraica.
Qui, invece un articolo di Sergio Daniele Donati sulla relazione tra Alef-Bet e idea di perdono
Qui troverete il video frutto dell'elaborazione del gruppo di studio sullo Alef Bet diretto da Sergio Daniele Donati.
Infine, per sorridere un po' vi si propone la lettura del microracconto La danza di K, di Sergio Daniele Donati, in cui le lettere hanno una giocosa presenza nell'esistenza di un uomo. Il racconto, rielaborato e rieditato, assieme ad altri e a dialoghi, tra un padre e un figlio, è stato poi inserito nel romanzo del medesimo autore Tutto, tranne l'amore (Divergenze ed., 2023 - sotto la mirabile direzione di Fabio Ivan Pigola).
Molto interessante grazie
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