"Un tempo infinito" - Amore, tempo e morte nella lirica di Angela Anconetani Lioveri - Nota di lettura di Manuel Omar Triscari

  

 
In questa breve nota di lettura mi soffermerò su tre parole chiave: amore, tempo e morte. Tre monadi che nell’opera sono intimamente connesse e interdipendenti. In “Solo orizzonte” di Angela Anconetani Lioveri (Controluna, Roma, 2024) il contatto fisico con il corpo dell’amore è infatti già ricordo nel momento stesso in cui avviene ma è forse l’unico strumento, accanto alla scrittura, che ha il soggetto erotico per ingannare (solo per un attimo) la morte. 
Nei frammenti di contatto umano tra due corpi che si amano (o che si sono amati) l’animo innamorato, preso da una passione che diviene folle anelito di eterno, annulla nella mente il senso del tempo e la presenza della morte. I momenti dell’amore sono quindi fuori dal tempo e sono gli unici istanti in cui il soggetto psichico domina la realtà e vive concretamente il sogno, l’illusione e la sospensione dei rapporti con il regolare fluire dei giorni. 
Tuttavia il tempo irrompe con prepotenza anche in questo spazio d’amore fendendo con assoluta determinatezza e risoluta determinazione la condizione di felicità e così riportando l’autrice con i piedi per terra. 
Con dolorosa constatazione (ma concretissima) la silloge avvisa che quell’istante d’illusione dolcissima è appena distinguibile e che non solo non si può ingannare il tempo e la morte, ma anche che l’amore, unico rimedio possibile, è pur sempre un frutto bacato, avvelenato dalla presenza del serpente del tempo. Non c’è nulla che l’assonnato serpente del tempo non riesca a scovare: a volte tocca con la lingua il cielo, altre scivola sui corpi di due amanti lasciando tracce corrosive che molto presto si rivelano indelebili. 
 
<<D’onde tanto pessimismo?>> si domanderà il lettore. Bene, essendo ogni lettura, anche la più critica e fondata, già una interpretazione, forse questo pessimismo dipende più dal mio sguardo che da una reale intenzione dell’autrice. Ma tant’é: a me pare che il filo che separa la vita dalla morte, per quanto sottile e impercettibile possa sembrare, è sempre l’orlo di un baratro incolmabile. Ma sempre per me la morte è qualcosa di impalpabilmente leggero, come quella polvere che la cameriera spazza via quotidianamente dalle camere patinate degli alberghi di lusso. 
Perché vedi, la morte è un circolo vizioso, una giostra inevitabile di momenti che iniziano e finiscono, è un animale in agguato mentre stai seduta allo specchio e ti trucchi gli occhi. Tra le cose di tutti i giorni, vitalizzate da una proficua cura e sana diligenza, vi è una porta dalla quale entra ed esce la morte come un angelo del disordine. In questo scenario, in cui non esiste speranza, la morte non assume mai tinte oscure né tantomeno prende consistenza: rimane sempre lieve, come polvere. La morte non è niente. Forse, per il semplice fatto, di per sé tautologico, in virtù del quale quando c’è lei non ci siamo noi e quando ci siamo noi non c’è lei. 
Che altro ci è possibile, dunque, fuorché rimanere a osservare il lento disfacimento quotidiano, l’irreversibile processo mortale che ci coinvolge tutti? Eppure da certi componimenti emerge (come è normale, del resto) un inconfessabile desiderio di eternità. Infatti, se è vero che la contesa che ogni soggetto disputa con la propria esistenza terrena è una questione tutta mondana che tutta si gioca nell’ordine del tempo, non è possibile negare che in questi versi si respiri una pagana esigenza di superare la barriera imposta dai limiti temporali. Per me l’esistenza, certamente un fenomeno di per sé evidente, non è una ineluttabile realtà quanto un mistero da indagare. 
Questa indagazione non può però essere effettuata tramite aspirazioni metafisiche o religiose illusioni ma sorge e viene condotta attraverso un’accurata osservazione dei gesti e delle parole apparentemente più banali e consuete. La morte è una cosa unica con il tempo. Il tempo stesso si identifica con la morte e la vita diviene una esperienza quotidiana di morte. Il tempo è il maestro di cerimonia del nostro imminente funerale. La vitalità dell’amore è una illusione momentanea: la missione di eternità può essere affidata (forse) alla poesia, che sola ha (sembra avere) la capacità di annullare il tempo.
Tuttavia, come detto, è questa una personalissima interpretazione basata s’una libera associazione di idee. 
Quello che la poeta sembra dirci è invece che alla base dell’amore è l’in-finitezza: solo un essere in-finito, cioè insieme infinito e non-finito, ama. O meglio, più questo essere è infinito e al contempo non-finito e carente, più ama; e soffre di questa mancanza, di questo vuoto che lo logora e macera. È forse questo il vero mistero dell’amore. Entra in scena il tempo dell’amore: l’infinitezza di questo tempo, insieme con la dilatazione dello spazio nel tempo infinito della poesia, è tema ricorrente in tutta la raccolta. La poesia di Anconetani Lioveri sembra infatti svolgersi nel tempo di un presente atemporale o in-finito. Poiché spoglia il passato e il presente della loro temporalità, detemporalizza le immagini del passato strappandole dalla memoria, e cancella la quotidianità dal presente per immergerlo in una virginale dimenticanza. Nella poesia in genere, passato e presente s’incontrano in un punto atemporale, come una sorta di profondo indistruttibile eterno presente. 
La poesia può dunque compiere meravigliose magie: ciò che è impalpabile può raggrumarsi e assumere una certa consistenza. Così, alla poeta non resta che tentare di condensare in movimenti impercettibili il flusso del sangue nelle vene, i complessi meccanismi dell’encefalo e i moti del cuore. La concretezza non è un dato scontato, e ciò che non si vede e non si sente può assumere talvolta contorni ben delimitati, colori, e peso specifico.
Per l’autrice dunque la limitatezza dell’uomo si può superare solo per il tramite dell’amore e della poesia, che conferisce infinitezza allo spazio e dilata all’infinito il tempo della vita (e viceversa). In fondo l’eternità non è altro che un solo giorno dilatato e prolungato all’infinito. 
Ma è pur sempre un limite. Non so s’esista un modo meno doloroso per morire, e non so se vi sia un modo meno doloroso per vivere. Vivere come la falena senza sapere che si deve morire, senza sapere che più avanti c’è una strada sbarrata; credere che la primavera sarà eterna, e soffrire solo un giorno per pochi istanti. O vivere come l’uomo, che inconsciamente si prepara alla morte dal momento in cui ne scopre l’esistenza, e comunque vi arriva impreparato; vivere ripetendosi che il tempo non torna più e sprecarlo comunque. Quale la soluzione? Quale la risposta? Quale la verità? Vivere chiedendosi se c’è qualcosa oltre la primavera, che quando svanisce v’è il rimorso di non averla guardata abbastanza, tentare una risposta, e scoprire (forse) fulgidi orizzonti di domanda e ulteriori altrove per rispondere, bellissimi punti interrogativi nella dilatazione dello spazio in un tempo infinito, sembra la risposta di Anconetani Lioveri, affidata a un componimento centrale nell’economia del libro, la poesia senza titolo “[Un tempo infinito e solo prati verdi]” (pag. 71):

Quando la primavera svanisce, v’è il rimorso
di non averla guardata abbastanza.
(Emily Dickinson, Poesie).

Un tempo infinito e solo prati verdi,
era questo il colpo d’occhio del sogno,
una bolla esplosa, poi aperta al reale,
l’illusione di un cerchio che finalmente
chiudesse i conti in sospeso col passato.

Tutto era perfetto, un sorriso
la lacrima, la meraviglia, l’aversi
dentro, un corpo nell’altro corpo,
e poi il guardarsi permettendosi
il lusso del silenzio,
il riposo delle carni.

Ora ti cerco come la nuvola
che mi ripara da un sole che secca,
so che ovunque sei ci sarà amore.
Tu che mi ripetevi senza tregua
hai vissuto con passione ogni istante? 1
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NOTA
1 - Una versione cronologicamente anteriore del componimento comunicatami in forma privata dall’autrice reca nella seconda strofa una variante degna di nota che rimando al lettore poichè ritengo che possa conferire un senso ulteriore alla poesia e fornire un’ulteriore chiave di lettura all’intera opera:

Tutto era perfetto, un sorriso
la lacrima, la meraviglia, l’aversi
dentro, un corpo nell’altro corpo,
e poi il guardarsi permettendosi
il lusso del silenzio, il riposo
delle carni, il leggersi negli occhi
le cose più belle che siano [che si siano]
mai state dette o fatte [mai dette o fatte]. 
 


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BREVI NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE SULLA POETA

Angela Anconetani Lioveri (Jesi, 1991) vive in provincia di Ancona. Dopo la laurea in Filologia Moderna presso l’Università di Macerata, ha insegnato Lingua Italiana a stranieri ed è attualmente docente di Lettere nella scuola secondaria di I grado. Scrive articoli di cronaca culturale e cura interviste per diversi quotidiani online. Prima di “Solo Orizzonte”, uscita nel 2024 per Controluna editore ha pubblicato la silloge poetica “Le radici” per NullaDie (2023).

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