(Redazione) - Specchi e labirinti - 30 - sulla poesia di Marco Plebani

 
di Paola Deplano
 

 
«Mi sono fedelmente dipinto con tutte le mie follie nell’Ortis». Questo scriveva Ugo Foscolo in una lettera ad Antonietta Fagnani Arese. La stessa frase, ovviamente cambiando il titolo, la potrebbe scrivere Marco Plebani a proposito della sua silloge Decimo dan, uscita nel 2022 per le Edizioni La Gru. Non me ne voglia l’autore se comincio a parlarne in termini di follia, ma qui si intende una follia buona, ricca di spunti, divergente dalla massa, in ultima analisi sana. Una follia che merita attenzione e persino, per ricalcare Erasmo da Rotterdam, un “elogio”. Del resto, sono autorizzata a scomodare questo scomodo termine da Plebani stesso, nell’esergo, che recita così:

A tutti i sacrifici intenzionali, estorti, biologici,
chimici, psicodinamici e monetari
che m’hanno fatto diventare ansiogeno.

Come non innamorarsi di un libro che comincia così? Perché chiunque legga con gusto la poesia non può che essere, poco o tanto, volente o nolente, ansiogeno, in quanto individuo che capta intorno a sé tutti i sussurri del mondo, essendone spesso vittima.
Questa dichiarazione d’intenti psicologicamente pesante fa pendant nel corso della silloge, con alcune liriche che percorrono, trama nell’ordito della scrittura, le pagine di questo libro. Ne butto qui una, a mò d’esempio, quella che mi ha risuonato di più – ma altri lettori potrebbero trovarne altre:
 
DIAZEPAM

Assunzione

Soffice cherubino
rimbalzante in molecola sintetica.


Ricaduta e crisi

Sette mesi ho attesi senza sole
sulle colline in seno,
appresso una colite funzionale,
oppresso, te lo dico, dall’estate,
dallo primo respiro mattutino
catturato dall’ansia.
Compromessi gola, naso e saliva.
Ve l’ho raccontato
il grigio
da Carvico a Milano?
Del supermercato di Pomarance?
Delle dita al di sotto le costole
e gli ematomi dell’ipocondria?

La follia principale, ovviamente, è l’amore sviscerato per la poesia, per i suoi giochi metrici, retorici, semantici. Plebani ama provarsi in modi opposti, del nitido e netto verso di stampo ermetico alla lirica barocca, in cui prevale il gusto archeologico di riproporre l’antico, sia a livello di temi che di scrittura. Ecco i due opposti di cui intendo parlare, li metto di seguito affinché chi legge abbia più chiaro ciò che intendo dire. Per primo, il verso che profuma di ermetismo:


RICONCILIAZIONE

Soltanto dico che ho pianto del tuo pianto.
 
Per seconda, la lirica che ricalca, per metriche, parole e temi, più di un padre della poesia antica, mantenendo però, sotto questa patina di passato, un guizzo di stile personale:

ORIONE

A me davanti dischiude il frinir
ininterrotto caldo di cicala
nell’aria solatìa.
La canicola genera ingrandir
di vite: frutti e animal di mala
diffama serpentìa.
Animal nullo, solo io, la follia
nel Sole trasudo a profusione
perché Donna non ascolta ragione
e altrove rivolge i suoi occhi.
La caligine non traspira, mia
morte arriverà presta. Orione
che invano rifuggi lo scorpione
mordente; tal io vivo senza occhi.
A te eppur incontro correrò
rosaguancia Aurora.

Il suo animo di docente ci informa in una premurosa nota a pié pagina che trattasi di una “Còbbola di stampo provenzale. Canzone monostrofica di endecasillabi e settenari con schema metrico: ABcABcCDDECDDEFg”. Ha fatto bene a puntualizzarlo, perché le mie conoscenze metriche non arrivavano a tanto – e di questo lo ringrazio. Da questo piccolo indizio trapela un altro amore grande - alias una sana follia – l’amore per l’insegnamento, per gli alunni che ha seguito negli anni, vivendone in modo affettuoso e partecipe il difficile passaggio all’età adulta. Sono molte le liriche in cui il poeta scrive commosso del suo ruolo di educatore. Poi parla del figlio, degli amici, della natura, della vita in generale.

Mi piace concludere questa sua carrellata di folli amori con l’amore tout court, quello che lega intimamente due esseri – per poco tempo, o per molto – ed è fra i sentimenti forti della vita e una delle migliori follie che ci siano al mondo (credo che Foscolo, perennemente preda del fascino muliebre, sarebbe stato pienamente d’accordo con noi):

ADRIATICA

Sulle nostre rive
il boato e lo schiaffo delle onde.
Pensaci, adriatica ninfa,
miliardi di anni
sono intercorsi
dalla prima cellula
alla tua bocca che parla del tuo sogno di ieri,
il nostro di domani.
Il sogno è concentrico al sogno
che s’avvinghia sanguineo nei corpi. 
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Dice di sé l'autore
 
DATI ANAGRAFICI
Nato il 20/08/1978 a Jesi (AN). Ho trascorso la mia vita a Montefano, Corridonia e Macerata, dove attualmente vivo con la mia compagna e mio figlio. 
Sono un insegnante di lettere presso la Scuola Media "Enrico Fermi" di Macerata (MC).
Con il mio precedente lavoro intitolato "Un giorno qualsiasi" (Ed. OTMA, Milano, 2011) mi sono classificato secondo al premio A.U.P.I. (Albo Ufficiale Poeti Italiani).

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SINOSSI
Il libro che vi sottopongo "Decimo Dan" è una silloge che raccoglie le liriche composte in un arco temporale di oltre 2 decenni (1999-2021).
Il titolo scelto fa riferimento al massimo grado delle arti marziali; un'ovvia metafora che si addice alla mia idea di poesia, per me espressione al massimo grado della consapevolezza che si raggiunge con l'ispirazione e la scrittura.
L'idea di fondo è stata disporre, nel tempo, i componimenti in una sorta di concept, un po' come gli LP musicali che dipanano un tema in sezioni e lo risolvono con l'ultimo brano.
Le metriche che ho usato sono varie: dal sonetto, al verso libero, al madrigale, fino alla còbbola provenzale; il tutto all'insegna di un prepotente andamento allitterante che non disdegna, però, anche l'uso delle figure semantiche più ad effetto, arrivando persino al calembour.
I versi sono per lo più endecasillabi e/o versi sillabicamente dispari.
Buona lettura. 



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Commenti

  1. Annalisa Lucini16/8/24 18:11

    Interessante questa recensione. L'idea è quella di un invito ad avventurarsi nel verso di Marco Plebani che nella perfezione della metrica esprime comunque uno stile intimo ed umanistico. Molto accattivante il titolo "Decimo Dan" che rende pienamente l'idea di una competizione particolare. Forse con l'essere se stessi? Poesie scritte nell'arco temporale di due decenni. Il tempo rende l'idea del coraggio e della forza di Marco Plebani per aver saputo indagare e scandagliare nel suo sé stesso così a lungo. Credo che quando la poesia scorre in questo modo, lascia il segno di stratificazioni interessanti che non solo meritano una lettura ma anche un plauso a chi ha intrapreso quel percorso emozionale. Leggerò di certo Decimo Dan. Grazie Paola Deplano e come sempre grazie a Le parole di Fedro.

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    1. Gentile Annalisa, le tue parole mi hanno emozionato e ti ringrazio di cuore. Estremamente onorato.
      Un abbraccio.

      Marco

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    2. Marco Plebani24/8/24 20:06

      Annalisa, grazie per queste splendide parole d’interessamento.
      Un abbraccio.

      Marco

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