(R. Vecchioni “Figlia")Litote,
deriva dal greco λιτότης,
litótēs,
semplicità
e attenuazione, da da litós semplice.
Un meccanismo semplice per attenuare una dura verità. E se facessimo
il contrario? Se mettessimo la negazione prima di un termine
negativo? In questo caso otterremmo comunque un'attenuazione; se per
esempio dicessi non è
cattivo, il mio
interlocutore percepirebbe qualcosa che si avvicina al buono, ma che
completamente buono non è. In pratica, abbiamo una litote quando
usiamo una negazione per dichiarare il contrario e così facendo
otteniamo l’attenuazione di un concetto. Questa è pertanto la
figura retorica perfetta per essere diplomatici, per dire la verità
senza essere troppo diretti.
Al
tempo stesso però la litote, partendo da una negazione e non
esplicitando l’intenzione, apre le porte a più interpretazioni, o
meglio a più livelli del significato contrario: tornando a Gianni
Morandi, non era bello
può indurci a pensare a vari livelli di non bellezza, era solo non
particolarmente bello? Era bruttino, brutto, molto brutto? E quando
Loredana Bertè canta non
sono una signora, cosa
intende precisamente? Sono nubile? Non ho le buone maniere che si
addicono a una signora? Sono una donna non sono una santa?
La
litote, non solo può non
essere chiara (eccone
un'altra!) in quanto non ci informa della misura del contrario, ma
può essere facilmente confusa con l’antitesi o con una semplice
negazione. Insomma, gli studiosi dicono che, la litote per essere
tale, deve attenuare un giudizio (negativo o positivo che sia)
negandone il contrario.
Dario Corno
però, parlando di litote per Treccani scrive:
[…]
I
discorsi mostrano spesso una ‘forza’ enfatica non enunciando
direttamente quanto si vuole dire, ma – a seconda dei contesti –
negando il concetto o l’espressione allo scopo di ottenere un
effetto di dissimulazione rafforzata.
[…] successivamente
riporta i seguenti versi di D'Annunzio:
Tal
chiaritate
il
giorno e la notte commisti
sul
letto del mare
non
lieti non tristi
effondono
ancora
(“Il
novilunio”, vv. 68-72)
Un
momento: in questo verso di D’Annunzio (non lieti non tristi) non
abbiamo nessuna attenuazione e negando di non essere triste dovrei
intendere esser lieto! Quindi, dal momento che giochiamo a cosa non
è, in base alle regole sopra citate, a mio avviso questa potrebbe
non essere una litote, o, quantomeno, non una litote classica.
Nonostante vi consigli vivamente di non affidavi ciecamente alle mie
elucubrazioni mentali di studentessa dell’ultimo banco, devo farvi
presente che questo argomento è stato spunto per una interessante
chiacchierata con il mio mentore, uno che mangia figure retoriche a
colazione, chiacchierata nella quale abbiamo ipotizzato di poter
definire questo verso di D’Annunzio un "ossimoro litotico".
Abbiamo visto nell'articolo a lui dedicato che abbiamo un ossimoro
quando dichiariamo di essere allo stesso tempo qualcosa e il suo
esatto contrario (ricordate il ghiaccio bollente?), in questo caso
invece, viene negato di essere qualcosa e al contempo si nega di
essere anche il contrario; per questo motivo lo abbiamo definito
ossimoro litotico.
Detto
ciò, vi sembrerà strano, ma tutto questo ragionamento sul verso del
Vate, mi ha fatto pensare al testo di Caparezza “Io vengo dalla
luna", testo che, a questo punto, definirei borderline:
Io non sono nero
Io non sono bianco
Io, non provengo da nazione alcuna
Io, sì, io vengo dalla Luna
Io non sono
attivo
Io non sono
stanco
Nei
primi versi abbiamo delle negazioni con relativa anafora (lo trovate qui). Prendendo il primo
verso da solo, potremmo pensare a una litote: se dice di non essere
nero, vorrà dire di essere bianco, anche se non essere nero potrebbe
significare essere qualunque altro colore; nel secondo verso infatti,
il nostro primo pensiero viene smontato. Quindi, in base alle regole,
possiamo dire che, non attenuando un giudizio e negando poi il suo
contrario, non sia una litote ma una semplice negazione arricchita da
antitesi (nero – bianco / attivo- stanco), o quello che abbiamo
definito ossimoro litotico nel caso dannunziano. Lo stesso vale per i
versi successivi, fino a “non
provengo da nazione alcuna"
cioè vengo da qualcosa che nazione non è, e nel verso che segue
Caparezza specifica che non viene da nessuna nazione perché viene
dalla luna attenuando il fatto di essere extraterrestre. Tornando
discorso delle ampie possibilità di interpretazione di una litote,
in questo caso particolare ciò che non è nazione è un concetto
talmente ampio, che ci proietta nello spazio!
Come
vedete la litote può essere un’arma a doppio taglio e come ogni
cosa va usata cum grano
salis (tranquilli, non mi
metterò a parlare latino), con buon senso, o quantomeno con la
consapevolezza di poter aprire le porte a vari livelli di
interpretazione di quel contrario che vorremmo far intendere.
La
litote è una figura retorica che coinvolge l’interlocutore e,
alzando la sua attenzione, lo “obbliga” a operare un’inferenza,
a cercare una conclusione in base a ciò che è stato detto. Trovo
molto interessante anche la domanda che mi è stata posta a proposito
di questa figura retorica: “la litote è intenzionale?”
Personalmente penso che possa essere utilizzata consciamente nel caso
in cui si parli di retorica politica, o quando un avvocato prepara
un’arringa (no non l’aringa!) Per esempio Quintiliano
(se non sapete di chi stia parlando potete leggere qui) invece, in
Istituzione
oratoria del
I secolo d.C. usa locuzioni come Non
mi sfugge
o nessuno
ignora
formule decisamente più eleganti e diplomatiche di "so" e
"tutti sapete".
Anche in
Retorica
a Gaio Erennio risalente
al
I secolo a.C attribuito a Cicerone leggiamo: Per
indigenza? A lui precisamente il padre ha lasciato un patrimonio –
non voglio dire troppo – non
modestissimo; in
altri casi la litote la si usa inconsciamente, senza che vi sia una
reale intenzione di attenuazione, questo perché è entrata a far
parte del nostro linguaggio. Tutti noi usiamo la litote
molto più di quanto si creda e spesso, come dicevo, senza farci
caso. Per esempio, quando siamo ammalati ma non vogliamo far
preoccupare i nostri cari diciamo “non mi sento bene" perché
sappiamo che dire loro "mi sento male" avrebbe un peso
differente. Mi
viene in mente anche la classica raccomandazione quando i figli
adolescenti escono: “non fare tardi!” che ha un sapore differente
dal dire loro “torna presto”, non fare tardi dà l'impressione
che possano avere più libertà, la parola tardi
li trasporta in un futuro abbastanza lontano da soddisfarli, come se
quel non
venisse cancellato dal cervello... infatti a volte capita che lo
cancellino davvero e tornino comunque fuori tempo massimo!
Vediamo ora
alcuni esempi in letteratura iniziando dal Sommo:
Però, se
l'avversario d'ogne male
cortese i fu,
pensando l'alto effetto
ch'uscir
dovea di lui, e 'l chi e 'l quale,
non
pare indegno ad omo
d'intelletto.
(Dante
Alighieri, Inferno canto II 16.19)
Un
altro esempio di litote la troviamo in A
Zacinto di Ugo Foscolo:
...
onde non tacque
le tue
limpide nubi e le tue fronde
l'inclito
verso di colui che l'acque
cantò fatali
...
Giacomo
Leopardi, invece, in Dialogo
della natura e di un islandese scrive:
…dove
non ignori che si
dimostra più che altrove la mia potenza.
Un
altro esempio classico dell’uso della litote è nei Promessi
sposi dove Alessandro
Manzoni descrive così Don Abbondio:
non nobile,
non ricco, coraggioso ancora meno
Non trovate sia
gentile da parte sua non definirlo plebeo, povero e vigliacco? E
ancora:
Don Abbondio
(il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di
leone.
Un modo carino
per non definirlo, ancora una volta, direttamente codardo.
Anche se questa
puntata non può procedere oltre, non siate tristi! Come sempre vi
saluto con la mia figuraccia del giorno, a voi cercare litoti,
semplici negazioni e antitesi!
Non sono acqua
né terra
ma di una porto
la forma.
A chi chiede
trasparenza
bordata d'aria
non rispondo.
Non sono
torbida.
È solo che
non sono mai
come vorresti io fossi.
Annalisa
Mercurio
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