(Redazione) - Parola eretica - 06 - Una dimensione etica nella poesia contemporanea Alcune note sulle opere recenti di La Mantia, Pianzola, Borgia, Pacini.

 

di Gabriela Fantato

Qual è oggi il ruolo della poesia in questo momento storico complesso, dove i singoli sono immersi in una realtà globalizzata e tecnologica, frantumata e senza valori, disorientata? 

Esiste una postura etica nei poeti contemporanei? Faccio alcune considerazioni preliminari. Spesso nel parlare comune non si distinguono chiaramente etica e morale che, di fatto, hanno due significati attigui e, in parte, simili ma anche differenti: i valori, le regole comuni e condivise dalla collettività costituiscono la morale che definisce, quindi, che cos'è il bene e il male per un gruppo umano, ecco perché spesso al concetto di morale è collegato un significato abbastanza tradizionalista, dove i valori sono legati alla consuetudine condivisa all'interno di una società. A queste regole condivise l'individuo, il poeta, dunque, può decidere di aderire o meno, in base al proprio carattere, alle proprie scelte individuali e ai propri ideali, di fatto, chi non aderisce a questi viene considerato un "outsider", un estraneo e, a volte, anche viene bollato con il marchio di amoralità. Come è accaduto a grandi artisti, intellettuali e poeti. L'etica definisce anch'essa le regole del comportamento, per conseguire il bene, sempre in rapporto agli altri uomini e indica dei valori per il comportamento umano, ma oltre a condividere un insieme di valori che anche la morale pone, l'etica, contiene anche la riflessione su quelle norme e valori. Pertanto l'etica ha una valenza ambivalente, sia intima e spirituale, legato al singolo, sia speculativa e critica, in quanto indaga i fondamenti che guidano l'agire collettivo, per dare un senso all'agire. Dunque è sul piano dell’etica che ci possiamo porre la domanda di come si ponga la poesia in rapporto ai valori da un punto di vista personale, non come accettazione tout court dei valori dominanti.
Oggi, la poesia mi pare abbia recuperato un senso etico della scrittura, anche se differente dall'epoca del cosiddetto "impegno", intendendo con ciò gli Anni Settanta, dove la poesia civile era diffusa, ma con esiti non sempre interessanti, in quanto l'impianto era ideologico, anche spesso settario, e prendeva il sopravvento sulle valenze estetiche e formali dei testi. Nel panorama poetico attuale, va detto che non viene assunto un uso strettamente "politico" del dire poetico, come poteva avvenire nella scrittura del Neorealismo o della Neoavanguardia, infatti, l’impiego della valenza etica avviene piuttosto secondo una piega esistenziale e c'è una nuova attenzione alla realtà che però viene trasmessa in scrittura attraverso modalità nuove, non mimetiche e non ideologiche, con tentativi innovativi di dar forma al vissuto all'interno del contesto storico. Penso ad alcuni poeti, quali Pasquale Di Palmo, con Breviario delle rovine, a Seracchi e morene di Mauro Ferrari, alla raccolta Gesti lievi, di Davide la Mantia, a Il bel tempo, di Luisa Pianzola, a Custodi e invasori, di Alfredo Rienzi, al lavoro di Filippo Ravizza e soprattutto l’opera recente Nel tremore degli anni; penso a Estranea (Canzone) di Maria Pia Quintavalla, un’opera cruciale che, ripubblicata dopo oltre vent'anni dalla sua prima uscita, rende conto del clima poetico di speranze e perdite di quegli anni di fine millennio. I citati autori appartengono alla generazione anni Cinquanta/ Sessanta, nomino questi ma ce ne sono altri della stessa generazione, su cui tornerò in futuro. Nelle opere citate, in vari modi e con esiti formali differenti, l'esperienza, il piano privato si sporge verso il piano del pubblico, così che l’impianto lirico trascende il particolare soggettivo o si dispone in posizione di riflessione, di interrogazione a volte. 
Si tratta di poeti e poetesse che si pongono di fronte alla realtà, con tensione etica, per testimoniare l’esistente, a volte nella speranza di un cambiamento. In tal senso, tra gli altri, segnalo la parola di David la Mantia, per la peculiarità del suo dire e per il suo sguardo “dal basso”. 
Ecco una poesia tesa verso ciò che è minimo o dimenticato, così come il gesto e scena quotidiana e che pare banale, ma sempre si coglie il tentativo di superare il polemos tra gli individui, vincendo l’egocentrismo e suggerendo una sorta di fratellanza tra i viventi, in modi che ricordano in parte la postura francescana. 
C’è un’apertura amorevole all’esistente, tanto che soltanto l’amore, per David, permette di approcciarsi ai cambiamenti del mondo, proprio come suggerisce il titolo dell’opera: Gesti lievi. L’amore se te ne accorgi (Il Leggio, 2022), dove la parola poetica si fa “carezza” verso il mondo, anche talvolta denuncia, ma senza retorica: una parola di accoglienza del mondo, comunque, per dirne anche la fragilità. 
Vediamo un testo emblematico:

Essere felice non è andare
per mare e non incontrare tempeste, 
pirati, venti feroci, sirene.
Ma pensare già alla partenza
a cercare ripari, a trovare
legni per le capanne, le lettighe,
acqua di mare per le ferite,
parole per essere giusti, sempre.

Diverso, per questo anche interessante per contrasto, il lavoro di Luisa Pianzola, Il bel tempo (Transeuropa, 2024) dove la parola si fonda sull'estraneazione dell'Io lirico che si affaccia asettico ad un mondo deprivato, assumendo il ruolo di "sguardo che registra” l’esistente, senza darne giudizi e proprio in questo tono spoglio e oggettivato la poesia svela il vuoto, la privazione e il disorientamento generali, in questo caso non ci sono strade da seguire per il cambiamento, pare dirci l’autrice, ma la sua “registrazione” del reale ci scuote, ci fa pensare e ci interroga.  Mi fermo, qui, ma mi riservo di tornare su questa generazione degli Anni Sessanta con un’indagine più ampia. Anche per Pianzola, un testo:

C'è un ordine, l'artificio del pianeta dei 
valorosi che lasciano? Oppure è un disastro 
totale, corpi da seppellire, anime tirate a lucido,
diplomi addossati a coppe di atletica,
un annichilimento tutt'altro che provvisorio 
per noi che vaghiamo alla ricerca di corpi freschi
e ci riconosciamo in ciò che era grande 
e si è serenamente dissolto?

E ancora, in un altro testo: «morire diventa allora l'esercizio/ sentire un po' meno ogni giorno», dove si ribadisce la posizione di un Io che si autoannulla, per scelta, e ancora un frammento di consapevolezza di ciò che rimane del mondo: «Non maturano i gigli e le pesche, acerbe./ Si chiudono temporaneamente orifizi/ e fughe prospettiche.// Tutta la folla rimane in attesa » […].
Penso che sia interessante segnalare che anche i poeti nati negli anni 80-90, e di vent’anni più giovani quindi, rispetto ai poeti precedentemente citati, si pongono davanti alla realtà e ai cambiamenti in corso, con intento etico; tra i vari libri che potrei trattare, mi soffermo per ora su due raccolte del 2024: Ismi (Il Convivio, 2024) di Mirea Borgia e Ipotesi sul mio disfacimento di Bernardo Pacini (Mar dei Sargassi, 2024). Sono due opere accomunate dal venir meno dell’Io lirico, seppur in modalità differenti, e tese a dar conto del degrado della vita, della solitudine che diventa anche omologazione ai valori di massa. Vediamo qui alcuni esempi da Ismi, dove Mirea scrive: 

è una risorsa da non perdere, 
l'andirivieni costante che pulsa tronfio 
lo scandalo che soffia di vita a spegnerci
la vita che grida alla vita 

noi non sappiamo morire.


E altrove, altri versi acuminati, come in questo frammento, tratto da un testo più ampio:

la salvezza è il cambio di prospettiva
lancio di resti che affiata 
sangue che cricca frantuma 
perché possiamo 
e dobbiamo 
scampare al buio e alla luce 
dileguare per prosperare - sopire l'occhio altrove.

In Ismi ci sono testi con tono basso e colloquiale e altri invece con un linguaggio alto letterario, talvolta leggiamo poesie con ripetizioni di termini, sino quasi a triturare la parola, fino al confine del non senso, con un assemblare e riassemblare ma senza alcun gioco linguistico fine a se stesso, con l'intento invece di svelare una sorta di dominio della civiltà attuale, che assoggetta i corpi, le vite e le parole. l'Io della poetessa sparisce di fronte all' omologazione e alla deprivazione generale, così che l'intenzione di Mirea Borgia è guardare la realtà per denunciarne i cliché , ma anche i sistemi chiusi di comunicazione e il venir meno dell’umano, così che l'atto estetico del far poesia diventa postura etica

In Ipotesi sul mio disfacimento Bernardo Pacini, con una lingua mutevole e libera da ogni retorica, svela i tic dei comportamenti collettivi potremmo dire, la serialità del vivere e l'omologazione del pensiero che caratterizza il mondo attuale, mentre l’Io slitta nel bianco, svanendo.  
Ecco alcuni versi:

Come un leone scappato dal circo
mi aggiro tra le vie residenziali: parchi giochi, benzinai/
un numero infinito di cancelli e siepi basse.
A chi crede che io cerchi qualche preda 
che mi senta dominante, che sia evaso da qualcosa/
Voglio dire vi sbagliate, smettete di tremare alle finestre/
muovetevi a chiamare i poliziotti.
Sto cercando solamente il posto adatto 
dove attendere lo sparo sedativo
che mi renda inoffensivo più di quanto non lo sia.
La gabbia a cui ritorno è meno grande 
meno assurda della vostra.

Come vediamo, in questo testo Io scrivente si identifica con un animale, un leone: una maschera dell'Io, tra le tante assunte dall'autore in questa raccolta, che non a caso fin dal titolo propone il "disfacimento" della soggettività, il venir meno della centralità dell'Io, come direzione di ricerca estetica e come strada da seguire per una scrittura di taglio etico, civile in senso nuovo. È un travestimento questo, per comunicare senza retorica ed egotismo il senso di prigionia, di vita in gabbia in cui vivono gli umani, spesso senza rendersene conto, quindi, un modo per dare un quadro della situazione attuale, colta nel suo punto di criticità che è la prigionia collettiva. Altrove il poeta scrive: «sgradevole il creato ricreato da gentaglia come noi», dove è detto in modo evidente che il poeta si rende conto di appartenere anche lui al genere umano, ma sa che l'umanità, presuntuosa e antropocentrica, è di fatto ingombrante e sempre più incapace di relazionarsi alla realtà tutta, in un modo equilibrato e armonioso. La consapevolezza dell’Io, quindi, è centrale, un Io che pure si sente “svanire”. Sono solo spunti di riflessione i miei, su due libri ricchi di tensione e di piani di lettura ancora da indagare.
Altri sarebbero gli autori da citare della generazione degli anni 80-90, e intendo tornarci, ma possiamo arrivare anche ora ad una provvisoria conclusione. In modi e toni differenti, spesso, la poesia attuale ha ritrovato in parte quel ruolo che era andato perduto e pare incamminarsi verso un postura etica, con esiti ancora da indagare, analizzando le diverse forme assunte dai vari autori… e il discorso deve continuare.
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Commenti

  1. Gentile Gabriela Fantato,
    mi permetto le seguenti obiezioni sulla prima parte dello scritto qui proposto:

    1.
    “Oggi, la poesia mi pare abbia recuperato un senso etico della scrittura, anche se differente dall'epoca del cosiddetto "impegno", intendendo con ciò gli Anni Settanta, dove la poesia civile era diffusa, ma con esiti non sempre interessanti, in quanto l'impianto era ideologico, anche spesso settario, e prendeva il sopravvento sulle valenze estetiche e formali dei testi. 

    Ma perché queste generalizzazioni? Fate degli esempi, distinguete il grano da loglio...

    2.
    “. Nel panorama poetico attuale, va detto che non viene assunto un uso strettamente "politico" del dire poetico”

    Ma non c’è alcun bisogno di parlare esplicitamente di contenuti politici per fare “ un uso strettamente "politico" del dire poetico”. Anche la “piega esistenziale” e la “nuova attenzione alla realtà “ è un uso politico della poesia. Si tratta di individuare di che tipo. Che questi orientamenti siano una novità è fatto da accertare e non da accogliere soltanto in base alle dichiarazioni o intenzioni dei poeti.

    3.
    “Penso ad alcuni poeti, quali Pasquale Di Palmo, con Breviario delle rovine, a Seracchi e morene di Mauro Ferrari, alla raccolta Gesti lievi, di Davide la Mantia, a Il bel tempo, di Luisa Pianzola, a Custodi e invasori, di Alfredo Rienzi, al lavoro di Filippo Ravizza e soprattutto l’opera recente Nel tremore degli anni; penso a Estranea (Canzone) di Maria Pia Quintavalla, un’opera cruciale che, ripubblicata dopo oltre vent'anni dalla sua prima uscita, rende conto del clima poetico di speranze e perdite di quegli anni di fine millennio. I citati autori appartengono alla generazione anni Cinquanta/ Sessanta, nomino questi ma ce ne sono altri della stessa generazione, su cui tornerò in futuro. Nelle opere citate, in vari modi e con esiti formali differenti, l'esperienza, il piano privato si sporge verso il piano del pubblico, così che l’impianto lirico trascende il particolare soggettivo o si dispone in posizione di riflessione, di interrogazione a volte.”

    Non è chiaro come, nelle opere degli autori qui citati, la “nuova attenzione alla realtà” verrebbe “trasmessa in scrittura attraverso modalità nuove, non mimetiche e non ideologiche”.
    (Sarà stato dimostrato in altri articoli? Si mettano i link o i riferimenti). E poi soltanto “Estranea (Canzone) di Maria Pia Quintavalla” sarebbe “cruciale” e renderebbe conto “del clima poetico di speranze e perdite di quegli anni di fine millennio”? Le prove? Infine, quale grande novità sarebbe il fatto che “nelle opere citate, in vari modi e con esiti formali differenti, l'esperienza, il piano privato si sporge[rebbe] verso il piano del pubblico”?

    4.
    “Ecco una poesia tesa verso ciò che è minimo o dimenticato, così come il gesto e scena quotidiana e che pare banale, ma sempre si coglie il tentativo di superare il polemos tra gli individui, vincendo l’egocentrismo e suggerendo una sorta di fratellanza tra i viventi, in modi che ricordano in parte la postura francescana”.

    A me quest'operazione pare un semplice ribaltamento della (da voi) vituperata “scrittura del Neorealismo o della Neoavanguardia”. Ad essa viene contrapposta questa (da verificare sempre!) “postura francescana”. Se quella era ideologia dell’”impegno” sociale e politico, questa non pare altro che ideologia “di fratellanza” . Cattivismo contro buonismo? Ideologie e comunque non sufficienti per dimostrare che siamo di fronte a testi poetici di valore.
    Un saluto

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    1. Mi permetto di inserirmi in questo Vostro intervento critico, auspicando una più completa risposta dell'autrice del saggio a breve.

      Sul punto 1 da Voi (siete un collettivo?) evidenziato, mi pare di poter dire che l'articolo porta sufficienti esempi e, d'altronde, non si può pretendere da un articolo su una rivista l'estensione e l'approfondimento che chiede i tempi e i modi della carta stampata.

      Sul punto 2 mi permetto di dissentire. Avendo ormai l'aggettivo "politico" assunto ogni estensione e significato possibile, pare che, per contrappasso, divenga privo di significato alcuno. La Vostra assunzione è tutta da dimostrare, con lo stesso rigore argomentativo che richiedete alla Fantato per le sue tesi.

      Sul punto 3 è di tutta evidenza che essendo numerosi gli autori e i poeti citati non ci si può soffermare su ognuno con la dovuta dovizia di paritcolari che in altre sedi è, non solo auspicabile, ma richiesta.
      Tuttavia mi preme anche qui una precisazione linguistica: le "prove" lasciamole ai giuristi, agli inquirenti (o ad Eracle), parliamo semmai di "argomentazioni" in critica, perchè non è verità ciò di cui trattiamo ma visioni.

      Sul punto 4, l'unico che ritengo interessante da un punto di vista critico, attendo ovviamente la risposta di Gabriela Fantato, rimarcando però solo una cosa (ancora una volta): che una scrittura sia di Valore o meno (anche la "stroncatura" ha la sua storia in letteratura) non va "dimostrato" ma "argomentato" e a me pare che l'autrice del saggio lo abbia fatto, nei limiti di spazio che un articolo su una rivista letteraria permette.

      In ogni caso, come caporedatttore, ringrazio davvero epr questo Vostro commento, che ci stimola a crescere e riflettere sempre di piu.

      Sergio Daniele Donati

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    2. Ennio Abate10/9/24 16:44

      Gentile Daniele Donati, il mio precedente commento, per mia disattenzione, è firmato 'moltinpoesia' ma sono Ennio Abate. Possiamo darci del tu, se crede o credi. Le mie obiezioni erano limitate alla prima parte dello scritto di Gabriela Fantato. Aspetto la risposta di Gabriela Fantato e poi, eventualmente, replico alle sue osservazioni.

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    3. Nessun problema a darsi del tu. Buona serata a te

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    4. Alberto Rizzi17/9/24 20:39

      Penso si ricordi di me: sia perché già qualche volta abbiamo scambiato qualche punto di vista in rete, sia perché un po’ il mio lavoro lo conoscerà, almeno ai tempi in cui il rapporto con Mauro Ferrari stava in piedi. E quindi ricorderà quanto la “poesia civile” sia stata importante nel mio percorso poetico; anche se ormai – per diverse circostanze che porterebbero fuori strada questo commento – non è più una corda presente nei miei testi, come lo fu anni or sono.

      Seguendo i punti che lei ha toccato, direi che riflettere un attimo su Etica e Morale, è un buon inizio.
      E vorrei innanzitutto dire che, sulla base appunto della distinzione tra le due categorie, chi scrive “poesia civile” dovrebbe mettere l’Etica avanti alla Morale: secondo la logica che la prima si preoccupa di più del cosiddetto “bene comune”; per quanto negli ultimi anni questo concetto sia stato abusato e distorto per fini che, proprio nell’ottica dell’Etica, sono quantomeno riprovevoli.
      Sarebbe forse il caso di chiamare proprio “poesia etica”, quella che tratta di temi sociali, politici, ecc.: se non ci fosse il rischio di aggiungere una nuova etichetta al maremagnum di sigle e correnti che caratterizza la confusione di questo momento storico e culturale.

      Senza entrare nel merito degli autori che lei cita, perché il discorso potrebbe diventare lunghissimo e oltretutto io sono della generazione 50/60, quanto sta accadendo dipende a mio parere dal famoso superamento dei concetti di “Destra” e “Sinistra”: superamento che se da un lato è già strumentalizzato da chi governa, per continuare il tentativo di manipolare le masse (che, come si vede, sta avendo ampio successo…), a livello di singoli è fondamentale, per uscire dai duemila e passa anni dominati da ciò che chiamo “pensiero bipolare; e comprendere che l’unico modo per progredire ed evolvere è la cosiddetta “Terza Via” di equilibrio tra i due estremi.
      Chiaro che questo nuovo orientamento, non può che confermare la crisi che vivono quanti su quelle ideologie hanno fondato la loro lotta, sia nella vita reale che in ambito artistico: riferendomi con ciò alle critiche di Abate, grande estimatore di Fortini; il quale nel secolo scorso fu uno dei campioni della poesia ideologizzata, anche se per fortuna con risultati di tutto rilievo.

      Questo particolare momento storico e sociale è chiaramente un momento caotico: sia perché è in corso un cambiamento epocale a tutti i livelli, così che tutto si velocizza, complica e confonde; sia perché chi governa sta tentando in tutti i modi che da tale cambiamento nasca una società perennemente caotica, preda di emergenze (belliche, climatiche, energetiche, sanitarie e chi più ne ha, più ne metta): che è il sogno di chi vuole dominare a lungo, senza dover rendere conto a nessuno di quale sia il proprio tornaconto, assai lontano da quel “bene comune”, che va sbandierando a beneficio dei meno fortunati quanto a capacità critiche.
      È dunque ovvio che gli autori, non solo di “poesia civile”, tentino strade differenti da quelle precipue della seconda metà del secolo scorso, a prescindere da quale saranno la loro efficacia e il loro valore: si naviga a vista e i tentativi devono essere all’ordine del giorno. Solo il tempo opererà una scelta, ammesso che chi non si riconosce più nelle categorizzazioni ideologiche (e in quelle religiose, per chi preferisce soluzioni “irrazionali”) sappia poi mettere in pratica anche nella realtà questo nuovo modo di pensare, vincendo la difficilissima partita in corso.
      Fondamentale e corretto, comunque, è che quello che lei ha chiamato “piano personale” si sporga verso quello “pubblico”: compreso che le ricette teoriche non possono essere calate sic et simpliciter nelle realtà nelle quali si vive, le quali possono essere diversissime tra loro, benché relativamente poco distanti nello spazio, solo l’esperienza personale applicata con coscienza alla situazione “pubblica” da risolvere, potrà sperare di avere successo.

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  2. Ennio Abate18/9/24 13:14

    @ Sergio Daniele Donati

    Gabriela Fantato non ha risposto alle mie 4 obiezioni e , però, abbiamo concordato sulla sua pagina FB di riparlarne più in avanti, quando avrà portato a termine la sua ricerca sulla dimensione etica nella poesia contemporanea.
    Rispondo, comunque, alle tue:

    1. Chiedevo esempi per il fastidio di quel tono apodittico generalizzante.Gli esempi proposti dall’articolo non mi paiono (da un punto di vista critico rigoroso) soddisfancenti.

    2.
    Ho scritto: “ Anche la “piega esistenziale” e la “nuova attenzione alla realtà “ è un uso politico della poesia. Si tratta di individuare di che tipo”. Quindi, indipendentemente dall’estensione e dalle varie interpretazione del termine “politico”, ho chiesto - appunto - di precisare cosa Fantato intende per “un uso [non] strettamente "politico" del dire poetico”, essendo io convinto che al “politico” (in senso ampio, vivendo nel bene o nel male tutti noi in società strutturate tuttora politicamente) non si sfugge. Anche quando si usasse semplicemente un linguaggio poetico “normale”, “semplice”, “francescano”.

    3. Ho usato il termine “prove” come sinonimo di verifica, accertamento, dimostrazione, giustificazione. Che nel saggio non vedevo e non vedo. Non ho nessuna intenzione di portare qualcuno/a in tribunale.

    4. Vale quanto detto al punto 3.

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    1. Io, ovviamente, non posso rispondere al posto di Gabriela Fantato. Posso però dire la mia su un punto che io ritengo essenziale che ribadisco. La predominanza dell'aggettivo "politico" in merito al dire poetico è cosa che trovo irritante, perchè che "tutto sia atto politico" è frutto di un pensiero molto recente che non ha riscontro nella storia della poesia intera. Ritengo che un ripensamento sul punto sia necessario. L'attenzione alla realtà o il richiamo esistenziale possono essere sì politici, ma possono anche non esserlo e, ad esempio, richiamarsi ad un dire poetico di matrice filosofica e di pensiero. E d'altronde non tutto l'esistenzialismo ha avuto connotati politici nella sua estensione. Ecco questo è l'unico punto su cui mi sento di ribadire il mio pensiero, il resto riguarda lo scambio tra te (non si era deciso di passare al tu?) e Gabriela.
      Un caro saluto
      Sergio Daniele Donati

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    2. Ennio Abate19/9/24 15:02

      “(non si era deciso di passare al tu?) “. Certo, e infatti ho replicato col tu. Ed è ovvio che possiamo continuare a dialogare, indipendentemente da Fantato.
      Nel merito della questione che , sì, ci contrappone, ma non dovrebbe impedirci – credo - di continuare il confronto, preciso che non sostengo che “tutto sia atto politico”, semmai che in tutto ciò che è vita sociale (e culturale, compresa la poesia e compreso quello che tu chiami “un dire poetico di matrice filosofica e di pensiero”) la dimensione politica – in forme da accertare e indicare accuratamente (e, quindi, in poesia con un’analisi dei testi) – è presente e non può non essere presente. Che ne sia o no consapevole chi usa il linguaggio: comune, specialistico o, nel caso nostro, poetico.
      Ti inviterei alla lettura anche della breve nota scritta da Ezio Partesana, Politica e cultura, che ho pubblicato su Poliscritture (https://www.poliscritture.it/2024/09/12/poesia-e-politica/) e condiviso con L’Irregolare; e che sostiene una tesi molto simile e vicina alla mia.
      Dico pure che non si tratta - ammesso che poi sia cosa decisiva o dirimente - di “un pensiero molto recente che non ha riscontro nella storia della poesia intera”, come tu affermi. Basterebbe pensare a Dante o ripercorrere buona parte della poesia (e della riflessione sulla poesia) del Novecento.
      Da quel che sono riuscito a capire di La parola di Fedro, capisco che questa mia posizione sia per te, per la Fantato, per altri indigeribile. Ma esiste. Anche in quella parte dell’esistenzialismo – non so se ti riferisci a Heidegger – che a tuo parere sarebbe “esente” dal “politico”.
      Se il nostro dialogo dovesse proseguire, avremmo modo di approfondire il contrasto e risalire ai vari duelli che ci sono stati nel corso del tempo e ben prima di noi tra i nostri antenati; e valutare le ragioni dei politici, degli impolitici, degli apolitici. Senza fare processi o chiedere autodafè a nessuno, ma per raggiungere, se possibile, più chiarezza sulla questione che ci divide. Poi ciascuno sceglierà, ribadirà, condannerà come meglio crede.

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    3. Premetto che non è questa (un commento ad un editoriale) la sede per sviluppare una discussione sul punto da te aperto. Faccio notare che proprio l'esempio di Dante è illuminante. Certo che esiste una dimensione politica di Da te, chi mai lo nega?, ma non è l'unica ed esiste una dimensione di pensiero, teologica, religiosa e metafisica che ha altrettanto peso. Dante non è riducibile ad una interpretazione solo politica. Continuiamo.altrove questa proficua discussione., se vuoi

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    4. Alberto Rizzi21/9/24 10:08

      @ Anonimo

      Il problema è che lei limita il concetto del "politico" alla sola poesia. Le nuove teorie di cui dice (che datano agli Anni '60 e '70 del secolo scorso) affermano semplicemente che qualsiasi azione facciamo, essa ha una ricaduta politica magari anche solo minima. Poesia compresa, quindi.
      Non è assolutamente un dramma, solo una constatazione, quindi di per sé né positiva, né negativa; almeno finché non la si estremizza, come fecero gli "Autonomi" appunto negli Anni '70.

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