(Redazione) - A proposito di "Esaudimento" di Barbara Rabita e Antonio Laneve (Puntoacapo Editore 2024) - nota di lettura di Gabriella Cinti



 
 
 
La percezione forte che trapela dalla lettura di questa raccolta poetica, è che sia dominata da una giocosa quanto serissima stigmatizzazione del mondo, con una modalità ludica che rovescia i paletti della cosiddetta normalità, in un copernicanesimo poetico e speculativo di originalissimo profilo. Poesia urbana per definizione ma emblema anche della condizione umana affaticata, ferita, post crepuscolare, dove la poesia del desiderio può esprimere “solo un rantolo” “nel tunnel senza uscita del tempo”; la domotica stessa viene animizzata nel mettere a nudo senza retorica il cuore degli oggetti e la loro sottile valenza consolatoria. Cogliamo, nei due autori, una vera militanza nello smascherare la falsificazione logica e l’Ordine consueto e razionale delle cose. Il quotidiano è grimaldello per aprire inusitate dimensioni di possibile salvezza e la vis analogica, febbrile, con improvvisi scarti semantici simili a movenze di danza, si esprime in una visionarietà che prende le mosse proprio da dettagli minimi del reale. Ogni particolare, anche la cronaca più umile infima, diventa un trampolino di lancio per una messa in discussione metafisica e perché si compiano inaspettate epifanie.
A volte il gioco, consapevole ironico, cozza tra una degustazione organolettica e una sorta di fusionalità estetica e percettiva oscillante tra gli estremi del sentire, spingendosi talora fino a espressioni volutamente urticanti, a scatenate torsioni linguistiche invettive verso il degrado umano e sociale. Ma grazie ai sapienti calembours fonici, brillano tra i versi potenti cromatismi metafisici da cui emerge una coraggiosa e cruda desoggettivazione della realtà. Nondimeno, un panismo sbarbariano dai toni stremati mostra a volte slanci e squarci lirici e filosofici nel nome di una più segreta appartenenza: “Mi immergo nel liquido remoto / aspirando all’eternità, / la gravità mi cattura/ riporta alla polvere madre”. 
Un lucido e sarcastico sdegno etico contro le nefandezze della comunicazione digitale, circola tra i testi: i mali invisibili non meno tossici, della società. La stessa fisiologia umana è una superficie metaforica esplorata dai poeti come dimensione espressiva e cognitiva. Ineffabili i titoli, a loro volta componimenti poetici, da inanellare uno dietro l'altro. La narrazione poetica scende nelle più viscerali pulsioni, fino a zone gastronomiche e digestive, cogliendo il senso di una totalità corporea anche nelle debolezze che affratellano.
Barbara Rabita e Antonio Laneve sono smaglianti voci fuori dal coro: nel panorama poetico contemporaneo, li accogliamo come vivificanti demolitori della Armonia apparente e dei luoghi comuni del vivere urbano, in nome di un'etologia poetica graffiante, a volte spietata, ma di straordinaria autenticità e originalità.

(GABRIELLA CINTI)
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