Dialoghi Poetici coi maestri - 75 - Gertrud Kolmar

Nel lager
di Gertrud Kolmar

Quelli che s’aggirano qui sono corpi soltanto,
non hanno più anima,
soltanto nomi nel registro dello scrivano,
carcerati: uomini, ragazzi, donne,
e i loro occhi fissano vuoti

con lo sguardo sbriciolato, distrutto
per ore in una fossa buia,
soffocati, calpestati, picchiati alla cieca.
Il loro gemito tormentoso, il loro pazzo terrore,
una bestia, sulle mani e sui piedi, carponi /…/

Si affaticano come dementi, grigi, devastati,
separati dall’umanità variopinta,
irrigiditi, timbrati e marcati,
come bestiame da macello che aspetta il beccaio
e non conosce che il fetido truogolo e il recinto.

Solo paura, solo orrore nei volti
quando, di notte, uno sparo afferra la vittima…
e nessuno ha veduto l’uomo
che silenzioso in mezzo a loro
trascina la croce nuda verso il supplizio.
 
 
Com'è, Gertrud, che  da sempre mi pare
di tenerti la mano
e che sulla mia schiena, che si curva
sempre più, sia tracciata la scogliosi
di un albero che nasce storto,
nel vuoto di sguardi vitrei e senza luce?
Com'è, Gertrud, che alle volte mi pare
di uscire con lo strazio di un urlo
dal tuo stesso incubo, e che l'oblio
 - se anche fosse possibile - 
sarebbe per la mia anima 
la Colpa delle Colpe?
Com'è, Getrud, che, mano nella mano
sembri esser tu a darmi il coraggio
di una sopravvivenza
che in angolo buio del mio stomaco
è una fortuna che non credo di meritare.
Com'è, Getrud, che io 
che non ho paura
vaghi come un ectoplasma
la notte a ripetere sei milioni
di nomi dispersi la cui risposta
è una sola: "scrivi"?
Ma scrivi cosa, Getrud,
se ogni vostro respiro
mi fonde il pennino
e rende bianco l'inchiostro?
 
 


 
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