Genere In-verso - 14 - Laboratorio della censura. Chi ha paura del baccanale?


 di David La Mantia
 
I Bacchanalia erano una festività romana, svolta tra le idi (15) ed il 17 del mese di marzo. Erano di chiara origine greca, legati ai misteri dionisiaci, citati anche nei Fasti di Ovidio. Il nome, però, è di origine romana e deriva da rituali dedicati a Bacco, anche se la sua derivazione è più antica e risale alla Magna Grecia, in particolare alla Campania, dove era fortemente radicato il culto di Dioniso, identificato con Bacco e Liber. In epoca romana, ma anche prima, era una festa divenuta in un secondo momento propiziatoria degli dei in occasione della semina e delle messi. Non a caso, in un secondo momento, confluirono ad aprile nei Cerelia, che festeggiavano Cerere, dea dei raccolti.
La diffusione del culto orgiastico di Bacco a Roma avvenne intorno al II secolo a.C. Dal culto aperto a tutti del Dio Libero, benefica e solare divinità dei campi, tutta italica, si passó ad un culto misterico e notturno, riservato ai soli iniziati (originariamente solo donne, le baccanti) con finalità mistiche. Al contrario di altri culti misterici, il baccanale venne cosi votato alla frenesia sessuale.
Intorno al Culto di Bacco, si svolge, poi, una battaglia culturale e politica.
Da un lato, c'era Marco Porcio Catone e tutta la tendenza tradizionalista e conservatrice di Roma, che ancora aspirava a mantenere puro il sangue Romano. A difendere come incontaminata la visione repubblicana della triade patria famiglia terra, che era stata il fulcro della Roma del passato. Dall'altra, il circolo degli Scipioni, prima con l'Africano, il vincitore di Annibale, poi con Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Pidna nel 168 a.C., con cui la Grecia fu ridotta a provincia romana, infine con l'Emiliano, il distruttore di Cartagine nel 146 a. C., l'unico politico a farsi rieleggere console in assenza. La Weltanshauung degli Scipioni era incentrata sull'apertura al mondo greco, sull'attenzione al privato piuttosto che al pubblico, sull'attenzione verso l'elegia e la poesia erotica piuttosto che all'epica.
Erano due mondi in contrasto, inconciliabili.
Tra chi non voleva nemmeno la presenza dei Soci a Roma in quanto privi della cittadinanza, tra chi non voleva aprirsi al nuovo, perché ne temeva l'effetto di corruzione sul carattere romano e chi vedeva nell'eleganza greca, nel diverso, un arricchimento, una crescita.
Tito Livio riferisce una storia, che coinvolse Paculla Annia, sacerdotessa campana di Bacco, fondatrice di un culto privato e non ufficiale dei baccanali, presso il boschetto di Stimula, sull'Aventino. Questo colle era un quartiere etnicamente misto, identificato con la classe plebea di Roma, ma soprattutto era la porta d'accesso privilegiata per i forestieri. Il dio romano del vino e della fertilità Liber Pater, patrono dei diritti dei plebei, delle libertà e degli auspici, aveva un culto ufficiale (e solare) consolidato da tempo nel vicino tempio condiviso con Cerere. Paculla aveva modificato il culto, rendendolo simile a quello praticato in Etruria e Magna Grecia, coinvolgendo non solo matrone romane, ma anche uomini e donne di ogni origine, aumentando indebitamente gli incontri. Il nuovo culto, giocato su una liberazione dei sensi lontana dallo spirito romano, attirarono l'attenzione e vennero viste come pericolose per l'ordine morale e sociale.
È così che si arriva al 186 a.C., quando un'indagine senatoriale, e lo scandalo che ne conseguì, portò a una profonda riforma dei baccanali. Il Senato, dietro iniziativa di Marco Porcio Catone, emise un senatoconsulto, noto come Senatus consultum de Bacchanalibus, al fine di sciogliere il culto con conseguente distruzione dei templi, confisca dei beni, arresto e uccisione dei capi e persecuzione degli adepti.
Perché quindi i Baccanali vennero eliminati? Non perché in qualche modo potevano toccare aspetti della vita religiosa. Non erano certo gli unici misteri in quel momento.
No. Vennero eliminati per ben altri motivi e cioè per il fatto che chi li proponeva era straniero (campano, lucano, conunque della Magna Grecia), veniva descritto con tratti somatici diversi dai Romani, con abiti inconsueti (tito livio quasi due secoli dopo mette in evidenza questi particolari), e mangiava cose diverse dalla tradizione durante le orge. Insomma, metteva paura. Inoltre, durante quelle feste, si univano persone di rango basso, plebei, addirittura stranieri, con Patrizi e con Matrone, con gentes che erano state con Romolo alla fondazione: c'era il rischio concreto di compromettere il sangue della tradizione Latina.
Dei motivi, insomma, prettamente politici. Che armarono la parte senatoria e più conservatrice. Che non poteva permettere che questo accadesse. Significative anche le ulteriori accuse che vennero mosse, in realtà mai dimostrate. Che durante le feste si facevano sacrifici umani, specie bambini( non a caso menzogne simili a quelle usate in altre epoche per colpire ebrei e Moriscos). Che queste orge erano l'occasione per complottare contro il potere costituito e che quindi nascondevano un intento rivoluzionario. In ultimo erano le donne ad esercitare il potere durante le feste, a guidare le danze, a scegliere i compagni per il sesso. Inutile dirlo. Erano tutti elementi che disturbavano la tradizione e in qualche modo creavano le condizioni di un sovvertimento.
Si fece, dunque, piazza pulita. Per non rischiare, si bruciarono oggetti del culto e si vendettero i figli dei plebei coinvolti. Livio sostiene inoltre che, mentre il culto esercitava un particolare fascino su coloro che non erano istruiti, come i giovani, i plebei, le donne (levitas animi) e "gli uomini più simili alle donne", la maggior parte della popolazione della città era comunque coinvolta e nemmeno la classe patrizia di Roma ne era immune.
In seguito, infatti, i baccanali sopravvissero come feste propiziatorie, ma senza più la componente misterica. Svuotate della loro forza. Prima di tutto, con non piu di 5 persone e alla luce del sole. L'eliminazione del diverso era compiuta. Ma fu solo l'inizio di un processo che dura ancora oggi.

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

3 - Tito Livio - Ab urbe condita (XXXIX, 8 –18). 
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