(Redazione) - A proposito della raccolta "L'equilibrio degli scarti" di Francesco D’Angiò (G.C.L. Edizioni, 2024) - Estratto dall'opera con nota di lettura di Annalisa Mercurio
Il titolo è già di per sé un’opera d’arte: L’equilibrio degli scarti.
Equilibrio da equus, uguale e libra, bilancia. D’Angiò mette sul piatto della bilancia gli scarti, e dagli scarti crea poesia.
De
Andrè ci ricordava che dal letame nascono i fiori, ed è così che
in questa silloge, parlando di miserie umane, l’autore riesce a
fotografare magistralmente il dolore, le mancanze, la vergogna dando
loro una dignità.
Dov’è la bellezza in tutto ciò?
Principalmente
nella ricerca della parola, mai troppo forte, mai molle.
C’è però,
anche una bellezza intrinseca data dal paesaggio che circonda gli
eventi e le “umane passioni” (per passione intendo passio-onis,
da pati,
patire, soffrire).
L’equilibrio
degli scarti è un libro
sensoriale nel quale si incontrano odori spesso sgradevoli: canfora,
muffa, carne stantia, escrementi, eppure, come dicevo, tutto questo è
circondato da fiati di bellezza, facendo sì che lo sguardo del
lettore si muova altrove, su microcosmi di incanto come un merletto
nero sul capo di donne d’altri tempi che recitano rosari, o su una
piccola margheritina gialla. Bellezze a volte descritte al volo,
altre volte inespresse, ma che non possiamo far a meno di vedere e
ascoltare. Leggendo “La
salita delle ombre” si
può avere l’impressione di sentire le note di una marcia funebre
salire per una strada impervia al passo lento di una banda di paese,
musica che cresce fino a entrare dalla finestra in una casa d’altri
tempi, colma di ombre, d’afa estiva e dello sguardo sbigottito di
un padre che non può credere che la morte sia entrata senza nemmeno
bussare.
D’Angiò
è quindi in grado di creare immagini odorose parlando di miserie
ataviche ed estremamente attuali, miserie di questa moderna società
nella quale ci si chiede se il progresso non stia portando a un nuovo
terrificante livello di barbarie. L’equilibrio
degli scarti è figlio di
un non luogo nel quale non ci è possibile vedere il secondo piatto
della bilancia e muove la parola con prudenza, perché non sa qual è
il punto esatto prima della caduta.
Un
buon libro pone domande, ci si domanda allora se dare ascolto alla
teoria di Russeau che sosteneva l’innata bontà dell’uomo, o a
William Golding il quale, nel Signore
delle mosche, ci mostra
un modello di uomo che, al contrario, nasce "cattivo" e
viene educato ai buoni sentimenti. Ci si domanda "cosa" sia
l’essere umano, quali scarti produce, da quali scarti provenga.
Il
poeta dice che la fine è
già nel ventre materno. Non
ci resta quindi che nutrirci di bellezza e pesare gli scarti, che non
siano mai in eccesso, e, per essere abbastanza umani, non vengano mai
a mancare.
Per la Redazione de Le parole di Fedro
la redattrice Annalisa Mercurio
Estratto dall'opera
________
L’EQUILIBRIO DEGLI SCARTI
Se fossi il tuo ventre in attesa,
aspetterei la piegatura delle primule
prima di attraversare il deserto,
e c’è stato un tempo dove le madri
alla ruota, facevano la preghiera
con i piedi bagnati nel sangue rotto,
ora però la vista si è affievolita
e di notte cerca forza nei pezzi di ferro
poggiati sul cuscino, e non farci caso
se ti sei già perso tra queste parole,
a volte la notte più lunga passa
come il viaggio da fermo
con il posto davanti al finestrino.
Pensa, c’è chi ha visto la ruggine
ballare con il ferro più esperto,
e noi al di fuori nel silenzio
viviamo l’equilibrio degli scarti.
Oggi non scriverò nulla
e non dovrai riconoscermi.
________
LA SALITA DELLE OMBRE
Davano da mangiare nel fondo della strada
e i reduci salivano l'ombra sui muri
con ciò che restava dei loro falò,
la Santa aveva perso la conta delle teste
consegnate alla tosse, alle ferite affacciate
sul sangue riportato a casa,
lo spessore delle tempie non riusciva
a coprire bene le ossa,
era una cosa vera la morte per chi
l'aveva vista solo il Venerdì Santo,
ma li si rinasceva ubriachi.
La capra si allentava da sola,lasciando
un po' d'erba per indicare le sepolture,
le spose avevano rimesso il velo
di un altro colore, le campane
ospitavano pause impeccabili.
All'uomo fu detto che suo figlio
guardava il fiume a faccia in giù
per baciare i sassi più infelici,
e ciò che l'obbligava a sputare e piangere
era la stalla vuota dove ci si accoppiava
di nascosto, per credere all'amore.
________
Se fossi il tuo ventre in attesa,
aspetterei la piegatura delle primule
prima di attraversare il deserto,
e c’è stato un tempo dove le madri
alla ruota, facevano la preghiera
con i piedi bagnati nel sangue rotto,
ora però la vista si è affievolita
e di notte cerca forza nei pezzi di ferro
poggiati sul cuscino, e non farci caso
se ti sei già perso tra queste parole,
a volte la notte più lunga passa
come il viaggio da fermo
con il posto davanti al finestrino.
Pensa, c’è chi ha visto la ruggine
ballare con il ferro più esperto,
e noi al di fuori nel silenzio
viviamo l’equilibrio degli scarti.
Oggi non scriverò nulla
e non dovrai riconoscermi.
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LA SALITA DELLE OMBRE
Davano da mangiare nel fondo della strada
e i reduci salivano l'ombra sui muri
con ciò che restava dei loro falò,
la Santa aveva perso la conta delle teste
consegnate alla tosse, alle ferite affacciate
sul sangue riportato a casa,
lo spessore delle tempie non riusciva
a coprire bene le ossa,
era una cosa vera la morte per chi
l'aveva vista solo il Venerdì Santo,
ma li si rinasceva ubriachi.
La capra si allentava da sola,lasciando
un po' d'erba per indicare le sepolture,
le spose avevano rimesso il velo
di un altro colore, le campane
ospitavano pause impeccabili.
All'uomo fu detto che suo figlio
guardava il fiume a faccia in giù
per baciare i sassi più infelici,
e ciò che l'obbligava a sputare e piangere
era la stalla vuota dove ci si accoppiava
di nascosto, per credere all'amore.
________
L’ORA D’ARIA
L’attesa deturpata del volto dei belli
è come la lingua muta dei poeti,
sempre sulla soglia
tra il presente e il nulla,
paziente nel forgiare l’alba
di un universo sbrigativo
nelle sue pendenze.
Tra noi e la recita c’è un pessimo impresario
con poca gratitudine quando ci mordiamo
i dispiaceri con consumata maestria.
Basterebbe spogliarsi dall’asfissia
del già tutto previsto,
ignoto come la regola del retro delle cose,
e frequentare poco il bel giardino
orlato di sterpi
per guarire ammalandosi di comprensione,
per aspettare maggio e la sua piaga
del buono per diletto, solitario nostro
a specchio d’acqua che sembrano liquami,
ma sono solo secchi rami di compagnia
all’ora d’aria,
la prigione è fuori.
________
IL PADRE DI MIO FIGLIO
Il padre di mio figlio non ha
una madre
ma una piccola statua di gesso
con una frattura all’altezza
del collo
e le mani in segno di resa.
Il padre di mio figlio quando nessuno
è sterile
smette di giocare alla miseria
e muore di solitudine solo nei giorni
pari,
in quelli dispari sa che per lui
non c’è assolutamente nulla.
Il padre di mio figlio quando chiede
la carità
ha una risata che non gli muore
mai del tutto dentro,
al padre di mio figlio hanno tolto la sedia
ma gli mancava già il suo corpo
e per questo non ha sofferto molto.
Il padre di mio figlio ha i piedi molto gonfi
ma se si sdraia e fa il morto
tutto torna normale.
L’attesa deturpata del volto dei belli
è come la lingua muta dei poeti,
sempre sulla soglia
tra il presente e il nulla,
paziente nel forgiare l’alba
di un universo sbrigativo
nelle sue pendenze.
Tra noi e la recita c’è un pessimo impresario
con poca gratitudine quando ci mordiamo
i dispiaceri con consumata maestria.
Basterebbe spogliarsi dall’asfissia
del già tutto previsto,
ignoto come la regola del retro delle cose,
e frequentare poco il bel giardino
orlato di sterpi
per guarire ammalandosi di comprensione,
per aspettare maggio e la sua piaga
del buono per diletto, solitario nostro
a specchio d’acqua che sembrano liquami,
ma sono solo secchi rami di compagnia
all’ora d’aria,
la prigione è fuori.
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IL PADRE DI MIO FIGLIO
Il padre di mio figlio non ha
una madre
ma una piccola statua di gesso
con una frattura all’altezza
del collo
e le mani in segno di resa.
Il padre di mio figlio quando nessuno
è sterile
smette di giocare alla miseria
e muore di solitudine solo nei giorni
pari,
in quelli dispari sa che per lui
non c’è assolutamente nulla.
Il padre di mio figlio quando chiede
la carità
ha una risata che non gli muore
mai del tutto dentro,
al padre di mio figlio hanno tolto la sedia
ma gli mancava già il suo corpo
e per questo non ha sofferto molto.
Il padre di mio figlio ha i piedi molto gonfi
ma se si sdraia e fa il morto
tutto torna normale.
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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Francesco D’Angiò è nato nel 1968 a San Vitaliano (NA) e risiede da diversi anni a Matera. Nel 1997 ha pubblicato il suo primo racconto dopo aver vinto un concorso promosso da Alea Editrice Bari. Del 2020 è il romanzo breve Lo sconosciuto (Planet Book); nel 2021 è uscita la sua prima raccolta di versi, Clessidre orizzontali (Edizioni Tripla E), e nel 2022 la seconda, Verranno a perderci in trionfo (Gruppo Culturale Letterario). A ottobre 2022 viene pubblicata una raccolta di due lunghi racconti dal titolo Siamo tutti normali (Dialoghi). A marzo 2024 viene pubblicata l’ultima silloge a cura di G.C.L. Edizioni L’equilibrio degli scarti, con nota di lettura a cura di Alfonso Guida.
Francesco D’Angiò è nato nel 1968 a San Vitaliano (NA) e risiede da diversi anni a Matera. Nel 1997 ha pubblicato il suo primo racconto dopo aver vinto un concorso promosso da Alea Editrice Bari. Del 2020 è il romanzo breve Lo sconosciuto (Planet Book); nel 2021 è uscita la sua prima raccolta di versi, Clessidre orizzontali (Edizioni Tripla E), e nel 2022 la seconda, Verranno a perderci in trionfo (Gruppo Culturale Letterario). A ottobre 2022 viene pubblicata una raccolta di due lunghi racconti dal titolo Siamo tutti normali (Dialoghi). A marzo 2024 viene pubblicata l’ultima silloge a cura di G.C.L. Edizioni L’equilibrio degli scarti, con nota di lettura a cura di Alfonso Guida.
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