Due poeti allo specchio (da due raccolte edite di Gabriella Cinti e Sergio Daniele Donati)

 
 

SENTINELLA
Per "Shomer ma mi llailah" di Francesco Guccini
(tratta dalla raccolta "Madre"
Moretti e Vitali ed., 2017) 

Fu quella domanda-sentinella
– che acqua trapelava come la vita –
e il guanto dell’anima perdeva
la tesa del tuo sorriso scivolato.
 
Dove ti prendo, se la nebbia
si ammassa ai bordi del tuo sguardo?

La stanchezza del salvare
e cercare un antidoto di luce
per infrangere i troppi arresti.

Abbasso gli occhi per scorgere
la stella donata, con parole
da tenere nello scrigno.

Mi appago dunque del gesto
con cui ardo luce tra le tue dita,
se ne cogli scintille
–  tuo stupore di lucciole insperate. – 
 
Sentinella guardiana del fondo,
dello sciabordio del sentire,
a guardia delle rotazioni della notte,

prendi il buio plasmato nelle mani,
fanne luce, fanne sostanza.

Regala il riposo a chi se lo nega,
generosa più della secca
oscurità che ti tocca,

guarda chi non sa guardare,
presta le parole del faro,
medica chi non conosce
la natura della ferita,
scendi nella corsa vacillante,

perché noi siamo qui
a cercarti, nel terreno obliquo

di incerta traccia,
sentinella senza astuzie

che mandi senza coscienza di mano,
misura in marcia
confusa con il buio in cui ti aggiri.

Sentinella d’amore, accerchia il suo respiro
 

SALMO BALBUZIENTE
(tratta dalla raccolta "Amén"
Il leggio ed., 2024)  

La stanza azzurra
devastata dall'uragano;
non resta che qualche
goccia d'olio sacro
e un simulacro di speranza
da tramutare in canto.
 
       Le senti anche tu
       le voci roche e sfatte
       ripetere il mantra
       della fiducia nel celato
       e nel passaggio stretto
       a una pelle nuova?
       È un canto corale
       che ripete senza sosta
       e centellina resine
       e cortecce d'eucalipto
       per le ossidiane dei figli.
       A terra l'epitelio di biscia,
       concime del passato
       su una terra senza soffio.
 
Si dice che poi aleggi
ancora un vento divino
sui volti delle acque
salate dei nostri occhi,
e che di lontano il corno
che chiamano Shofar 1
laceri tempi e spazi
- ancora una volta -
per rendere possibile
la distanza dall'Altro
che chiamano amore.
Ho peccato, Moabita,
davanti al pozzo
io ho peccato.
Possa la tua voce
ancora una volta
risollevarmi il mento
alle stelle e dirigere
il mio sguardo là,
nel flusso indaco
senza fine né cominciamento
delle generazioni.
Toglimi il petrolio
dagli occhi e chiama
ancora una volta
sul nome di un uomo perso
la discesa sacra
di una nenia di consolazione. 
 
 
______
1 Shofar - corno d’ariete che si suona in momenti della liturgia ebraica particolarmente importanti.
 
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