(Redazione) - Muto Canto - 17 - Una riflessione su Aldo Giorgio Gargani
e del silenzio che consente agli uomini di pensare
e di quando gli uomini si abbandonano all’oblio di sé
e dell’oblio che li fa delirare dentro frasi impossibili
e dell’errore della loro esistenza che li fa sopravvivere
e di Berlino chiusa in un Muro di pensiero poetante
Pensatore del XX sec. Aldo Giorgio Gargani (1933-2009) lascia in eredità un percorso filosofico di grande attualità e di infinita radicalità. E’ percorso incentrato all’interno dell’intersezione tra esistenza-riflessione sull’elaborazione del sapere e processi di umanizzazione.
Gargani ci mostra il dentro dell’operare del Suo pensiero a contatto con le vicende e i luoghi in cui l’articolazione della sua vita è posta nelle condizioni di poter generare dinamiche all’interno delle quali si genera pensiero. Una grande lezione di generosità intellettuale e di umanità attraverso cui, Gargani, “imbratta” la teoria con la vita donandoci sia una dimensione inedita della lettura dell’atto del pensare che l’intento di un profondo generare cambiamenti in ambito filosofico.
Dovendo partire da un punto in grado di toccare lo spessore dell’indagine di questo Filosofo mi soffermo su un’affermazione presa da La seconda nascita2 e, nello specifico, ripercorro quella bellissima pietra miliare che è Sguardo e Destino scritto in cui viene, tra l’altro, sottolineata la differenza tra scrivere ascoltandosi (raccontando diveniamo ciò che siamo) e scrivere senza ascoltarsi (chi vuole dire tutto in una comprensione completa, definendo ed esprimendo, in tal modo, una forma di cecità di fronte alla propria stessa incomprensione).
e di quando gli uomini si abbandonano all’oblio di sé
e dell’oblio che li fa delirare dentro frasi impossibili
e dell’errore della loro esistenza che li fa sopravvivere
e di Berlino chiusa in un Muro di pensiero poetante
Anna Rita Merico
Esercizi radicali di pensiero: vedere il vedere 1 |
Gargani ci mostra il dentro dell’operare del Suo pensiero a contatto con le vicende e i luoghi in cui l’articolazione della sua vita è posta nelle condizioni di poter generare dinamiche all’interno delle quali si genera pensiero. Una grande lezione di generosità intellettuale e di umanità attraverso cui, Gargani, “imbratta” la teoria con la vita donandoci sia una dimensione inedita della lettura dell’atto del pensare che l’intento di un profondo generare cambiamenti in ambito filosofico.
Dovendo partire da un punto in grado di toccare lo spessore dell’indagine di questo Filosofo mi soffermo su un’affermazione presa da La seconda nascita2 e, nello specifico, ripercorro quella bellissima pietra miliare che è Sguardo e Destino scritto in cui viene, tra l’altro, sottolineata la differenza tra scrivere ascoltandosi (raccontando diveniamo ciò che siamo) e scrivere senza ascoltarsi (chi vuole dire tutto in una comprensione completa, definendo ed esprimendo, in tal modo, una forma di cecità di fronte alla propria stessa incomprensione).
Se si consente ai flussi interiori di lasciar tornare le cose all’interno della loro stessa infanzia si impatta con il dolore ossia con l’esistenza antica da cui proveniamo. Tale esistenza si palesa al limite di un campo visivo che è, nei fatti, un pensiero capace di raccogliere suoni mentali e segni di tutte le età in un solo punto: è in tale limite che la frase diviene l’infanzia della frase e, da essa, si affacciano, nell’esistenza, le sue infinite possibilità.
…L’infanzia è stata addestrata nel corso del tempo alle tecniche e alla disciplina, perché non si è trasformata nella tecnica e nella disciplina, ma è divenuta la nostalgia di un grande desiderio insoddisfatto che ora si mette sotto i piedi il compasso, i libri, il goniometro, il trattato di armonia, le armi… e la gente non finisce mai di dimenticarla e di riscoprirla, passando l’esistenza a dimenticarla e riscoprirla, ed è tutto il trasalimento della loro vita…3 E’ la memoria a restituire l’esistenza alla possibilità della sua narrazione. Non si narra un fatto ma si consente la possibilità allo sguardo di ritornare sullo sguardo. E’ l’atto del vedere il vedere. E’ questa la centralità dell’atto che, nella visione di Gargani, viene continuamente ritrovato e, anche, continuamente elaborato.
Lo scrivere è uno stato all’interno del quale accade la commozione dell’ascolto di ciò che è lontano e di ciò che è in grado di rilasciare chiarezza del e nel presente. E’ in questo movimento che la parola giunge dal proprio lontano confine e indica orizzonte. E’ in tale accadimento, ancora, che avviene il passaggio dall’esistenza alla narrazione. L’esistenza inizia a raccontarsi all’interno di una spoliazione di noi stessi, accade parola dall’interno di quel preciso punto in cui buio doppio e disordine caotico iniziale prendono forma e danno forma. E’ passaggio che ci colloca nella prossimità del limite dello stato in cui, dall’universo increato, passiamo a quella particolare rappresentazione che pende dalla realtà e ci consente di scoprire-nominare bellezza. E’ passaggio che ci separa dalla nostra presunta capacità di sapere quando, nei fatti, siamo fuori dallo stato estetico della narrazione, stato in grado di riposizionare pensiero e senso di realtà al di fuori d’ogni universalizzante razionalità.Il nostro vedere è ricordare, il nostro vedere è raccontare, il nostro ascoltare è ricordare: un racconto ci ha consentito di nascere, di essere nella Seconda nascita.
Abbandonato ogni piano, posso concedermi e stare dentro la possibilità di ascoltare i pensieri che mi colgono di sorpresa, essi sono suoni mentali provenienti da lontano, un lontano all’interno del quale, deliberatamente, non andiamo.
Lo scrivere è uno stato all’interno del quale accade la commozione dell’ascolto di ciò che è lontano e di ciò che è in grado di rilasciare chiarezza del e nel presente. E’ in questo movimento che la parola giunge dal proprio lontano confine e indica orizzonte. E’ in tale accadimento, ancora, che avviene il passaggio dall’esistenza alla narrazione. L’esistenza inizia a raccontarsi all’interno di una spoliazione di noi stessi, accade parola dall’interno di quel preciso punto in cui buio doppio e disordine caotico iniziale prendono forma e danno forma. E’ passaggio che ci colloca nella prossimità del limite dello stato in cui, dall’universo increato, passiamo a quella particolare rappresentazione che pende dalla realtà e ci consente di scoprire-nominare bellezza. E’ passaggio che ci separa dalla nostra presunta capacità di sapere quando, nei fatti, siamo fuori dallo stato estetico della narrazione, stato in grado di riposizionare pensiero e senso di realtà al di fuori d’ogni universalizzante razionalità.Il nostro vedere è ricordare, il nostro vedere è raccontare, il nostro ascoltare è ricordare: un racconto ci ha consentito di nascere, di essere nella Seconda nascita.
Accade,
dunque, che scrivendo sottraiamo noi stessi alla paura della nostra
libertà. Sottraiamo noi stessi alla paura dell’ineluttabilità
dell’esperienza, trascendiamo un’idea di normalità
dell’esperienza e definiamo la normalità come spazio in cui non
accade la legittimazione alla riflessione. In tale alveo prende forma
-per parte dell’umanità- la volontà di rimanere ciechi ossia al
margine dei processi di autentica umanizzazione. E’
necessario, dunque, comprendere come l’esistenza non sia frutto del
pensiero: il mondo non è lo specchio della propria mente. La
differente posizione esistente tra il pensare un mondo da descrivere
e il dover porre a critica l’esistenza consente la genesi di una
postura diversa, una postura critica dinanzi al pensiero filosofico.
Se
ciò è occorre riflettere sul fatto che, questa visione, invalida la
possibilità di qualsivoglia teoria filosofica: una teoria filosofica
è pensata-argomentata-definita come se, dopo di essa, non dovesse
esservi alcuna altra frase, questo presuppone la pretesa di porre
termine, concludere il pensiero di ognuno: non volere altro pensiero
ed esprimersi in un linguaggio impersonale costituiscono la negazione
della possibilità di procedere del pensiero. E’ l’esperienza
della sofferenza dinanzi ad una teoria filosofica ad aprire alla
riflessione dell’uscita dalla teoria filosofica ossia alla
sottrazione di sé dinanzi alla tentazione del dover-si
universalizzare al di fuori del proprio stesso fluire. La capacità
di sostenere tale sofferenza libera una frase
ulteriore
capace di ri-collocare pensiero ed esistenza.
…l’idea
di una macchina che nell’oscurità del proprio dispositivo interno
genera l’ordine universale di tutte le possibilità può soddisfare
la nostra pretesa arrogante di completezza e di fondazione…siamo
inclinati a porci in un inizio assoluto che è poi la stessa cosa di
un una fine assoluta, che è in realtà il fantasma della nostra
morte temuta ma anche desiderata…4
Ciò
che ci consente di pensare è il silenzio.
…nel corso della nostra esistenza una frase diventa lo stato estetico di una frase, una tessitura di segni e suoni mentali che si dispiega nelle diverse dimensioni del tempo e nei diversi angoli dello spazio, senza sintesi finale, senza una presenza invariante…5
Dal silenzio salgono le parole che narrano l’esistenza e mettono l’uomo contro la propria stessa esistenza, quella routinaria, quella intessuta da e in cecità. Al di fuori del dolore dell’esistenza non c’è che il silenzio e il silenzio che ci consente di pensare è la nostra solitudine tra gli altri. Ciò che consente di essere raggiunti dal silenzio, dimensione per pensare e narrare, è la capacità della resa alla ferita dell’esistenza.Abbandonato ogni piano, posso concedermi e stare dentro la possibilità di ascoltare i pensieri che mi colgono di sorpresa, essi sono suoni mentali provenienti da lontano, un lontano all’interno del quale, deliberatamente, non andiamo.
...
Se
infatti prima di andare a Berlino io avevo sempre deciso i miei
pensieri, avevo sempre deciso come si dovesse pensare, una volta a
Berlino all’Accademia io avevo smesso di decidere i pensieri perchè
venivo piuttosto io sorpreso dai pensieri… avevo cominciato a
sorprendermi nello stato dell’ascolto di pensieri che fluivano
senza una direzione prefissata…6
L’esperienza spiazzante e autentica narrataci da Gargani consiste nella narrazione e nella necessità di aver abbandonato professione e progetto per il quale era stato convocato in Accademia a Berlino, una volta giunto in Accademia.7…Io
uscivo dall’Accademia delle Scienze e delle Arti, io in realtà
fuggivo dall’Accademia e poi mi ritrovavo, dinanzi al muro di
Berlino, di fronte all’infanzia del dolore. Il muro di Berlino si
dà allo sguardo nel riflesso che esso getta sugli edifici che lo
costeggiano per quanto è lungo, gettati nella solitudine
dell’abbandono e della pietà del passato, derelitti che non
appartengono a nessuno ma che sono divenuti la memoria di ognuno, e
che alla fine sono diventati la commozione dell’infanzia che
trascorre nel gioco e nel dolore… il muro di Berlino è la frase
infinita dell’infanzia del dolore che non appartiene alla storia
che ordinariamente conosciamo e che invece è il presente che
proviene da lontano…8
Ma il nostro, oggi, è un tempo di evitamento del dolore, la sosta dell’umanità, oggi, è sulla/nella superficie. E’ condizione umana odierna l’essere entrati nelle pieghe del dolore per anestetizzato, diluirlo, lasciarlo svanire. Nelle opere d’arte del passato è ben visibile la visione e la rappresentazione del dolore foriero di destino. Dimensione umana per eccellenza.
La
connessione tra riflessione teorica ed esperienza esistenziale
orienta ad un modo di pensare che conduce ad una seconda
nascita
(rigenerare l’esistenza): è la nascita che ci diamo da noi,
raccontando la nostra storia. Il punto non è diventare ma essere,
dirigersi verso se stessi, un corpo poetico che ha vissuto nel
silenzio l’essere riverente di fronte alla realtà generata dalla
seconda
nascita
la quale racchiude il dono della parola poetica, la parola che si dà
per un accadere nella forma dell’addio alle parti vecchie di sé,
la parola che si dà nell’atto filosofico e poetico insieme del
vedere
il vedere.
NOTE
1
… Se poi vorremo incontrare il dolore… lo troveremo
conservato… nella Gemalde Galerie di Dahlem, a Berlino, dove si
trova ancora la Madonna di Hans Baldung con in braccio il bambino
che sa, da quando è nato, che deve morire… in mano un grappolo
d’uva scura che riempie il quadro del sangue da versare nella
passione del dolore…
Aldo Giorgio Gargani, vedasi nota 2 presente
testo, pg. 116, foto dell’Opera da rete.
2
Aldo Giorgio Gargani, La seconda nascita Moretti e Vitali
Editori, 2010
3
ivi pg. 111
4
ivi pg. 59
5
ivi pg. 59
6
ivi pg. 68
7
Aldo Giorgio Gargani è stato Membro dell’Accademia delle Scienze
e delle Arti di Berlino
8
ivi pg. 115
9
Il Compianto del Cristo morto(1463-1490) scultura in
terracotta, Niccolò dell’Arca (1435-1494), Chiesa Santa Maria
della Vita, Bologna. Entrambe le foto: da rete
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