(Redazione) - Speciale "I Romantici" - “Novalis: per il raggiungimento di un Assoluto” di Giansalvo Pio Fortunato

 
di Giansalvo Pio Fortunato
 
JOHN MARTIN
IL GRANDE GIORNO DELLA SUA IRA



I Romantici hanno aperto sulla nostra contemporaneità, hanno coniato mutamento radicale del modo di sentire e pensare mondo.
La Redazione de Le parole di Fedro ha progettato uno Speciale sui Romantici mettendo a fuoco taluni aspetti di Autori del XIX sec. Ad una fase di progettazione redazionale è seguita la stesura relativa agli Autori che ognuna/o ha proposto. Ne è nata una tavolozza di sguardi su quest’epoca e le sue innovazioni. Nulla di esaustivo ma, tutto nel segno del piacere della condivisione con Lettrici e lettori di Le parole di Fedro.
 
La Redazione de Le Parole di Fedro
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Relazionarsi al senso di un assoluto che si dischiude è da sempre, più o meno celatamente, l’obiettivo formativo della poesia. Vi è, forse, una sfida più grande ed assoluta del poieo? È nella procreazione inter-arbitraria che risiede lo scioglimento, l’esercizio svincolante rispetto al già udito, al già vissuto. E se questo assoluto divenisse Assoluto, segno invalicabile di uno stato pienamente esistenziale e metafisico? E se ci si trovasse innanzi al tentativo disperato di ricongiungersi non solo alla propria storicità, ma anche alla storicità complessiva di un mondo, che appare più lontano e meno lontano allo stesso tempo? E se ci trovasse innanzi al tentativo di ridesignazione della genealogia generale al mondo, attraverso una scientificità diversa, attraverso una macchinazione galileiana distinta?
Sono queste le domande che pervengono dalla lettura convulsa e pregna di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, consegnatosi alla memoria collettiva con lo pseudonimo di Novalis. È questo tentativo estremo ed acerbo, data la sua prematura morte, di incanalare non solo la poesia, ma la sua intera posizione e disposizione personale entro un vincolo che riscopra non il semplice logos del mondo, quanto l’origine, il palpito mistico primo del mondo. Esiste, infatti, in Novalis una marcata ossessione: trovare la lingua del primo respiro del mondo, scavare entro quella cognizione di una lingua che, in un avanzamento entro lo stadio della storia, incarni il vero segreto delle colonne di una natura che si costituì e si costituisce con l’uomo in lontananza. Nel giovanissimo poeta tedesco, morto a nemmeno 29 anni di tisi, persiste questa ricerca continua che lo colloca in un coevo particolare nell’intera esperienza letteraria tedesca. Il suo approccio, infatti, è estremamente determinante per l’instaurazione del percorso complessivo che assumerà la contrastante luce di Romanticismo, ponendosi agli albori di quel movimento, per certi versi dialettico, rispetto alla serrata età Illuministica. La sua figura, soprattutto per ragioni temporali e di contatto culturale, si colloca sommariamente entro il Fruhromantik, anche noto come Protoromanticismo o Romanticismo della Scuola di Jena, ma gli effettivi risvolti dell’azione personale di Novalis travalicano nettamente quell’esperienza che molto deve all’operato dei fratelli Schlegel, per installarsi in una poesia che guarda oltre e che getta le fondamenta di una ricerca estetica totalizzante e rinnovata.
Il vissuto di Novalis, seppur poco conforme al successivo stilizzarsi dell’eroe romantico, dichiara un’inevitabile legatura a doppia mandata con una poesia che è di evidente gusto romantico. Nato in un’agiata famiglia tedesca, a condizionare la sua educazione sarà una rigida formazione cristiana, specificamente di matrice protestante pietista; una rigida formazione che lo costringe a familiarizzare con uno stadio complessivo e tumultuoso di una solitudine non richiesta e costretta; comunque accettata con devota obbedienza. Unico autentico sussulto di un’esistenza troppo breve è, più che l’amore autenticamente vissuto per la giovanissima Sophie, la ricerca che ne consegue a seguito della sua morte prematura. Il forte senso di solitudine data e cortinale, congiunto all’evidenza di un mondo prestabilito rispetto al quale poter essere solo umili interpreti, spingono Novalis ad uno sforzo sempre smanioso che non nobilita il suo stato, quanto, piuttosto, lo reinventa, lo rimodula, lo aliena, lo sublima.

Malinconia profonda
spira dentro le corde del mio petto.
Colare io voglio in gocce di rugiada,
e con la cenere mischiarmi. –
Lontananze della memoria,
desideri di gioventù,
sogni dell’infanzia,
brevi gioie e vane speranze
di tutta la lunga vita
vengono in vesti grigie,
come nebbie della sera
quando il sole è tramontato.

(da Inni alla notte – 1800)
 
È questa matericità corpuscolare, questa partenza costretta entro la forza di un suolo annientante che spinge lo sguardo del poeta tedesco sempre e continuamente oltre, verso la velatura di nebbie della sera / quando il sole è tramontato, verso quel respiro che faccia prefigurare una dimensione slegata, un inadempimento nero – tanto quanto la notte – che, seppur oscuro, conduce alla regina che avvolge ogni essere terrestre / con la sua immagine celeste [1]. In Novalis, allora, è roboante, delicatamente stentoreo, questo senso di ricollocazione in un misticismo mai ingiustificato, saldamente eckhartiano e capace di sollevarsi oltre il cogito, oltre il falso abisso di una razionalità che si connette ad un mondo oggettuale e prefissato. È in questo tentativo extra-cogitante che si innesta la vera progettualità novalisiana: una progettualità che mira ad un lento percorso iniziatico, una progettualità che vuole edificare una potenza paideutica mai esprimibile nella semplice sublimazione della fuga. Si narra, attraverso la poesia di Novalis, della storia di un’anima, di un’anima che ha una fissazione propria, uno sguardo proprio, un proprio grado di esautorazione delle leggi legate del mondo. Ed in questo procedimento di maieutica, per certi versi altamente anti-socratica, emerge la narrazione di un abisso riformato. Se, infatti, la nebbiosità, il goticismo funerario del grande filone romantico sono esaltazione dell’acquisita colorazione sentimentale, nel poeta tedesco si impone sempre questa scia propedeutica, che adombra il tenero seno / della vergine e del suo grembo fa cielo [2], per aprire ad una luce più alta, ad una sterminata prateria dove si imponga la parola giusta, la parola giustificata.
 
Si strappò, di colpo, ogni legame fra la nascita e me. Fu
la catena della Luce, infranta. La malinconia confluí entro un
nuovo imperscrutabile mondo. E tu, Estasi notturna, e tu, Sonno
divino sopravveniste. Il paesaggio, intorno, si sollevò a poco a poco. Sul
paesaggio aliò, dissolvendosi, il mio spirito risorto. Il tumulo si
sfece in una nuvola di polvere. E oltre la nuvola io vidi,
trasfigurato, il vólto dell’Amata. 
(da Inni alla notte – 1800)
 
Questa ricerca metafisica, che anima i colpi analitici sulla poesia novalisiana, non è assolutamente casuale. La ricerca compiuta dal poeta tedesco, infatti, si assesta entro l’anelito claustrofobico di una realtà già scritta. Novalis, infatti, venera indissolubilmente l’eterno movimento poietico che scaturisce il mondo e la sua storia e, con esso, la designazione di un altro mondo, inteso come mondo oltre, come mondo ricongiunto all’Uno indissolubile. In tal senso, è sintomatica la ricezione di un Io che non sia tracotante, ma rigenerato – come tumulo che si sfece in una nuvola di polvere. È qui, quasi a manifesto programmatico, che ricerca genealogica e poesia si congiungono in Novalis: dove risiede la forza di un Io che sa sublimarsi e che sa ricongiungersi ad un’onni-potenza, lì la storia del mondo si rassegna a svelarsi. La costrizione interiore, in tal senso, è l’inizio di un’ascesa sovraplanare, mistico-spirituale, è l’inizio di un’induzione che, valicando la semplice trascendenza fichteana, trova nella liturgia poetica il modo di equipararsi e ricongiungersi oltre la dispersione dell’Uno primordiale, da cui si è giunti all’oggi. E tale Uno primordiale è emblema manifestante l’Assoluto a cui, ad inizio trattazione, facevamo riferimento. La dominanza dell’Uno fa il suo ingresso nella concezione poetica novalisiana a seguito della riscoperta di Plotino, emblema di un ascetismo tetico che connette l’operato platonico alla fonte spirituale cristiana, a cui il poeta connette una sublimazione complessiva del sentimento. Esiste un mondo che è un tutt’uno con Dio e la riscoperta del senso reale della natura sta nel procrearsi (poiesi) dell’uomo attraverso la strada del sentimento, attraverso la strada romantica.
 
Quando conferiamo al comune un senso più elevato, all'ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell'ignoto, al finito un'apparenza infinita allora io lo romanticizzo”. (Frammenti)
 
Questa metamorfosi programmatica, nonché primo manifesto autentico del Romanticismo, rannoda le fila ed induce a quello che è comunemente noto come idealismo magico di Novalis. Nella sua poesia, infatti, riluce con chiarezza la volontà di scavare con attenzione per elevare attraverso il sentimento. Solo l’anima, solo il gesto accorato e poetico di un’anima può ricondursi allo slegato, all’intangibile, al mistero di Dio, all’eternità, alla ricetta della vita. Novalis, dunque, potenzia massimamente la poesia, calandola oltre il confine abituale di una esplicazione o manifesto di uno stadio interiore. Attraverso la poesia, intesa nell’accezione etimologia totalizzante, l’uomo può tutto ed, abbandonando la transitorietà delle forme di terra, può finalmente sentire il segreto del mondo, riconnettersi alla natura, alla sua lingua, raggiungendo quella somiglianza primigenia con Dio stesso. Malgrado la ricerca novalisiana paia di strettissimo rifacimento spinoziano (rifacimento che molto ha contato), il suo è un approccio sempre eternamente poetico. È lui stesso ad ammettere, infatti, che l’unico autentico modo per fare filosofia sia l’atto poetico. Atto poetico, in quanto procreazione faticosa, atto poetico in quanto elevazione di un sentimento puro, incontrastato ed indomabile, atto poetico in quanto raggiungimento fantasioso e spronato della redenzione che spetta a chi raggiunge la voce del mondo. 
 
Fondato è il regno dell’eternità
in amore e in pace finisce la battaglia,
Passato è il lungo sogno di dolore,
Sofia è per l’eterno sacerdotessa dei cuori
 
(da Enrico di Ofterdingen – 1800)
 
Una voce del mondo, dunque, che non va ad istruirsi entro una razionalizzazione decisa, ma entro un cammino magnetico e magico che dà all’uomo pronto ed iniziato il culto di una Sofia sacerdotessa dei cuori. Ed è qui, che si colloca l’ultimo punto della grande, seppur breve, esperienza poetica di Novalis: l’amata Sophie. Per volontà del poeta stesso o per pura casualità (ma è davvero plausibile questa ipotesi?), il richiamo evidente del nome dell’amata al senso complessivo della conoscenza (la Sofia) è estremamente indicativo. L’amore divine il veicolo di un’autoanalisi, di un’autocomprensione ed autocollocazione; l’amore diviene la strada stretta verso il raggiungimento di quell’Assoluto, che è lo slegato esistente da principio, che è la lingua con la quale è scritta la natura. In Novalis, allora, si assiste ad un amore nobilitante, ad un amore esautorante e di trasporto, un amore che svela l’autentico ordine che muove il mondo. Non a caso, nei Discepoli di Sais (uno dei due romanzi incompiuti scritti da Novalis), la ricerca orientalizzante, che tanto deve agli studi dei fratelli Schlegel sull’Egitto, assume una direzione totalmente diversa. La dea Iside velata, se in Schlegel fa morire l’uomo che coglie il segreto primigenio della natura attraverso la scritta posta sul basamento, in Novalis si ricompone: è figurata, rappresenta ed è accessibile. Nei Discepoli di Sais, è il volto dell’amata, che diviene significanza di quel percorso spirituale e sentimentale, inteso come unico viatico di una metafisica autentica. Nell’ Enrico di Ofterdingen è il fiore azzurro, ameno simbolo della congiunzione tra bellezza, poesia e sublimazione spirituale. [3] È in una simile ricerca che, allora, può essere raggiunto, dal silenzio della ragione ordinario, il segreto che edifica il vero mondo.

“Ora io so quando si leverà l’ultimo giorno; quando la Luce
non fugherà più, spauriti, la Notte e l’Amore; quando sarà
eterno il Sonno e senza fine il Sogno. Avverto, in me, una
stanchezza celeste. Lungo e spossante mi fu il pellegrinaggio a
questa sacra tomba. Estenuante, su le spalle, la croce. Chi ha
gustato l’onda cristallina che, impercettibile ai sensi comuni,
sgorga dal grembo oscuro del monte, a’ cui piedi si rompe la
risacca terrena; chi stette lassú su quelle cuspidi, agli estremi
confini della Vita, e spinse di là gli sguardi verso la Terra
Promessa, verso i soggiorni della Notte, non tornerà piú invero
al travagliato mondo: alle contrade dove abita la Luce, irrequie-
tudine perenne.”
 
(da Inni alla notte – 1800)
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NOTE
[1] Novalis, Inni alla notte (1800)
[2] Novalis, Inni alla notte (1800)
[3] Raul Calzoni, Geroglifico e frammento. L’Egitto e la Frühromantik di Novalis – da Il Frammento (Elephant Castle – Rivista Elettronica Unibg)
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