I
Romantici hanno aperto sulla nostra contemporaneità, hanno coniato
mutamento radicale del modo di sentire e pensare mondo.
La
Redazione de Le parole di Fedro ha progettato uno Speciale sui
Romantici mettendo a fuoco taluni aspetti di Autori del XIX sec. Ad
una fase di progettazione redazionale è seguita la stesura relativa
agli Autori che ognuna/o ha proposto. Ne è nata una tavolozza di
sguardi su quest’epoca e le sue innovazioni. Nulla di esaustivo ma,
tutto nel segno del piacere della condivisione con Lettrici e lettori
di Le parole di Fedro.
La Redazione de Le Parole di Fedro
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Nerval: nelle intimità di
metamorfosi
Voglio il Centro
Voglio il Centro del Centro
Voglio il Centro del Centro del Dentro
Voglio il Centro fino al nucleo del sole
Voglio il Centro fino al Dentro che scoppia
Voglio il Dentro dello scoppio
Voglio il Centro fino al Dentro della Notte deflagrata
A.R.M.
“…Si viveva
allora in un’epoca strana, come quelle che vengono dietro
abitualmente alle rivoluzioni o al decadere dei grandi regni. Non più
la galanteria eroica come sotto la Fronda, il vizio elegante e adorno
come sotto la Reggenza, lo scetticismo e le folli orge del
Direttorio, ma un misto di attività, di esitazione e di pigrizia, di
utopie brillanti, di aspirazioni filosofiche o religiose, di
entusiasmi vaghi, mescolati con certi istinti di rinascita, di
fastidio per le discordie passate, di incerte speranze… (Iside) la
dea eternamente giovane e pura ci appariva la notte e ci rimproverava
per tutte le ore del giorno che avevamo perdute…”
Una tenuta da cascamorto, un teatro come luogo frequentato quotidianamente, indifferenza alle rappresentazioni se non l’apertura magica e ricettiva dello sguardo alla visione di Jenny Colon: apparizione e perfezione.
Si entra nell’universo di Nerval, nel suo creare a partire da un’articolata forma di “ritirata in sé”: la sua traiettoria procede dal mondo esteriore al mondo interiore sopraffatto da un autentico culto per l’intensità emotiva.
La romanticità in Nerval
si presenta come ciò che è di ineffabile carattere soggettivo in
cui la reazione agli oggetti, agli interessi è generata da uno
stimolo rammemorante a cui la scrittura risponde in maniera puntuale,
immediata, lucida. Le reazioni creative lo stringono e, al contempo,
lo lasciano sospeso all’interno di una forma di idoleggiamento
dell’incognito, dell’indistinto. In Nerval, ancora, gli spunti di
focalizzazione oscillano dall’immedesimazione che azzera
individuazioni alla magia delle distanze. Il movimento è tutto
sull’onda di una spinta interna che lo colloca, voracemente, in un’
ispirazione artistica capace di tenerlo avvitato ad una sospensione
doppia, fluida. La sua scrittura si intrattiene all’interno di un
culto dell’intensità emotiva attraverso la suggestione,
l’evocazione e la contaminazione di un reale-irreale filtrato da
sedimentazioni di zone opalescenti: è anima che lotta per essere.
…Tuttavia,
l’ambizione non era cosa della nostra età, e l’avida caccia ai
posti e agli onori cui assistevamo ci allontanava dalle possibili
sfere di attività. L’unico asilo che ci restasse era la torre
d’avorio dei poeti, nella quale salivamo sempre più in alto per
isolarci dalla folla. In quei punti elevati ove ci guidavano i nostri
maestri, respiravamo finalmente l’aria pura della solitudine,
bevevamo l’oblio nella coppa d’oro delle leggende, ci sentivamo
ebbri di poesia e d’amore. Amore, ahimè! Di forme vaghe, di tinte
rosee e azzurre, di fantasmi metafisici. Vista da vicino, la donna
reale ributtava la nostra ingenuità; occorreva che ella apparisse
regina o dea, e soprattutto che non ci avvicinassimo a lei…
Romanticità ineffabile magia
attraverso gradi lenti avanza l’ottundente insensibile
dalla materia orrida si può estrarre bellezza
la spiritualità gronda da accesi attimi
svaniscono le piane del dorato e calmo andare
bello e triste l’ogni si ama in nuovi incesti del dire
A.R.M.
Un affondo sull’epoca
storica: un XIX sec. a ridosso di epocali Rivoluzioni moderne. Un
femminile incuneato tra realtà appena toccata e rifugio
nell’evanescenza di un passato che torna. La prima oscillazione: il
tempo. Altalena complessa tra realtà, ideali, fughe. Gli eventi
rivoluzionari avevano dato orizzonte ad una visione politica fatta di
opposti ben stagliati. La letteratura risponde, giusto il giorno
dopo, con una stratificazione di sensi che aprono significati a tarli
roditori, tarli che orientano verso un altrove. Si aprono strade, le
carte si mischiano, gli opposti non possono essere i soli ad abitare
lo sguardo. Riemergono sogni alessandrini, sotterranei, si
stagliano ombre.
La prima verità posta in
discussione è la verità della Ragione che fonda. Ciò che
s’affaccia è la genesi di una spiritualità laica, l’anima vuole
partecipare a mutamenti epocali rifondando la visione e l’orizzonte
del credere. E’ una rivoluzione potente, fondante, invisibile. Per
questo tratto di rivoluzione le masse non sono più chiamate ad
intervenire. Chi sguaina linea di demarcazione -ora- è un singolo
dio, ormai in terra. Un dio impegnato in un’archeologia del
sensibile la quale anela al raggiungimento delle fonti di ciò che
precede l’essere filosoficamente inteso.
La chiamata è ad una
silenteroboante rivoluzione che si palesa attraverso il chiaro
desiderio di connessione con un arcano passato è desiderio di
ricomporre il Nuovo nell’Antico. Tendere all’antico attraverso il
sogno, la visione, il puro sentire. Processo di prosecuzione in
avanti e regressione si allineano nel percorso evolutivo del
pensiero. Inizia una contemporaneità che nega il progresso come
linea evolutiva. Inizia la doppia marcia di un passo che vuole
indagare il dentro e il fuori, il lontano attualizzato e un senso del
vicino da cui sgusciare. Una detemporalizzazione la cui profondità
sospende il divenire.
“ …
Sei tu quello che fai,
potenza primigenia,
Dei tuoi soli spenti,
che cozzano insieme…
Sei certo d’infondere
un respiro immortale,
Da un mondo che muore
a un altro che rinasce?...”
Forte l’attenzione per
lo stato del dormiveglia, anticamera dello sprofondamento nel sogno.
Vivisezionare il dormiveglia e fermarne folla di immagini che corrono
in risalita da un dentro d’ardesia in cui l’impossibilità di
toccare, stringere, prendere segna ogni spigolo di mondo che emerge.
In Nerval sono solo gli occhi a toccare, stringere, prendere. Sono
occhi che segnano il movimento dell’impossibilità di essere della
materia dentro alla realtà se non attraverso l’antico canto, la
delicata danza, l’intreccio d’amore e malinconia. Le trame di
movimento della natura s’addensano nelle immagini pennellate da
Nerval: le foglie imbrinate, il mutar del colore delle chiome esposte
ai raggi di Selene, i vapori delle brume adagiati tra le punte delle
foglie caduche. Sono immagini di presenze irraggiungibili, tutto
entra nel fuoco dell’agognato.
“…
Due volte vincitore
traversai l’Acheronte:
Modulati alternando
sulla lira d’Orfeo
Della Santa i sospiri
e della Fata i gridi.”
Immersioni totali nelle
immaterie sanguigne del tutto indistinto. Nerval punta a dire di
quella calamitante energia che lascia ombra dinanzi a risucchi
continui di realtà. Nerval canta l’energia di quel risucchio
letale che, in lui, si fissa coniando immagine, tenue spessore
schiodatosi da scene del passato. Tutto sembra poggiato in una tazza
di fine porcellana bagnata dal disegno di un visionario decoratore di
sete. Salgono e scendono da bassi gradini le movenze di Silvia, di
Adriana, e, poi, le connessioni tra loro e il pensiero che le mischia
e le confonde lasciandole slittare nei margini d’improbabili scene.
Volti intonsi dinanzi ad ogni passaggio della vita che sfiora.
Intanto convoca Durer, Apuleio, Dante, Ovidio.
Attraversare l’inconscio.
Perdere la realtà. Ritrovarla rarefatta lungo la soglia della
sospensione. Un effetto flou porta via schegge di materia. Lo spazio
della idealizzazione slabbra ogni parola potenziandola tanto da farla
sollevare da qualsiasi radice dell’essere. Un’interiore attività
onnipotente depriva l’ambiente dalla possibilità di darsi un
qualsiasi confine: l’immagine fluttua, nulla è in contatto con
alcun vincolo.
Non sempre il Poeta
gode della sua anima
accade talvolta
che
come paesaggio da finestrino di treno in corsa
gli oggetti
ad esempio i fiori di melo a Parigi
svettino in una calma sospensione dell’essere
e
la mente della scrittura abbia a funzionare come una macchina da presa
capace di allungare il tempo nell’attimo di un infinito
Non sempre il Poeta
gode della sua anima
nella tensione a liberare l’esistenza dal suo stesso peso
l’anima s’affusola in un centro calmo di tornado devastante
occhio mite trebbiante fuoco.
A.R.M.
La foresta di
Ermenonville è topos dai molteplici significati. I generi letterari
sgomitano tra loro: leggenda, fiaba, mito intersecano trama e
intessono viaggio. Emergono, come crani da terre desolate, Cavalieri
e Poeti di un passato vicino. Cavalieri e Poeti imparentati con
l’immaginario di Cervantes e il paesaggio cangiante è degno di
acquarellisti persi in cartografie di fondi d’anime. Il paesaggio
soggetto a grandi mutamenti, a causa di un’ albeggiante
industrializzazione, resta –nella potenza creatrice di Nerval-
reperto di passato recente difficile da masticare. Nella sua
scrittura, attraversata da immense visioni, s’adombrano aspetti
selvaggi e melanconici della natura. Albeggiano frammenti di paesaggi
e resti di costruzioni che contribuiscono a rendere il senso e la
nascita del romanticismo come movimento libero di essere all’interno
di tonalità emotive fatte di speranza e desiderio profondo di unità.
“…si trovano
disseminati per tutto il paese molti di questi svelti edifici della
fine del diciottesimo secolo, che milionari filosofi fecero costruire
ispirandosi al gusto dominante del tempo. Credo che in origine questo
tempio dovesse essere stato dedicato a Urania. Tre colonne erano
crollate trascinando nella loro caduta una parte dell’architrave:
ma qualcuno aveva sgombrato l’interno della sala, sospeso ghirlande
tra le colonne e ringiovanito quella rovina moderna che apparteneva
al paganesimo del Boufflers o dei Chaulieu, piuttosto che a quello di
Orazio…”
Un universo muore
attraverso Rivoluzioni all’interno di un tempo storico preciso.
Quanto tempo impiegano quelle rivoluzioni a mutare il paesaggio
interiore di un individuo? Come funziona la persistenza del passato
all’interno di un processo di demolizione e mutamento? Questi
svelti edifici della fine del diciottesimo secolo vivono nella
realtà o sono sedimenti di nuclei d’inconscio che si palesa
nell’aurora del suo attraversamento? Possiamo pensare ad una
fenomenologia dell’immaginazione creatrice?
“…la scena si
svolgeva tra gli angeli, sulle rovine del mondo distrutto. Ogni voce
cantava uno degli splendori di quel globo spento, e l’angelo della
distruzione spiegava le cause della distruzione. Uno spirito saliva
dall’abisso, stringendo in pugno la spada fiammeggiante, e invitava
gli altri a venire ad ammirare la gloria di Cristo vincitore degli
inferi. Questo spirito era Adriana trasfigurata dall’abito come lo
era già dalla vocazione. Il nimbo di cartone dorato che cingeva la
sua testa angelica ci sembrava veramente un cerchio di luce naturale;
la sua voce si era arricchita in forza ed estensione, e le fioriture
infinite del bel canto italiano ricamavano con i loro cinguettii
d’uccello le frasi severe di un pomposo recitativo.
Ripensando a questi
particolari, mi avviene di domandarmi se siano reali o se li abbia
sognati…”
Nulla di più misterioso invisibile filigranato di un paesaggio dell’anima
senso enigmatico e profondo delle cose in liquidi fili di vita e di vertigini
identificazione con l’immagine e fantasticheria sgorgata da immagini baciate da grammatiche altre
il sogno dilaga imbrattando ogni minuto spazio della vita reale
divampa fuoco di conoscenza
amore immortale guida l’andare
mistica unità in fecondo ritmo di respiro
A.R.M.
La lettura di Nerval
immerge in dimensioni fantasmatiche di soli implosi e di presenze che
usurpano e tagliano il tempo: frammenti visivi che appaiono e
scompaiono repentini. Alcuni frammenti s’evolvono appena in gotica
storia o in ralenty di personaggi sovra stratificati da simboli.
Tutto è sommerso negli abissi di elaborazioni interiori vissute nel
segno di spaesanti regressioni. Incombe, padrona, la presenza di
un’anima che anela all’unificazione di schegge sparse in un
andirivieni tra vita e morte, tra un irreale intero ed uno spazio
frantumato. Nerval pensa e tratta ombre come fossero presenze
autentiche utili a placare la sete d’infinito e di unità. Nerval,
ancora, rende un cambio di sensibilità. Al centro di tutto vi è un
motore che espelle continui oggetti visivi.
Il Suo è il movimento di
uno sguardo intento a riaversi da un trambusto simbolico volto a
raggiungere equilibrio e umanità rigenerata attraverso un travaglio
spirituale. Quella di Nerval è una condizione della sensibilità
assolutamente inedita. L’irrealtà, il fantastico, una sregolata
fantasia, l’irrazionale in posizione di altera opposizione e
superamento dello spirito razionalistico. Acuminare lo sguardo,
sfondarne il confine, allargarlo con apertura di mantice sino
all’identificazione che disindividua. Nerval non si ferma dinanzi
all’invadenza immateriale del suo paesaggio interiore che definisce
sogno e che, ancora, accende in lui l’idea del superamento, dello
scacco vittorioso sulla malattia. Quella di Nerval è anche una
posizione verso parole mancanti, parole utili a dire l’inabissarsi.
Lo statuto dell’inconscio
non è ancora stato definito, il passo di Nerval forza il possibile
facendo suo ogni superamento di limite dell’illusione: andare
oltre, andare oltre nella vertigine di un fuori che diviene infinito
dentro.
“Mi chiedi perché
ho in me tanto furore
E sul collo flessibile
un indomito capo;
Io sono scaturito
dalla stirpe d’Anteo,
Volgo i dardi contro
il dio voncitore.
…
Tre volte m’immersero
nell’acqua del Cocìto,
Da solo proteggendo
mia madre Amalecita,
Risemino ai suoi piedi
i denti del drago antico.”
Come non pensare a due
dei fondatori del sapere del XX sec? Carl Gustav Jung e Marie Curie:
entrambi prigionieri del sogno visionario dell’invisibile. Per Jung
in un profondo di significati in sé che lega l’intera e connette
l’intera umanità, per Marie Curie un filo azzurro di radioattivo
fuori di sè che lega l’umano all’universo. Il romanticismo di
Nerval presenta molti caratteri ma non è da tralasciare quel filo
che lo lega a tutto il fenomeno epocale delle connessioni con
l’invisibile, ossia con l’universo del sentire il palpito dello
spirito del tempo. La domanda che ne resta è: quale realtà sta
premendo alle porte e come la letteratura, nel suo pregno lavoro
simbolico, preannuncia cambi radicali nel modo di percepire-dire il
mondo? La realtà da cui Nerval è sopraffatto è un desiderio
profondo di attraversamento del mito non solo nella sua accezione
classica. Nella sua immensa visione il Mito ha attraversato, con
poderose cavalcate, l’intera storia dell’umanità ripresentandosi
in volti e personaggi di cui e in cui Nerval si percepisce epigono ed
esito.
Lacerazione
esaltazione ossessione
frantumazione d’ogni
contenimento
oltre ancora
inimmaginabile dolore
guida l’andare
A.R.M.
E’ un “fuori” in
cui il mistero di vita e morte si uniscono offrendosi in mistica
unione. Unione che rimanda a immagini primordiali divoranti, la
separazione-unione è la possibilità di essere nel dentrofuori
della comunità umana, nell’interrogazione sull’appartenenza ad
essa.
Divinità primordiale,
marchio di assenza involuta ma -anche- trascesa, la Madre-Donna
diviene tensione alla perfezione e mancanza assoluta, luogo di
idealizzazione e centro di vuota assenza, sprofondamento che oscilla
tra immensità dantesche e stretti canali bui che annunciano
impossibili nascite alla luce di fiammate prometeiche.
Nerval cavalca tutti i
volti del femminile primordiale: Artemide, Ecate, sino ad Iside ed
oltre. L’andare nelle Origini fa venire alla mente i primigeni
universi di contatto in cui l’incesto matrilineare è passaggio
fondamentale per la strutturazione del piano legato
all’individuazione.
Estremi di varchi con
l’oltremondo simbolico.
Sincretismo e unità
dolore pieno di desiderio in acuta tensione
giungere lì dove alle sorgenti uomo e animale s’adombrano acuti
e Pasifae si lascia montare dal Toro bianco
e chiude unione incestuosa cultuale in un figlio ripudiato
e che disegna inizio di separazione tra regni
e che dice individuazione rituale nel dolore dell’io e del tu irrimediabilmente scissi
e nascita della Legge
e ritorno nel corso del tempo del desiderio d’unione con la Madre mistica
e Sylvie, figlia del Fuoco, va sposa in simbolico matrimonio con una parte di sè
e annulla il tempo, unico tempo possibile quel senza tempo della reincarnazione
e tempo in cui l’unità torna ad essere possibile e mostrarsi
e l’esperienza abbandona l’esterno
e tutta si dipana nel dentro come dentro della bolla di Brughel nel Giardino delle Delizie
A.R.M.
Non si può leggere
Nerval se non con l’occhio infuocato della dinamica interiore
dell’Autore, dinamica che colloca, chi legge, nello spazio cremisi
del procedere creativo nel non luogo del contenuto psicotico. Ogni
avanzamento della ragione, arretra. Questa prima radice del
romanticismo è nel magma di ciò che chiede oltrepassamento e
orizzonte: Prometeo è stato radice iniziale di individuazione ed
evoluzione dell’umanità, tradimento punito dell’origine divina.
e Holderlin ne piange lacrime di sangue e fiamma e eterno in Empedocle
e
e per entrambi il dentro di una metamorfosi ovidiana in cui l’approdo è radice in terrosa Natura
e in Beatrice e in Dulcinea ed in Diotima ed in Aurelia s’intesse lo stesso intimofondo canto di luce
e
A.R.M.
Si delinea il
Romanticismo. Un romanticismo invisibile ad ogni Salotto. Si delinea
il romanticismo nel dramma di Rahel Varnaghen, nell’utopia civile
di Eleonora Fonseca Pimentel o in quella politica dei Carbonari. Si
delinea il romanticismo nelle vicende di onde che s’addensano in
domanda di realtà capace di individuare l’individuo a partire da
una sacralità che non è fuori ma dentro sè. Domanda possibile
perchè non è ancora congelato il filo che lega pensiero a esistenza
nella dimensione valoriale, pensiero a possibilità autentica
d’essere. Sarà l’ultimo segno dolorosamente vitale prima della
scissione definitiva tra pensiero ed immiserimento coltivato
dall’avvento della dimensione omologante, tra linguaggio e morte
del significato.
“… Di fronte alla
rivelazione di quell’assenza il grido del poeta è di terrore,
perché la scomparsa del reale trascina fatalmente con sé anche
quella degli Dei, che avrebbero dovuto reggerlo:
<Oh! non
fuggire!... la natura muore con te!>”
Quanto Nerval sa della
morte psichica trasmutata in trascendimento d’estasi di ritorno? Ne
dirà molto anche Nietzsche che saprà, anche Lui, oltrepassare la
soglia dei gradi dello sprofondamento nell’abisso e dell’abisso
dell’essere. Oltrepassare soglie reggendosi ai saperi primordiali
delle iniziazioni, capovolgimenti e superamenti di realtà per
eccellenza. Cordate solitarie d’energia cosmica nel tragico. In
Aurelia si dipana un attento sismografo in cui incerte prospettive si
rincorrono giungendo da ognidove e Nerval registra indifferenti
differenze tra sogno e realtà. Nerval conduce il sogno ad
attraversare genealogie, cambi di campo, immagini predatorie. Ne
scaturisce una poetica della visione che lascia ondivaghi e rapiti.
Ne scaturisce una pienezza dell’anima incistata nella mnemotecnica
dell’immaginazione.
“…ma come
stabilire i centri individuali da essi emanati, da cui essi emanano
come una figura <animica> collettiva la cui combinazione
sarebbe insieme molteplice e limitata? Tanto varrebbe domandar conto
al fiore del numero dei suoi petali o delle divisioni della sua
corolla…, al suolo delle figure che traccia, al sole dei colori che
produce…”
Un universo ovidiano si
palesa, le forme si compenetrano, mutano, deformano, liquefano l’una
nell’altra. Un’umanità ctonia sfila sono gli abitatori
primitivi della montagna, abitanti arcani posti alle spalle di
moderne leggi e convenzioni sociali che regolano il venire di
un’epoca industriale che Nerval contrasta con’unione, una patria
mistica in cui avviene ogni annullamento dell’inquietudine.
“…-L’Universo è
nell’oscurità!
… Chi dunque aveva
fatto questo miracolo? Una dea raggiante guidava in questi nuovi
avatars l’evoluzione rapida degli uomini. Si stabilì allora una
distinzione di razze che partendo dall’ordine degli uccelli
comprendeva anche le bestie, i pesci e i rettili… ogni volta che
uno di questi esseri moriva, rinasceva immediatamente sotto una forma
più bella e cantava la gloria degli dei. Frattanto uno degli Elhoim
ebbe l’idea di creare una quinta razza... Questi strani misteri si
svolgevano nel centro dell’Africa, al di là delle montagne della
Luna e dell’antica Etiopia…”
Nell’andare febbrile,
lucidamente acuto, emerge la domanda sul chi sia lo spirito dello
sdoppiamento che fa dire a Nerval l’uomo è doppio.
Imprescindibile e sempre presente la danza delle scissioni. Pessoa ne
farà bocche parlanti e passo labirintico in sovrapposizione di
sogni.
La città di Parigi si
rapprende e svanisce in entrate, uscite, sovrapposizioni di luoghi.
Giunge il 1853. Si
delinea, felpato, l’arrivo nella clinica di Dubois.
Le pagine dei
Memorabilia
cantano l’uscita dallo stato immaginativo, una guarigione in cui
Nerval redime quanto vissuto chiedendosi come e quando sia possibile
varcare le soglie che consentono il governo delle sensazioni e degli
spiriti della notte tesi a sopraffare la ragione, il senso dei
sogni, lo stato di veglia. Vi è in Nerval la chiara idea che, quanto
avvenuto, sia stata una discesa agl’inferi. Spiritualità,
emotività, fantasia, immaginazione, annientamento e dominio,
irrazionalità, confessione, slittamento di piani,
deterritorializzazione, emersione dal tempo impastato di oblii e di
memorie ataviche, impossibilità e traslucide certezze. Non compare
una sola gamma dell’animo che sia assente da questa scrittura la
quale è, nei fatti, un taccuino di viaggio nell’abisso del
pensiero.
Narrò di come un’anima s’appressa alla gestazione di sé verso la propria nascita
Narrò desiderio infinito di unificazione di schegge
Narrò possibilità creatrice e immagini isolate fedelmente amate
Narrò l’intenzionalità dell’immaginazione che apre coscienza e dice luce
A.R.M.
La crisi del 1841
traghetta Nerval in un universo simbolico in cui è svelato il ruolo
del sogno e di una diversa consistenza della realtà. Il Dialogo con
le Madri diviene un contesto imprescindibile. Sente in sé il potere
di modellare, pensa di poter modellare l’essere ondivago in
trasformazione di cui Aurelia diverrà approdo e mondo, mitologia e
cosmologia. L’amore resta nello spazio definitivo della lontananza
eppure è motore primo.
Il neoclassicismo evapora
definitivamente tra le pieghe delle anime di Diotima e di Aurelia:
trasfigurazioni e rappresentazioni di un femminile dalla compiutezza
irraggiungibile. Vesuvio ed Etna sono i ventri in cui la parola si
forgia in ricchezza di significati su nera serice.
Illusione compiuta
girovagare tra i ruderi di Pompei durante la notte nelle possibili
vicissitudini del viaggio Napoli-Resina.
“Penso a te, Mirto, divina incantatrice,
All’altera Posillipo chiara di mille luci,
Alla tua fronte accesa dei bagliori d’Oriente,
All’uve nere attorte nell’oro della treccia.
…
So perché laggiù in fondo si è riaperto il vulcano…
Tu ieri lo sfiorasti con agile piede,
E veloce si ammantò l’orizzonte di ceneri.
Un duca normanno infranse gli dei d’argilla,
Dipoi, sotto i rami del lauro di Virgilio,
Sempre l’ortensia pallida va sposa al verde mirto!”15
La matrice agognata
della bellezza s’incunea, per Nerval, nelle sembianze di Iside
colei che racchiude ogni riferimento al generante, al sacro. Nerval
ripone in Iside tutta la sommatoria dei caratteri che,
religiosamente, attraversano la sacralità femminile sino al
Cristianesimo. Questo movimento, tipicamente nervaliano consente al
suo pensiero di muoversi per stratificazioni e somme di significati
simbolici. Nerval è rapito dal tutto che va a sintesi. Le
domande sul presente non tacciono e, rispetto al tema
del sacro,
sono sintesi dell’intera elaborazione di pensiero dell’Autore e
del suo sguardo sul presente.
“… Figlio di un
secolo scettico più che incredulo, ondeggiante tra due educazioni
contrarie, quella della Rivoluzione, che negava tutto, e quella della
reazione sociale, che pretende ricondurre l’insieme delle credenze
cristiane, finirò forse coll’essere indotto a creder tutto , come
i nostri padri filosofi erano stati indotti a tutto negare?...”
E ancora:
“… I suoi capelli
fitti e lunghi che finiscono in riccioli, le inondano fluttuanti le
spalle divine; una corona multiforme e multiflora le adorna il capo,
e la luna argentea brilla sulla sua fronte; ai fianchi si torcono
serpenti tra le spighe bionde, e la sua veste dai riflessi indecisi
passa, a seconda dei movimenti delle pieghe, dal candore più puro al
giallo zafferano o sembra rapire il rosseggiare della fiamma: il
mantello, d’un nero cupo, è seminato di stelle e orlato di una
frangia luminosa; con la destra tiene il sistro che dà un suono
chiaro, con la sinistra un vaso d’oro in forma di barca…”
Infinite, dunque, le
sovrapposizioni di sensi e di rimandi all’interno del testo
nervaliano. L’analisi testuale e la ricerca delle ricorsività non
possono condurre a chiarezze meramente razionali di significati. Il
verso con una propria linearità e temperatura può, improvvisamente,
essere traghettato da una biga inferocita verso lande in cui i
mutamenti oscuri di paesaggi fissano un’ossessione che ritorna o
l’irrompere di una cascata di stratificazioni non controllabili.
Inizia a farsi strada la
decisione di seguire il flusso di energia della parola che dice di un
ordine feroce di trasporto da parte di energie di immersione e di
energie di innalzamento. Nell’entrare nel ritmo a tratti coreutico,
a tratti luciferino si dipanano somme di saperi accumulati e colate
di flussi detti in scrittura al di là ogni possibile metodo. In
alcuni passaggi la scrittura è vicinissima al ventre delle cose, in
altri lontanissima eppure, l’esito, è un magnetismo d’attrazione
verso il dentro del testo. E’ come se il tragico nutrisse
continuamente una particolare qualità della bellezza. Una bellezza
rabbiosamente fuggita dalle stanze del neoclassico eppure da esso
intorbidata e mai da esso libera.
Dafne, conosci la romanza antica,
Del sicomoro all’ombra o sotto i bianchi lauri,
Sotto l’ulivo il mirto. O i salici tremanti,
La canzone d’amore che sempre ricomincia?...
Riconosci il TEMPIO dal peristilo immenso,
E gli amari limoni col segno dei tuoi denti,
E la grotta, fatale agli ospiti impridenti,
Dove del drago vinto dorme l’antico seme?...
Torneranno, gli Dei che sempre piangi!
Il tempo ricondurrà l’ordine dei giorni andati;
La terra ha trasalito d’un soffio profetico…
Tuttavia la sibilla dal volto latino
Ancora dorme sotto l’arco di Costantino
-E nulla ha importunato il portico severo.18
Estenuanti calcoli,
appunti, quadrature di ricorsività, connessioni al cosmo nelle
dimensioni spazio-temporali, glaciazioni in vuoti siderali foderati
da dolore declinato negli spazi dell’infinito. Tutto, nelle sue
pagine, è non tempo e non luogo capaci di centripetare un volatile
della materia condensata in pensiero mai allocato nella sfera del
razionalmente conosciuto.
E così accade che tutta
la tensione accumulata tra le pagine di Aurelia cola leggera nel
passo de Le Canzoni del Valois
e così, ancora, dopo aver sentito il proprio riso imbrigliato tra
pulegge di diamante, merletto di vela maestra, bambini tagliati a
pezzettini, e la figlia del Duca Luigi, e la Dina e la Susetta, e la
Lisetta e la Mombisetta… esplode desiderio di tornare alle Figlie
del Fuoco e la lettura si ripresenta di grandezza altra.
E Nerval, ora, è Lui a
ridere per pegno sottile preteso all’inizio.
E, solo dopo aver sentito
la tensione sciogliersi tra queste pagine che chiudono l’edizione
italiana de Chimere può realmente iniziare l’esperienza di lettura
in questo viaggio iperbolico, magistrale per insegnamenti e
scandaglio del limite che è Gerard de Nerval: Pensatore delle albe,
Architetto di trasmutazioni, moderno Caronte nello sconosciuto a
venire, Agitatore di ritmi, Sarto di asole divine.
Uomo! Libero pensatore –ti credi al mondo
Solo a pensare, mentre la vita irrompe in ogni cosa:
Delle tue forze la tua libertà dispone,
Ma dai consigli tuoi è assente l’universo.
Rispetta nell’animale uno spirito attivo…
E’ un’anima, ogni fiore, dischiusa alla Natura;
Nel metallo riposa un mistero d’amore:
Tutto è sensibile; - E tutto sovrasta!
Temi nel muro cieco uno sguardo che spia:
Una parola è avvinta nella materia stessa…
Non fare che si pieghi ad uso empio.
Sovente nell’essere oscuro abita occulto un Dio;
E come occhio nascente, velato dalle palpebre,
Un puro spirito gonfia la scorza delle pietre.20
Nel congedare questo mio
non posso non richiamare l’attenzione sull’importanza dei due
traduttori delle Opere a cui ho fatto riferimento. Cesare Giardini
(1893-1970) per Le figlie del Fuoco… Rizzoli 1954, e Diana
Grange Fiori (1918-2001) per Chimere…Einaudi 1972: due
immensi intellettuali italiani. Le loro traduzioni sono libro nel
libro, entrambi hanno magistralmente redatto note introduttive ai
testi di Nerval da loro tradotti.
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