(Redazione) - Speciale "I Romantici" - "Contromodernità e cristianesimo come motore della società e dell'arte in Chateaubriand e De Maistre. Due mondi a confronto" di David La Mantia

 
di David La Mantia

CASPAR DAVID FRIEDRICH - IL VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA 1818

I Romantici hanno aperto sulla nostra contemporaneità, hanno coniato mutamento radicale del modo di sentire e pensare mondo.
La Redazione de Le parole di Fedro ha progettato uno Speciale sui Romantici mettendo a fuoco taluni aspetti di Autori del XIX sec. Ad una fase di progettazione redazionale è seguita la stesura relativa agli Autori che ognuna/o ha proposto. Ne è nata una tavolozza di sguardi su quest’epoca e le sue innovazioni. Nulla di esaustivo ma, tutto nel segno del piacere della condivisione con Lettrici e lettori di Le parole di Fedro.
 
La Redazione de Le Parole di Fedro
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Il pensiero del primo oggi non pare giustificabile. Eppure se l’apologia del boia, la difesa a spada tratta dell’Inquisizione, della tortura e della pena di morte, le sue posizioni sulla guerra come strumento utile, il ruolo del male e la funzione della Provvidenza creano ancora scandalo, l'argomentazione del Conte evidenzia ancora oggi i limiti ed i punti di debolezza della filosofia illuministica. Prima del 1789, de Maistre, nato nel 1753 a Chambéry e morto a Torino nel 1821, non aveva interesse per nessuna causa politica. Giudicato un cattolico liberale, si mostró ostile all’assolutismo e patrono delle autonomie e dei privilegi locali. Con la rivoluzione, capí, però, che al cambiamento politico sarebbe seguito un inesorabile salto di civiltà, di gusto, di stile. Senza Dio, senza la Sua attiva partecipazione al mondo, niente sarebbe stato come prima.
La critica alla Rivoluzione Francese di due Romantici sui generis come De Maistre (1753-1821) e Chateaubriand (1768- 1848) nasce proprio dall'individuazione dei Giacobini e dei Cordiglieri come" selvaggi", come fautori della ybris, dell'eccesso, come corruttori della bellezza, rovesciando la maniera di Rousseau, come coloro, cioè, che si sono allontanati dalla moderazione del Cristianesimo.
De Maistre parte, dunque, negando Rousseau, dallo “stato di natura” teorizzato dal filosofo, in cui il fanciullo non è buono, ma resta comunque innocente, se non viene inquinato dalle comodità e dalle illusioni della "social catena". Va ricordato, conunque, che per tutti gli illuministi la natura di un essere nella sua autosussistenza rappresenta la perfezione, un insieme di genuine passioni, che rischiano di corrompersi nelle convenzioni e negli artifici che la società impone.
A giudizio di De Maistre, ad esempio, lo “stato nativo” roussoiano è una pura astrazione, priva di fondamento, che presuppone un individuo isolato che esista prima e innanzi la comunità. Fatto impossibile.
Al contrario del pensatore del Contratto sociale, De Maistre sostiene che, in primis, la “natura umana” non ha niente a che vedere con l’ipotesi di uno stato originario, brado e selvatico. La natura umana è partecipazione della natura divina e l’uomo naturale ha già fatto uno sviluppo e una evoluzione civile proprio grazie all’intervento di Dio. In secondo luogo, un percorso di autocreazione della propria Weltanshaung da parte del fanciullo, tramite il libero dispiegamento di tendenze naturali e inclinazioni, non si può dare senza la presenza di autorità e regole. Questi sono fattori necessari: l'autorità divina garantisce, in ultima analisi, tutto questo percorso.
Joseph de Maistre, quindi, credeva nell'opera civilizzatrice della religione, di come essa non dovesse essere considerata come nemica del governare, ma come base di partenza e come deposito di valori, senza i quali il rischio è quello di una repentina e irreparabile disgregazione.
Di un trionfo del selvaggio e dell'orribile.
Per de Maistre, la costituzione politica inglese, fondata su un'eredità che passava da una generazione all'altra, era un bene comune da rispettare, da proteggere, da custodire; al contrario, la costituzione scritta dai rivoluzionari diveniva, in essenza, proprio qualcosa di astratto, che non si fondava sul carattere e le tradizioni della nazione. Da questo nesso logico, la tradizione divenne per lui un must, da difendere a ogni costo.
Completamente diversa la lettura, invece, da parte di René Chateaubriand: l’opera di Rousseau viene interpretata in una luce di opposizione all'Illuminismo ed al progresso e addirittura il filosofo viene definito “cristiano a metà”, o comunque sulla strada della restaurazione della religione contro le “ragioni della ragione”. Chateaubriand tenta nella sua opera di «prouver que le christianisme vient de Dieu, parce qu'il est excellent» («dimostrare che il Cristianesimo viene da Dio, perché egli è eccellente»). Con questo obiettivo, l'autore di Atala si interessa, in particolar modo, ai contributi artistici della religione cristiana, confrontandoli con quelli delle civiltà antiche e pagane. L'idea principale del suo pensiero, al contrario di quello leopardiano, che vede nella vicinanza degli antichi alla natura il vero punto di forza di una visione imaginifica della poesia, è infatti che "solo il Cristianesimo spiega il progresso nella letteratura e nell'arte". Chateaubriand trova nel Cristianesimo un elemento di evoluzione spirituale, che, nella cultura, nella scienza, nella società e nell'arte, con il suo «genio», ha agito come elemento propulsivo, di cui, dimenticato l'atteggiamento arrogante del sec. XVIII, bisogna riconoscere l'importanza e tracciare la storia.

«Cercherò di dimostrare che di tutte le religioni esistite, la religione cristiana è la più poetica, la più umana, la più favorevole alla libertà, alle arti e alla letteratura; il mondo moderno le deve tutto, dall’agricoltura alle scienze astratte. Bisogna dimostrare che non c’è nulla di più divino della morale cristiana, nulla di più piacevole e maestoso dei suoi dogmi, della sua dottrina e del suo culto; la religione cristiana favorisce il genio, affina il gusto, sviluppa le passioni virtuose, conferisce vigore al pensiero»

Anche in Chateaubriand l’assenza di Cristo e del génie del cristianesimo, elementi di moderazione dei comportamenti del popolo, spingono a dinamiche senza controllo. Nelle descrizioni delle Memorie esplodono fatti di crudeltà, vendetta, sadismo, rabbia incontrollata, la mancanza di ogni forma di empatia umana. In ultimo, l'assenza di carità cristiana.

La devastazione è ovunque. Emblematica quella del convento dei cordeliers dove si è installata la fazione giacobina che da esso ha preso il nome. Il luogo è reso ormai irriconoscibile per la furia belluina che vi ha imperversato. I quadri, le immagini sacre scolpite o dipinte, i tendaggi e le tappezzerie del convento erano state strappate via, la basilica scorticata mostrava solo le sue ossa e i suoi costoloni. Nell’abside, dove il vento e la pioggia entravano attraverso i rosoni senza vetrate, si tenevano le sedute”.

D’altra parte, la negazione di Dio è la forma ammodernata di quella ybris abtica, odissiaca soprattutto, che induce al superamento del limite e della misura, alle quali l’uomo deve attenersi secondo ragione, per poter essere e rimanere integralmente “umano”.

Quella ybris, in cui gli antichi avevano visto la fonte di ogni male, e che sembra non esaurire mai la propria capacità di produrre dolore e sofferenza per chi ne è preda e per chi gli sta vicino. In quella sorta di bolgia, brilla la figura di Danton. Un Danton molto diverso da quello eroico che ci viene raccontato. Un massacratore, un antieroe in preda ai furori, non un filosofo.
Chateaubriand non pensava che ogni rivoluzione fosse un male in sé, ma “ Una rivoluzione può essere buona solo se combatte un male cui non sostituisce un altro male. Non lo è per nulla quando vi sostituisce un male più grande”. E il male più grande lo aveva sperimentato in prima persona, quando si era trovato di fronte la follia dei giacobini.
La controrivoluzione di Chateaubriand sarà non per nulla quella condotta soprattutto sul piano letterario ed estetico, mettendo a confronto il genio del Cristianesimo con le degenerazioni dell’illuminismo, nel cuore del quale anche i pensieri che sembravano buoni si erano rovesciati in rovine e disastri. Nell'orrore che è, per Chateaubriand, morte di Dio e dei valori emanazione della sua azione.
Di questa mancanza di bellezza dovuta all'assenza della divinità, si ebbe il sentore già nel celebrato 14 luglio, che fu in realtà il fuoco delle forze sataniche latenti nella nostra specie, nonché nella stupidità che le esalta. Chateaubriand assiste allo spettacolo delle teste mozzate, in un turbinio di polvere, in mezzo alle acclamazioni della folla. Allora vede avanzare fra la folla, due teste staccate e sfigurate, che le avanguardie di Marat portavano sulle picche. Sono quelle di due innocui funzionari, Fullon e Bertier.
La trasformazione si è finalmente compiuta. Il selvaggio rousseauiano, da innocente, è diventato feroce, crudele, senza moderazione. Lontano da Dio e dalla poesia.

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BIBLIOGRAFIA
1 - Un interessante articolo su Avvenire.it -Agora
2 - Joseph De Maistre su Treccani.it
3 - Un interessante articolo su jstor.org
4 - Joseph de Maistre, Stato di natura. Contro Jean-Jacques Rousseau, F. Boccolari (Curatore) Mimesis, 2013
5 - Una voce da Treccani.it
6 - Articolo su Le Lettere.it
7 - Su radiospada.org
8 - Articolo di Luciana Baldrighi
9 - Catalogo libri Einaudi - i Classici
10 - Un interessante articolo su Il Giornale.it

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