Sono stanco (Oblivion)
tiranna e malvagia
m'obbliga a un passo
senza fine e trascura
il mio occhio spento
sulle sabbie del ricordo.
E tu, che hai dimenticato
il mio sorriso sdentato
e il mio sguardo bambino
per una breve mia assenza,
danzi e ridi, dandoti la regola
di una gaiezza che è finzione
- un poster corroso dalle nebbie
di Milano su un muro
che perde calcinacci
su calcinacci.
Era il muro dei nosti baci,
- ricordi? -
e sosteneva a malapena
la potenza del nostro amore,
felice di cedere tenuta
all'avanzata del vero
nei nosti corpi.
Ma no; tu non ricordi,
e non sai più il mio nome
Lo riempi di aggettivi
monchi, come si fa con chi
è ormai nell'oblio
e, senza peso,
vaga come suono evanescente
nella timeline delle tue conquiste.
Eppure ho danzato
tutto questo tempo
solo
e sono stanco di mantenere viva
la memoria del peso
e degli addii.
Da solo ho danzato
- a spirale ho danzato -
verso il mio centro vuoto
e non ho più ricordo del timbro
della tua voce d'ambra,
né del colore dei tuoi capelli.
Resta quel muro
che ora piange lacrime d'argento
per la mancanza
del nostro appoggio instabile
alla sua antichità disumana.
Forse siamo stati gli ultimi
a dargli un senso
posando labbra su labbra,
là, sotto la nebbia di un futuro
incerto,
e una definizione di noi
muta e balbuziente.
Sono stanco,
eppure ancora ballo;
lo stivale è tiranno
e domina il mio passo
una musica argentina.
Ballo solo, senza ricordo
dei tuoi capelli
e della tua voce,
con la sola compagnia
di un fuoco fatuo;
un muro decrepito, felice
di poter ricordare ancora
i baci di giovani amanti
- troppo vecchi per credere
ancora all'amore.
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"Oblivion" di Astor Piazzolla
Animazione di Ryan Woodward
Video lettura di Lorenzo Pieri
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