(Redazione) - Figuracce retoriche - 23 - Anfibologia (o anfibolia)
Cos’hanno in comune una simpatica ranocchia e la nostra figura retorica del giorno? Immagino abbiate notato una certa somiglianza tra il nome ANFIBOLOGIA e la parola ANFIBIO: Anfibologia deriva come al solito dal greco ed è un termine composto da ἀμφίβολος (amphíbolos) 'ambiguo' e da λόγος (logia) 'discorso', invece, la rana è un anfibio, parola che deriva sempre dal greco che con la prima ha in comune il prefisso ἀμϕι (anfi) doppio, più βίος (bios) vita. Ecco che la rana e la nostra figura retorica hanno moltissimo in comune. La rana ha una doppia vita (terracquea), mentre l’anfibologia trova la sua doppia vita in una ambiguità sintattica o semantica, cioè è sostanzialmente una frase che ha un doppio significato ed è per questo interpretabile in modi differenti.
Per
anfibologia si può intendere non solo una ambiguità dal punto di
vista della struttura della frase, ma anche un’ambiguità in senso
lato, quindi,
questa figura retorica può essere piuttosto insidiosa:
ne sa qualcosa il povero Creso, che mal interpretando il responso
dell’oracolo di Delfi, portò il suo regno alla rovina!
Ce lo
racconta Erodoto nelle Storie:
"Creso era indeciso se muovere guerra a Ciro, re dei persiani,
perciò si rivolse all'oracolo di Delfi, dal quale ebbe questo
responso: «Se
Creso muove guerra a Ciro, distruggerà un grande regno».
Creso pensò che il responso fosse a suo favore e che perciò avrebbe
distrutto il grande regno dei persiani, invece, distrusse sì un
grande regno, peccato fosse il suo.
E,
a discolpa di Creso, devo dire che non fu l’unico a fare i conti
con l’ambiguità degli oracoli che con il doppio senso giocavano
spesso; un altro esempio infatti, è il racconto di un baldanzoso
giovane soldato che chiese alla Sibilla Cumana come sarebbe andata la
battaglia alla quale stava per prendere parte, e si sentì da questa
rispondere: “Ibis
redibis non morieris in bello”.
Questa frase può essere intesa nei seguenti modi:
1)
Andrai, tornerai, in guerra non morirai
2)
Andrai, non tornerai, in guerra morirai
E
tra le due interpretazioni c’è una bella differenza! In questo
caso, sarebbe bastato l’uso della punteggiatura per risolvere il
dilemma, ma ahimè le Sibille (che potremmo incoronare regine
dell’anfibologia) non usavano tali accortezze.
Ma
il tempo delle Sibille è lontano direte voi, invece, ora vi dimostro
come nel 2024, anche un dialogo tra madri e figli/e può essere
assolutamente ambiguo. Direttamente da un gruppo Facebook, un post
che per me, vince il premio anfibologia dell’anno!
Anche
una chat può creare incomprensioni, nel seguente caso (dal mio
personale Whatsapp), ci troviamo al sud, dove il verbo stare, assume
una grande quantità di significati: occupare uno spazio, soggiornare
in un luogo, e, in molti casi, va a sostituire il verbo essere.
Per
chi è del nord vado a elencare i significati che potremmo
assoggettare alla frase “più che altro non sta molto a Bari”:
- il soggetto non trascorre molto tempo
a Bari
- a Bari non c’è molto da poter fare
- non ci sono molti negozi a Bari dove
trovare ciò che stiamo cercando.
Aggiungiamo
che alle 7.46 del mattino sono solo al primo caffè e in genere ho
altro cui pensare, ma la mia risposta può essere il sunto di quella
che è l’anfibologia: se vi domandate ‘in
che senso', ci siete dentro
e ci state sguazzando!
Tornando
a esempi di un certo calibro, Quintiliano
(se non sapete chi sia ne abbiamo parlato qui),
Nell’Institutio
oratoria
espone una teoria sull’anfibologia che lui stesso
definisce ambiguitas,
e non solo non condanna l’anfibologia, ma fa presente che, quando
si costruisce una frase che oltre al significato ovvio ne nasconde un
altro, può essere prova di grande intelligenza, come può accadere
quando si utilizza questo espediente per fare battute spiritose o per
mettere volontariamente in difficoltà il nostro interlocutore (come
nel caso delle adorabili Sibille). Spiega poi, che possono creare
equivoci gli omonimi (riso come contrario di pianto, e riso come
cereale), le parole che unite hanno un significato e separate ne
hanno un altro (la menta / lamenta) e fa presente che è soprattutto
nei gruppi di parole che si può nascondere maggiormente l’ambiguità,
e, in quest’ultimo caso, il più delle volte quello che crea
confusione è l’ordine delle parole, estremamente importante in
latino, ma altrettanto importante in italiano. Leggete questo
dialogo:
“Ho
visto mangiare un cane” “Cos’hai visto???” “Volevo dire che
ho visto un cane mangiare” “ahhh ora va meglio!”
Come
potete notare, nella frase ‘ho visto mangiare un cane’ (per dirlo
usando il linguaggio matematico) la proprietà commutativa non
funziona, perchè in questo caso, cambiando l’ordine degli addendi
il risultato cambia un bel po’. Però, in particolar modo nel
parlato, si usano entrambe le versioni e anche se la seconda è
decisamente più chiara, non possiamo dire che la prima non sia
comunque corretta.
Restiamo
sullo stesso tema (oggi il mio ‘quattro zampe’ mi ispira):
“Scusa
se ho tardato un pochino, ma prima di uscire ho fatto mangiare il
cane”
NOOOOOOO
far mangiare il cane nooooo!!!
Purtroppo,
pare che in alcuni paesi asiatici questa frase possa davvero essere
interpretata come aver dato in pasto il proprio cane, ma vi prego,
ditemi che nessuno di voi farebbe una cosa del genere!
Un
altro esempio perfetto di anfibologia, ce lo regala Bice
Mortara Garavelli con la seguente frase: “Una vecchia porta la
sbarra”. Cosa immaginate leggendola? Quella di una donna anziana
che porta in mano una sbarra (che potrebbe essere un’anziana
danzatrice che trasloca), oppure quella di una porta vecchia che
sbarra, cioè impedisce l’accesso a qualcosa? In questo caso,
l’anfibologia viene data dal doppio significato (parola omofona e
omografa) della parola “vecchia” che può essere considerata sia
come sostantivo che come aggettivo, dal doppio significato del
termine “porta”, che può essere verbo o sostantivo, e infine il
doppio senso di “sbarra”, che può occupare il posto di
sostantivo tanto quanto quello di verbo. Chapeau a Bice per questa
frase contenente una magica tripletta.
Trovo
tuttavia interessantissimo un discorso di Emilio Pasquini intitolato
“La commedia dantesca fra ambiguità e segreti del testo”, nel
quale preferisce fare un distinguo tra anfibologia e polisemia:
“È chiaro che quando si chiama in causa un termine come ambiguità,
non si può ignorare che qui sta anche un connotato della poesia
moderna. Le poetiche della modernità puntano proprio verso questo
concetto e l’“opera aperta”, per chiamare in causa Umberto Eco,
è un’opera che deve essere completata dal lettore proprio perché
carica di ambiguità. Ora il problema è: può sussistere al tempo di
Dante un concetto, una prassi come questa, dell’ambiguità? È
chiaro che Dante aveva di fronte l’universo della polisemia, vi ho
citato prima il Convivio. Nell’ Epistola a Cangrande si dice con
chiarezza da parte di Dante: “[…] istius operis non est simplex
sensus, ymo dici potest polysemos […]”, cioè: “non è semplice
il senso di questa mia opera [la Commedia], anzi può essere detto
polysemos”, quindi dotato di una pluralità di sensi (è un termine
greco a cui Dante poteva arrivare nella scia dei suoi lessici
medievali). Ora, i sensi di cui parla Dante, quattro nel Convivio e
due nell’ Epistola a Cangrande, sono bene definiti e quindi
l’ambiguità non è da confondersi con la polisemia.
Tendenzialmente Dante è polisemo, tende alla pluralità dei
significati, mentre ben diversa è l’ambiguità di tipo moderno.
Essa agisce sul piano orizzontale, dove convivono questi sensi,
mentre in Dante essi sono sovrapposti l’uno sull’altro, cioè si
dispongono su un piano verticale. Il che ci lascia intendere che il
cosmo dantesco è gerarchizzato secondo diversi livelli mentre invece
il cosmo moderno è un cosmo della relatività, dove le ambiguità di
significato convivono sullo stesso piano.”
Non
mi resta che lasciarvi la mia personale figuraccia del giorno:
Le
nuvole fuori cadute sui sassi
c'è
un uomo sul filo
han
tolto anche l'aria
dalla
testa dalle tasche
han
tolto le mosche
-
e per ora - non cade.
s
o t t o v u o t o
sottovuoto
spinto, non si muove
piovono
spine sui fili
c'è
un uomo non
respira
lui
spira. Chiudetevi
gli occhi
chiudeteli
tutti
se
cade
vi
schiaccia
prima
che vi tocchi.
Dalla
testa dalle tasche han tolto cosa? l’aria o le mosche? Nel
quint’ultimo e sesto verso, piovono spine sui fili o piovono
spine ovunque e sui fili c’è un uomo? Così come nella chiusa,
possiamo parlare sì di enjambement
(troverete l'articolo qui)
che svela sempre qualcosa di inatteso, ma considererei questi
versi anche un’ anfibologia, dato che viene comunque da chiedersi
se si debba chiudere gli occhi solo nel caso in cui il soggetto stia
cadendo. Anche qui, della punteggiatura ben messa potrebbe fugare
ogni perplessità, ma Umberto Eco dice che
un’opera deve essere completata dal lettore proprio perché carica
di ambiguità, e la
Sibilla insegna che lasciare il lettore nel dubbio sia decisamente
più intrigante…chi sono io per dire il contrario?
Buona
anfibologia a tutti!
Alla
prossima!
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