(Redazione) - Fisiologia dei significanti in poesia - 08 - Greifen poetico: Greifen corporeo
di Giansalvo Pio Fortunato
Parte
I
L’azione esistenziale – prim’ancora che conoscitiva – che è stata tratteggiata nel precedente articolo [1], rappresenta una premessa inevitabile per una riflessione meta-poetica. Dato, quest’ultimo, abbastanza sorprendente: quali sono le dinamiche che richiedono la necessità di una riflessione sulla poesia? Nei diversi momenti della storia poetica non sono stati forse gli stessi poeti ad offrire un’impalcatura analitica e saggistica chiara attorno al far poesia? Perché quest’impalcatura, ora, è pressoché assente?Rispondere a queste domande significa entrare nel gioco, calibrare le smagliature di una discussione sulla poesia (di una meta-poesia) che sappia materializzarla, rilevarla entro l’attesa di una fisiologia che aspetta solo di emergere. Non è un caso, infatti, che un tempo i poeti sapessero additare la poesia, sapessero Zeigen la poesia: designarla nella sua attività reale, malgrado o in virtù dell’esigenza nello scrivere. L’in-tensione, il rivolgimento alla fondazione [2] del verso nel suo atto fondante, hanno rappresentato il tema inevitabile di ogni futura avanguardia, il cardinare teorico-pratico entro una nuova progettualità poetica. Come lo Zeigen, dunque, evidenzia la capacità di ciascun individuo di in-tensionare il proprio stesso corpo, la cosciente cinestesia che punta alla proposizione delle unità singolari anatomico-fisiologiche, così lo Zeigen in poesia si auto-rivolge, si auto-intensiona, esautora ogni desiderio espressivo e produttivo, per farsi ammaliare dalla sensualità del semplice atto poetico, per muoversi alla poesia e basta, senza alcun altro scopo. In virtù, allora, del necessario contesto astratto che richiede lo Zeigen – la designazione sta, infatti, nel riconoscere la fonte di ogni riconoscibilità, nel puntarla non entro un contesto, ma in se stessa – si può pensare che lo Zeigen in poesia rientri entro la già gettonata trama di una teorizzazione poetica, chiamata spesso ad accademicizzare l’atto poetico, a svantaggio di una certa poesia dell’istinto. Lo Zeigen, tuttavia, non è questo.
Ritorniamo,
come già precedentemente annotato, al soldato Schneider. La
difficoltà nello Zeigen
si
manifesta nel momento in cui, per esempio, privo d’ogni contesto
pratico, questi non riesce a compiere movimenti che riuscirebbe a
compiere se dotato di un contesto pratico. In che senso? Nel senso
che se lo sperimentatore gli chiedesse di toccarsi il naso, questi
non riuscirebbe a toccarsi il naso. Se, invece, lo sperimentatore gli
chiedesse di togliere la macchia di pittura che è presente sul suo
naso, Schneider riuscirebbe tranquillamente a farlo. Non è, forse,
lo stesso movimento? Non si tratta, forse, di porre comunque un dito
sul naso? La difficoltà, dunque, non sta nell’atto motorio; si
pone, piuttosto, nella designazione entro la quale si apre il suo
mondo. Schneider non solo ha sviluppato un’alterazione della
propria stessa percezione, ma ha innestato una discriminante
operativa nella percezione. Ad essere condizionato, infatti, non è
l’atto del toccare il naso, ma ciò che l’atto inerisce, ciò che
l’atto abita. In tal senso, allora, la ricostruzione determinante
sta nella sensualità che l’oggetto esercita. Ad essere
de-eroticizzata
[3] non è la punta del naso ed il movimento, da esso richiesta, per
essere percepita tattilmente. Ad essere de-eroticizzato
è
il dischiudersi della significanza pura. Schneider ha difficoltà a
compiere un movimento che sia percepito per se stesso, non quale
mezzo per il raggiungimento di un finalismo distinto. Quando,
infatti, gli si chiede di togliere la macchia di pittura che è sul
naso, Schneider tende alla macchia di pittura, non al movimento che
origina la macchia di pittura. Ed il suo è un atto di Greifen,
di prensione. Ad essere ammaliante, in tali termini, è la
situazionalità emergenziale, rilevata nella sua significanza
relativa, nella sua identificazione non in-tensionata. Non è
richiesta, infatti, alla macchia la sua ombra indissolubile di
coscienza, non è richiesta la sua affermazione positiva. Più
semplicemente, la macchia rientra nella destinazione di rivolgimento
di un corpo ed alimenta il rivolgimento del corpo in una direzione
che dia adesione ad una consapevolezza parziale. È questo il
Greifen:
l’atto per cui non si richiede una designazione – ossia la
consapevolezza, esplicitata nell’atto, di un oggetto e del suo
valore (in quanto segno) – ma si implica, più mestamente, una
prensione – ossia la consapevolezza, implicita nell’atto, della
sola direzione verso cui ci si sta muovendo. Per intenderci: quando
Schneider è chiamato a togliere la macchia di pittura sul naso, ad
essere in-tensionato non è l’atto del togliere in sé, ma la
volontà di togliere quella macchia. Per cui, malgrado Schneider
sappia localizzare la macchia (che è sul naso), l’in-tensione non
è nell’assumere coscienza esplicita del gesto, ma nell’entrare
in una nuova situazione di equilibrio, tendente alla macchia che va
tolta. Quando, invece, Schneider è chiamato a toccarsi la punta del
naso, la sua in-tensione sta nell’esplicitazione valoriale del
naso, nella designazione univoca; dunque nello Zeigen.
Mentre, nel primo caso, Schneider compie un movimento che non
richiede coscienza esplicita, ma sfrutta il naturale dischiudersi del
corpo a sollecitazioni altre; nel secondo caso, questa sollecitazione
(la richiesta dello sperimentatore) deve avvalersi della sola
coscienza che Schneider ha del suo corpo, deve avvalersi di una
richiesta assoluta. Tale disturbo di facoltà, nel dettaglio, lega
indissolubilmente il Greifen
e
lo Zeigen. Schneider, infatti, mostrerà evidenti difficoltà di carattere motorio, anche entro un’accezione pratica: quando gli sarà richiesto di compiere movimenti che non ha mai compiuto prima, questi dovrà prima mimare le contrazioni muscolari e la conseguente propria disposizione corporea, poi potrà compiere quel movimento. Compiendolo, per esempio, effettuerà movimenti “inutili” che rallenteranno la realizzazione dello stesso movimento, per l’insorgere di movimenti di prova, che sono figli di una cinestesia danneggiata. Per uno Zeigen inesistente (perché continuamente riacquisito), quindi, si genera un Greifen alterato.
Tale equilibrio di motilità si palesa allo stesso modo in poesia e, a mio parere, rappresenta uno dei modi più validi per compiere un’analisi inedita e necessaria sulla poesia. Mi focalizzerò, per espletare pienamente come queste due facoltà fenomenologico-neuropsicologiche possano realmente ricostruirsi entro l’attività poetica, sulla natura manifestativa del Greifen in poesia, tenendo già conto che quest’ultimo non edulcora e non rende eccezione il Greifen corporeo.L’inevitabile
apertura in-tensionale dell’atto poetico rappresenta la
chiarificazione più alta di quanto la mente sia mente in-corporata,
tessuta d’ossa, di cellule, di recettori. Perché l’atto poetico
è assolutamente un atto che, in un’ottica spuria, possiamo
definire quale atto intellettivo. Nel superamento, dunque, di
un’intellighenzia
comunemente
intesa, si può raggiungere, dopo lunga attesa preparatoria, ad
un’autentica fisiologia
della poesia.
Una fisiologia che, tanto quanto vale per il corpo, si innesta nella
seducibilità reciproca che il poeta ed il mondo (manteniamo questa
distinzione, per abolirla successivamente) si effettuano. Il poeta
inerisce [4] e la persistenza riflessivo-procreativa in un mondo, che
è definitivamente mondo totale, rappresenta il gioco inevitabile
alla necessità poetica. Quando, infatti, si fa riferimento alla
ricerca di una parola [5] necessaria non ci si attende il
posizionamento della poesia entro un contesto che renda quella parola
una parola salvifica, ma ci si attende il naturalismo che discende
nell’affermazione di quella stessa parola. La parola necessaria,
valicando anche il draconiano motto parmenideo, si materializza nel
campo intenzionale ed esperienzale poetico, per manifestarsi entro un
semplicissimo atto di Greifen.
La parola necessaria, dunque, è la manifestazione o, meglio ancora,
l’atto stesso di prensione nella sua matrice più profonda e
dirompente. Entro la parola necessaria, quindi, si inscrive
l’apertura totale che non si focalizza sul suo meccanicismo, ma che
punta alla direzione seducente, per rendere la direzione seducente.
La ripetitività, erronea lessicalmente parlando, è la sola,
tuttavia, in grado di aprirsi ad un’epistemologia articolata del
Greifen
in
poesia. La sensibilità, tanto esaltata nel comune ambito poetico, si
focalizzerà certamente su un attraversamento dell’altro-dal-poeta,
ma non sarà un fremito irrefrenabile o un flusso dirompente.
L’errore, in tal senso, è assolutamente banale: ci si trova,
infatti, dinanzi ad un’inversione causalistica, per cui la causa
(il Greifen
poetico) viene confusa con il suo effetto (la non completa
coscienziosità del Greifen
poetico
in
atto). Questo errore causalistico, ricordando che ogni causalità è
nulla all’infuori di una strategia interpretativa arbitraria,
rovescia il gioco analitico, andando a creare un certo tasso di
immobilismo anche nello Zeigen
poetico,
con conseguenti risvolti negativi nello stesso Greifen.
Quando
si fonda l’altro-dal-poeta si inizia, anzitutto, entro una scelta
procreativa inevitabile. Ciascun oggetto si dà inevitabilmente, ma
ad “ispirarci” è il solo complesso di oggetti dati-ci; complesso
di oggetti dati-ci che costituirà il mondo poetico momentaneo e che
il poeta farà sì che costituisca il mondo poetico momentaneo. Solo
intravedendo, infatti, nell’atto poetico un regime procreativo di
carattere strettamente fenomenologico, si può riuscire ad
interpretare coerentemente il distintivo fisiologico dell’atto
poetico. Quando, allora, si fonda la poesia non si è innanzi ad un
gesto semplicemente elucubrante o meramente sentimentale; si sta
piuttosto prendendo, in-tensionando, una complessità coordinativa
che andrà a costituire la fisionomia del mondo poetico momentaneo.
Ed è in tal senso che si alimenta la parola necessaria, intesa come
l’unica parola possibile, in quanto manifestazione di questa
fondazione, visibile come ricezione procreativa ed articolazione
procreante. La poesia, infatti, annichilendo ogni pretesa di
oggettivismo puro e cogitante, alimenta quella reciproca fascinazione
che sa alimentare una situazionalità rinnovata e forte; una
situazionalità che non si nasconde. In questo rinnovo, risiede
quindi la contingenza esasperata e giusta del rinnovo. Mentre dalla
quotidianità o dalla parola quotidiana ci si attende un Greifen
valevole,
una prensione che sappia definire i confini specifici di un mondo,
che non è più distinto dal poeta – ma è un tutt’uno con esso
-; dall’atto poetico e dalla parola poetica ci si aspetta una
quotidianità edulcorata, uno sventramento della rigidità
quotidiana, per giungere alla frescura ombratile della contingenza,
dell’erotismo rispetto alla tessitura della fondazione poetica.
La
poesia in quanto Greifen,
allora, avvinghia il suo mondo, definendoselo, ed è specificata in
questo suo avvinghiamento dall’altro-da-sé, che è reso
altro-da-sé in virtù dell’atto poetico. Tale Greifen
è
tenuto inalterato, preciso e specificato perché la coscienza del
processo di fondazione, conseguente al dischiudersi, non è
in-tensionata al movimento ed al moto direzionante del poeta, ma
all’altro-da-sé che è elevato ad altro-da-sé in virtù del
Greifen.
Come per il soldato Schneider, allora, anche per il poeta
l’in-tensione non è all’atto poetico in sé, ma al fondare il
suo mondo poetico, a definire la coordinata cosmica di questo mondo
che si sta componendo e a inerirlo nella sua interezza. È questa
circostanza, nel dettaglio, che fa emergere nel poeta quel senso di
sacralità incontrollata che spinge a delficizzare
la
poesia e l’ispirazione, caricando di misticismo ciò che è
meramente fisiologico.
I
Vedi la luce intonare: è l’alba.Un cammino di cetre fa il verso al corpo
e la lingua incalza i rifiuti,
le ossa che si battezzano il nome.
A nord dell’occhio tinteggia l’abisso,
la corda che ha voce d’uomo pesante.
______
NOTE
[1]
Poesia
tra Greifen e Zeigen, Le
Parole di Fedro, 26-11-2024
[2]
Optare per fondazione,
non per procreazione,
rappresenta una scelta non casuale. La ragione è squisitamente
etimologica. Fondazione
deriva
dal participio latino
condita
che, come fa notare Hannah Arendt in Sulla
rivoluzione,
non si focalizza sul solo atto edificativo di uno Stato o di
qualsiasi altra cosa, ma esprime il fondare
mantenente;
ossia il fondare
teso
alla difesa ed allo sviluppo della stessa “cosa” fondata. Di
chiara ispirazione agricola.
[3]
De-eroticizzata:
in quanto, per la sensualità e l’in-tensione inter-corporale,
questa resa è l’unica forma materiale in grado, per fisiologia, di
saper intendere la reciprocità del rapporto intenzionale tra
soggetto-oggetto. Un rapporto che, come ritiene Merleau-Ponty in
Fenomenologia
della percezione,
supera ogni epistemologia antecendente.
[4]
Inerire:
da intendere come resa italiana del francese etre
à,
disporsi a, essere ad una situazione, abitare una situazione. Segni,
questi, di una riflessività attiva.
[5]
Parola:
non come unità fonica o sintagma grammaticale, ma come verbum.
Quindi come totalità e pienezze dell’espressione poetica.
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