Lettera aperta ad Alfredo Rienzi (a proposito di "Custodi ed invasori" - Arcipelago Itaca, 2024)

 


Caro Alfredo,
ti avevo promesso una nota di lettura alla tua magnifica opera "Custodi ed invasori" (Arcipelago Itaca, 2024) e tradirò la mia parola, senza tradire la Parola.
Perdonami, ma mi è impossibile farlo, e questo perchè, se c'è una porta che la tua scrittura in questa raccolta apre, è quella  – per me eterna e sacra, lo sai – del dialogo
E allora preferisco, anzi, non posso che dare forma a questo mio dire di lettera aperta, perchè non voglio perdermi, come troppo spesso mi avviene, nella dissezione dei versi, nell'attribuzione di etichette che, certo, aiuterebbero chi ancora non ti ha letto, ma, in fondo, allontanerebbero me, che ti scrivo, dalla preziosità della tua scrittura. 
Quindi mi copro il capo, come, in memoria dei miei avi, mi capita di fare quando cerco concentrazione e verità, e ti scrivo, ascoltando L'arte della fuga di J. S. Bach e fingendo che tu sia qui, davanti a me col tuo libro a bere del buon vino. 
Poco importa se altri ci leggeranno, questa mia lettera è per te, almeno nelle intenzioni. 

"Custodi", che parola densa, e come è capace di definire l'uomo, la cui funziona ultima è poi quella, secondo un pensiero ben più autorevole del mio, proprio di custodire e liberare nel creato scintille divine. 
"Invasione", che parola intensa e quali richiami potenti porta con sé al tragitto che la parola fa nel corpo del poeta, il tuo, che è sempre, almeno in parte, un attraversato, un percettore, un invaso – attento, non ti sto dando dell'invasato, al contrario. 

Parlando d'altro hai descritto, quasi senza dirlo, una relazione tra poeta e parola che commuove e smuove chi come me conosce il valore della caduta, della perdita, della balbuzie e dell'inciampo.
I tuoi sono versi di dondolio rituale, di un corpo che si abbandona alla ripetizione sottovoce di una preghiera che va oltre le parole stesse che pronuncia. 
Simbolisti e simbolici, certo, i tuoi versi qui però usano il simbolo come solo il Salmista seppe fare, rendendo apparentemente semplice il complesso, celando i livelli di interpretazione possibile, perchè è il dannato lavoro del lettore riuscire a svelarli. 

E già, Alfredo: non ha importanza il modo, si deve continuare/unica alternativa è il precipizio./Follia e suicidio sono gli angeli incolori che restano a guardare. 
Questi tuoi versi che nella liturgia ebraica meriterebbero l'appellativo di Emeth (Verità), paiono usciti da un testo di cultura sapienziale di millenaria vita, o esser stati dettati da chissà quale presenza, perché trascendono e tracimano l'umana esperienza. 
Emeth tra l'altro è per il pensiero ebraico una verità sempre dinamica, in cui il percorso è sempre contemplato, e infatti la parola si scrive usando la prima (alef), la centrale (mem) e la finale (tav) delle lettere dello alef-bet.
E così anche tu nei versi di questa raccolta meravigliosa, metti in moto il vero, lo marchi del suo segno precipuo, quello dinamico e cangiante. 

Può essere che il vecchio carceriere
abbia dimenticato di proposito 
la chiave nella toppa
fingendo un sonno troppo rumoroso.
Per sua misericordia.
O per l'acido gusto della caccia.

Che fai, Alfredo? Mi resusciti Kafka in poesia e poi mi commuovi sino alle lacrime, perchè quei versi, nella loro apparente semplicità, nella verità del semplice, che manifestano appieno, mi ricordano – così, con brivido profondo, sino ai midolli – tante delle poesie senza autore trovate in foglietti nascosti tra le assi dei "campi" che la storia dell'uomo non avrebbe mai dovuto vedere.
 
Ma poi non mi lasci lì, con il gelo nelle ossa; mi porti via dall'abisso che leggendoli sento dietro gli occhi, come solo un vero amico sa fare, e mi riscaldi il cuore. 

Forma tra le forme, argilla tra le argille,
albero in fiore che come gli alberi
in fiore, nel breve tempo del soffio,
ti donavi al vento e al frutto, goccia
tra le gocce che mi hanno dissetato.

Come hai potuto condensare in pochi versi Mandel'štam, Jabes, Celan ma anche il Cantico dei Cantici, i Salmi e la poesia medievale di Leone l'Ebreo? Ti prego dimmi come hai fatto, perchè di fronte a questa scrittura io abbasso lo sguardo a  terra, ché non si entra con la baldanza del guerriero nel Frutteto della Sapienza ma con la pazienza e la modestia del contadino.

Insomma Alfredo, se anche tu sei umanamente poeta e, come tutti, non sai fino in fondo cosa hai scritto e chi, tramite tuo, abbia scritto, sappi che sei stato scritto da quel "chissà chi" che positivamente "ci invade" e che hai saputo far germinare nel tuo campo l'Antico che ti abita, non so dire con che grado di consapevolezza - me lo dirai tu. 

E sappi soprattutto che io, come semplice lettore, considero questa tua raccolta la manifestazione di tanto, se non di tutto, ciò che io ancora non so dire in poesia, eppure mi pulsa nelle vene sin da quando, bimbo di dieci anni, presi il pennino in mano.

Tuo, dal profondo.

Sergio Daniele Donati
______
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Alfredo Rienzi è poeta e saggista. Ha pubblicato diversi volumi di poesia, da Contemplando segni, in 7 poeti del Premio Montale (Scheiwiller 1993, pref. M.L. Spaziani) a Sull’improvviso, (Arcipelago itaca 2021, pref. M. Cucchi). Nel 2024 ha ripubblicato con Arcipelago itaca Custodi ed invasori (2005) e la raccolta antologica bilingue De sexta y de septima grandeza / Di sesta e di settima grandezza (Barnacle ed., Argentina). Suoi testi poetici tradotti sono stati pubblicati in Romania, America latina e Russia. Come saggistica ha pubblicato Il qui e l’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea (dell’Orso 2011) e ha curato l’antologia Poesia a Torino. Cent’anni e 40 volti (puntoacapo 2024). Ha fondato e gestisce il lit-blog “Di sesta e di settima grandezza” (LINK), dove è disponibile una biobibliografia più ampia.





stampa la pagina

Commenti