(Redazione) - Fisiologia dei significanti in poesia - 08 - Greifen poetico: Greifen corporeo (parte II)

 
di Giansalvo Pio Fortunato  

Parte II
Delineare un insito parallelismo tra Greifen [1] corporeo e Greifen poetico o, meglio ancora, intendere anche semplicemente il Greifen per la poesia implica l’ammettere esplicitamente che la poesia sia un atto corporeo. Un atto corporeo che, nel dettaglio, si tesse nell’operatività reale del corpo, nella sua fenomenologia, nella sua attitudine strettamente percettiva. In tali termini, prima di proseguire nell’analisi, va precisato il senso con cui ci si riferisce al fisiologico. In quali ambiti – per intenderci – noi collochiamo il fisiologico e, conseguentemente, in quali termini la prensione poetica è fisiologica. La descrizione del Greifen – ed è abbastanza evidente – ha poco di fisiologico propriamente detto e molto di fenomenologico. Battere su questo chiodo non ha come intento il dare vigore alla fenomenologia (non è questo né il luogo, né l’ambito in cui discuterne), ma significa porre un orientamento interpretativo. Un orientamento interpretativo, nel dettaglio, che è funzionale a delineare in quali termini la prensione poetica sia realmente definibile come tale. Liquidare, infatti, la poesia come la risultante di una macchinosa sequenza di impulsi meramente neuro-biochimici e come un’attivazione semplicemente neurologica parallela è assolutamente riduttivo, così come lo è per ogni atto percettivo. Innestare, invece, la ricezione di un senso immanente da una costellazione di dati [2] – dunque far emergere la complessità di una coscienza che è costitutiva della percezione – rappresenta l’esigenza naturante che avvolge la poesia. Per cui, pur in una chiave strettamente fenomenologica, la fisiologia così intesa sta nel suo essere secondo natura. Ad essere richiamato, in tal senso, è l’etimologia stessa della fisiologia, da intendersi come un semplice discorso sulla naturalità; dunque come il ricorso ad una solida base che faccia della reale esperienza poetica vissuta il suo punto di partenza. Mi si richiamerà, allora, secondo due obiezioni:
  1. la reale esperienza poetica vissuta è l’esperienza poetica di chi scrive: quanto di strutturalistico [3], operativamente parlando, c’è in questa operazione?
  2. Un’indagine fisiologica non va a smascherare la poesia e a farne perdere la sua aurea di mistero; quella buona dose di mistericità che, da sempre, la motiva e la rende sublime?
Alla prima obiezione rispondo che un’indagine strettamente strutturalistica non solo è assolutamente priva di senso, ma che il rigore scientifico [4] da applicare alla prensione poetica deve essere iniziato naturalmente attraverso un’analisi fenomenologica. Cioè, attraverso un’analisi poco creativa e molto descrittiva nella sua naturalità. Il tentativo, qui compiuto, non è quello di de-molecolare la prensione poetica, ma di descriverla semplicemente entro un ordito molto fisiologico e poco fantasioso – quest’ultimo già poetico; quindi a-posteriori rispetto al Greifen. Tutte le ricostruzioni, allora, che fanno normalmente riferimento alle matrici abissali e simbolistiche della prensione poetica non sono assolutamente errate; sono semplicemente letterarie. Il che non denigra – sia chiaro – la letteratura, ma la colloca entro una radice che fa di uno Zeigen [5] altamente congiunto al Greifen il suo punto di forza.
Alla seconda obiezione, invece, riservo il resto della trattazione di questo nuovo articolo.
Nell’originale e ben apprezzata Introduzione a Nietzsche (Editori Laterza – ultima ristampa 2007) di Gianni Vattimo, il filosofo torinese fa luce in maniera straordinaria sulla enorme parabola del secondo periodo nietzscheano, in cui l’atteggiamento filologico e di chimica delle idee porta a totale compimento l’intento genealogico del filosofo. Nel passaggio cruciale di differenziamento tra l’uomo d’arte e l’uomo di scienza, Nietzsche – attraverso la lettura di Vattimo – evidenzia quanto la poesia, così come l’arte, rappresenti una fuga complessiva dall’ammissione della voracità della condizione naturale, scientifico-genealogicamente scoperta. E, seppur all’interno di un contesto squisitamente pratico [6], Bertold Brecht, nei suoi Saggi sulla letteratura e sull’arte, evidenzia come l’arte poetica, posta innanzi alla sua autentica natura, non sia più percorribile, perché come potrebbe un poeta mentire perfettamente, se consapevole di star mentendo? Queste due citazioni fanno legittimamente da base alla seconda plausibile obiezione (vedi sopra), ma causano anche una certa irriverenza rispetto al mondo poetico tutto.
La conclusione nietzscheana, infatti, radicalizza l’intento palliativo, se non addirittura consolatorio, dell’arte, contravvenendo all’esperienza di un inferno “interiore” sperimentato e radicalizzato, nominandolo, in tanti poeti. La conclusione brechtiana, invece, evidenzia come una certa teorizzazione sulla poesia sia impossibile, se non attraverso specifici schemi che non alterano la sua impostazione di fondo. Non a caso, infatti, Brecht compie un’analisi sociale a-posteriori sullo stato della poesia e dell’arte, individuandole nella loro riproducibilità e spendibilità, già entro una resa in circolo. A queste irriverenze rispetto al mondo poetico costituto – dunque a delle legittime cime di fuoco che colpiranno i lettori, soprattutto se poeti, di questo nuovo articolo – è opportuno unire una certa dose di benzina, valutando come queste affermazioni abbiano una certa fondatezza. La lungimiranza di Nietzsche sta, infatti, nello sperimentare l’esattezza empirica (d’esperienza) dello stato di follia. Per cui, quell’interiorità d’inferno è la stessa che sperimenta lo stesso filosofo tedesco, malgrado la sua seconda fase sia la più “lucida” e matura. In tal senso, allora, il ruolo alter-scientifico della poesia è assolutamente evidente, così come il ruolo consolatorio. Iscrivendoci, infatti, nuovamente nel Greifen è innegabile che la prensione poetica non assuma un orientamento scientifico per contenuti, ma per linea operativa. In che senso? Nel senso che la ricostruzione descrittiva dimostrata non è propria della prensione poetica in sé. La poesia, nell’atto poetico, non deve dimostrarsi o non deve definire le sue architetture compositive: deve, piuttosto, necessariamente edificare un mondo poetico, aldilà di ogni auto-designazione. Questo stato – lo precisiamo – è ben lungi dall’irrazionalità del razionale[7]. Quanto è insito, piuttosto, nel Greifen: a differenziare non è l’impossibilità di accedere alla poesia se non attraverso se stessa (come avviene, invece, per la razionalità), perché la capacità poetica (compio un grossolano abuso) è una capacità ben successiva. È, piuttosto, l’in-tensione che muta; dunque la direzione che tende a variare. La poesia tende a se stessa, semplicemente. Ed il suo grado di consapevolezza sta nella delineazione di un senso immanente – in un’immanenza molto più resistente, perché consegnata – ad un mondo che si dischiude. Resta, tuttavia, l’affermazione più imputabile: la poesia è consolatoria. Davvero la poesia è consolatoria? È qui essenziale capire in quali termini si fa riferimento al consolatorio. Se lo si intende nell’ottica nietzscheana superficiale, tutti i torti sono al suo fianco. È lo stesso Vattimo che chiarisce come l’esito di una chimica delle idee conduca – o possa condurre – alla sfrondatezza svelata di un mondo costituito nelle sue reali componenti, rispetto al quale, la pacificazione accettazione risulti l’unica soluzione possibile. L’arte, da questo punto di vista, contribuisce a questa pacifica accettazione perché, nella sua capacità creativa, attenua la sofferenza e conduce alla dimenticanza. Se, tuttavia, il consolatorio è inteso nella sua analitica fenomenologica, allora l’arte ha un ruolo consolatorio. È inevitabile, infatti, nel Greifen – dunque nel Greifen poetico - l’ammissione e la riscoperta dell’inerenza ad un mondo. Tale inerenza, nel dettaglio, non è sancita dall’impossibilità assoluta dell’astrarre (posso produrre anche i contenuti più astratti, ma questi smaschereranno pur sempre la mia radice esperienziale), ma è segnata soprattutto dal modellamento reciproco di me e del mondo. Per cui, soprattutto uno stato di sofferenza si ripercuote inevitabile nell’inziale riconoscimento dello stesso entro la prensione poetica. La mono-potenza della prensione poetica – quindi lo stile che unisce l’espressione all’espresso – non fa che aprirsi al mondo che il poeta abita: le sue esperienze, la sua biografia, la sua storia costruita e ricevuta. Il tutto in una chiarificazione selettiva che organizza e ricava il senso immanente da questa altissima mole di componenti. È questo il senso stesso della percezione. Tale conclusione, naturalmente, fa comprendere come nell’irreversibilità della spazialità oggettiva del proprio mondo, il vissuto non può sparire ma, linearizzando le discontinuità temporali, continua normalmente a tenere l’avvenire in pugno e ad offrirne uno sguardo specifico, una natura specifica [8]. Dove si pone, allora, la consolazione?
Ancora una volta, la consolazione sta nell’in-tensione del Greifen. Il Greifen, infatti, prende per edificare un mondo poetico. Ricava dalla complessità di vissuto un senso che sia in-tensione all’ espressione del vissuto e non al vivere il vissuto stesso. Per capirci: io non vivo il dolore o la follia o qualsivoglia sentimento; pur vivendola, come stato umorale, io in-tensione la sua espressione. L’esprimere, dunque, non è un eufemismo del vissuto. È, piuttosto, un nuovo esperire. Una nuova segnatura che spazia e rende spaziale il vissuto, perché sia nominato e trasmesso. Dall’autoctono delle esperienze di vissuto si ricava una fragorosità catartica che non è l’esperienza stessa, ma un’altra esperienza. La prensione poetica, insomma, afferra il dolore non in se stesso, ma per se stesso, e genera una reciprocità distinta in cui questo stadio umorale, o questa personalità, non sono in-tensionati, quanto, ad essere in-tensionati – dunque a fungere da base per il raccoglimento di senso e per l’afferrare – è la loro traccia, non se stessi. Questa estraneità tracciata è consolatoria, proprio perché estranea.
Di Brecht, per concludere, è importante, piuttosto, il suo controcanto. In che senso? Molti poeti converranno con l’affermazione di Brecht, per cui svelato il mistero della poesia, essa si dissolve. Potendo divenire, addirittura, il suo totale annichilimento. Eppure il Greifen non in-tensiona l’atto poetico in sé, ma i costitutivi del mondo poetico. È la resistenza stessa del Greifen all’auto-intensione che lo motiva e lo fa differenziare dallo Zeigen. Per cui, nell’analitica poetica, ad essere in-tensionata è la poesia per se stessa. Nella poesia, invece, è in-tensionato il complesso di costituenti del mondo poetico [9].
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NOTE
  1. Per il Greifen vedi Greifen corporeo: Greifen poetico, Le Parole di Fedro, 26 dicembre 2024.
  2. La percezione secondo Fenomenologia della percezione, M. Merleau-Ponty.
  3. Strutturalismo: orientamento psicologico facente capo a Wilhelm Wundt, basato sul ricavare, attraverso auto-analisi, le componenti strutturali della mente.
  4. Scientifico, qui considerato, non sta nei contenuti, ma nell’epistemologia rigorosa e non arbitraria della descrittività fenomenologica.
  5. Zeigen: designazione. Vedi Greifen corporeo: Greifen poetico, Le Parole di Fedro, 26 dicembre 2024.
  6. Il pratico, posto in riferimento a Brecht, sta in una sistematizzazione dell’autore entro una classificazione filosofica che, sommariamente, individua entro la socialità e la relazionalità attive il fondamento di tutte le cose. Questa classificazione non trova mio favore.
  7. Principi per una filosofia della morale, P. Piovani.
  8. Vedi le convergenze dell’In-der-Welt-Sein in Essere e tempo e Lettera sull’ “umanismo” di M.Heidegger e in Fenomenologia della percezione di M. Merleau-Ponty.
  9. Tale controcanto sarà approfondito dettagliatamente nel prossimo articolo.
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