(Redazione) - Genere In-verso - 17 - Contro il mito di Giordano Bruno.


di David La Mantia
 
"D’ogni legge nemico e d’ogni fede”: si racconta che, nel corso di un gioco, il giovane Giordano Bruno ricevesse dalla sorte questo verso dell’Ariosto. È solo una leggenda, ma di certo lo stesso filosofo ricordava questa occasione, scherzando sul fatto che il caso fosse stato cosi esatto con lui.
Ma chi era davvero Giordano Bruno?
Di sicuro, un uomo pieno di contraddizioni.
Difensore dei più deboli? Misogino, riteneva che le donne fossero delle creature inferiori, cretine e ribrezzevoli (e tuttavia, domenicano e sacerdote, non rinunciava a prenderne piacere, in un numero notevolissimo, con e senza compenso). Filosofo della libertà? In un'opera (De Vinculis), Bruno descrive una serie di pratiche magiche, da lui messe in atto, che farebbero in modo di piegare le persone alla sua superiore volontà: «Ritmi e canti che racchiudono efficacia grandissima, vincoli magici che si realizzano con un sussurro segreto…»
Ecco, l'intenzione di questo articolo è fornire elementi per sfatare immagini preconcette e mettere in discussione i due stereotipi classici e monumentali della critica bruniana: da un lato, l'immagine ottocentesca di stampo massonico, che presenta Giordano Bruno come un martire del libero pensiero( si pensi al Monumento in Campo dei fiori, voluto dai massonissimi Crispi e Carducci); dall'altro quella tipica del secondo Novecento, che lo raffigura come un mago ermetico, titanico oppositore della Chiesa romana e dei suoi rappresentanti
Di certo, fu un uomo dal carattere incontenibile, sempre alla ricerca del centro della scena, convinto della propria superiore natura magica e mercuriale, testimone coerente e intransigente della ragione fino alla morte in suo nome.
Quindi, intendiamoci. In Bruno c'è tutto ed il suo contrario. Bruno non può non scontrarsi col potere dominante perché si assume il “fastidio” di pensare. Non è detto che pensi sempre bene. Ma "fastidito" si era definito nella sua principale commedia, Candelaio. Un preciso termine, che sintetizza benissimo la weltanschauung del filosofo. Che diviene allegoria di chi non subisce il mondo, ma vive nel mondo e incide nel mondo.
Perché attirare l'attenzione sul magico, fa perdere di vista la sua filosofia profondamente politica e sociale, di attualità straordinaria. Un pensiero che costringe a fare i conti con la propria miseria esistenziale. Perché non ammette compromessi. Perché è una ribellione contro l’opportunismo, la pavidità, la rassegnazione, che generano il «servilismo che è corruzione contraria alla libertà e dignità umana» (De immenso et innumerabilibus).
La sua filosofia incute timore, come quella di Nietzsche, perché è una condanna inappellabile per chi vorrebbe l’umanità eterna minore: “gregge”, “asino”, “pulcino”, “pulledro” (sono i vocaboli di Bruno). In uno stato di perenne sottomissione. Inerme, incapace di intendere e di volere. Bisognosa quindi di padroni, padrini, padri protettori, padreterni. Di mediatori efficaci e benevoli tra il cielo e l'uomo. Tanto più pericolosi quanto più assoluti, più gentili, più disponibili. Un’umanità in ginocchio nella speranza del miracolo e delle intercessioni degli unti del signore (come penserà poi Feuerbach).
Bruno mette a nudo tutti i meccanismi psicologici e consolatori, anticipando, come abbiamo detto, Nietzsche, meccanismi che riducono gli uomini ad asini obbedienti che si fanno «guidare – scrive – con la lanterna della fede, cattivando (imprigionando) l’intelletto a colui che gli monta sopra et, a sua bella posta, l’addrizza e guida» (Cabala del Cavallo Pegaseo).

Ma siamo andati troppo avanti. Cominciamo dalla fine.

17 febbraio 1600: in Campo de' Fiori, a Roma un eretico viene arso vivo, dopo essere stato sottoposto anche a tortura almeno due volte: a maggio del 1597 e a settembre del 1599. Già lambito dalle fiamme del rogo, distoglie con disprezzo il volto dal crocifisso che i confortatori dell'Arciconfraternita di san Giovanni Decollato ostinatamente gli porgono. Quell'eretico è il filosofo Giordano Bruno.

Il sentiero che lo conduce sul rogo ha avuto inizio a Nola, dove è nato nel 1548. Diciassettenne, entra nel convento di San Domenico a Napoli e appena un anno dopo subisce un primo procedimento disciplinare - poi sospeso - per aver gettato via e irriso alcune immagini di santi. Incapace però di controllarsi e di tacere, dichiara esplicitamente la sua simpatia per la dottrina di Ario.

Per capirci. Ario, morto a Costantinopoli nel 336, era stato un teologo berbero, che predicava la creazione e non la generazione del Figlio ad opera del Padre. Pur non negandola, metteva la divinità del Figlio in un ruolo secondario rispetto a quella del Padre, da cui discendeva l'impossibilità di una reale salvezza-redenzione da parte di Gesù e il fatto che Dio sarebbe "distaccato" dal mondo. Al concilio di Nicea (325) venne invece ribadita la "consustanzialità" (homousìa) del Figlio e del Padre con l'approvazione della formula del Credo niceno.

La personale interpretazione di Bruno di questo pensiero molto diffuso in area germanica, nel 1576, suscitò reazioni violente dei confratelli. Il nostro è costretto a iniziare la sua infinita e inquieta peregrinatio in Italia e in Europa. Da Napoli fugge a Roma, poi a Venezia, a Ginevra - dove aderisce per breve tempo al calvinismo, a Tolosa, a Parigi, a Oxford, a Marburgo, a Wittenberg, a Helmstedt, a Praga, e infine, dopo la tragica decisione di tornare in Italia, nuovamente a Venezia e a Roma, dove verrà bruciato con il mordacchio, "con la lingua in giova per le bruttissime parole che diceva" . Nessun discorso memorabile prima di morire, dunque, troppo pericoloso.

I temi da lui posti? Il tradimento e l'indifferenza di Dio nei confronti dell'uomo, la materia come principio unico ed eterno, la metasomatosi attraverso cui l'anima universale s'incarna con vicenda perenne in forme diverse, comprese quelle degli animali. Verità che Bruno ritiene di aver scoperto, e che vuole poter gridare a qualunque pubblico, estraneo alla loro vicinanza o meno con i dogmi di fede.

Proprio ragionando su Dio, Bruno comprende che l'universo è infinito. Perché, se Dio è la causa dell'universo, e Dio è infinito, l'universo non può che essere infinito. E se l'universo è infinito, non ha senso parlare di uomo e Natura, prima e dopo, sopra e sotto, destra e sinistra, centro e periferia: non esiste una Chiesa che sia il centro di tutto, non esiste una Terra su cui fondare il movimento e la ragion dessere di ogni cosa. Innumerevoli sono i pianeti abitati. Se Dio è infinito, non ha limiti. E noi non siamo che un atomo opaco del male, vanitas vanitatum, Papa compreso.

Scopre questa verità da filosofo, non da scienziato. E questo forse spiega il distacco di Galilei dal suo pensiero.

E Dio stesso? Giordano Bruno parla di Dio in duplice modo: come "Mens super omnia" (Mente al di sopra di tutto) e come "Mens insita in omnibus" (Mente presente in ogni cosa). Per il primo aspetto Dio è trascendente, fuori dal cosmo e dalle capacità razionali dell'uomo, è oggetto di fede e di lui ci parla solo la Rivelazione, il gran Libro. Per il secondo aspetto, invece, Dio è panteistico, principio immanente del Cosmo e risulta accessibile alla ragione umana, diventando il soggetto privilegiato del discorso filosofico.

Non da anticristiano - giacché la religione può essere utile al 'vivere civile', con una logica da Machiavelli e Guicciardini- bensì da 'post-cristiano', egli non esita a dichiarare false le dottrine e superata l'era del cristianesimo ( anticipando qui incredibilmente, di tre secoli, il pensiero di Nietzsche) in nome dell'avvento di una pax universalis ecumenica, ostacolata proprio dall'intransigenza e dalla chiusura della Chiesa romana.

Fastidito, dicevamo. Giordano Bruno è davvero un intellettuale fastidioso perché condanna la menzogna e l’ipocrisia, soprattutto quando vengono dal riverito ‘mondo della cultura’, trasformato dai servili pedanti in accademia di pensiero unico. Bruno polemizza con costanza e pubblicamente con questa "gentaglia". Li ridicolizza nei suoi dialoghi: «più nun sanno e sono imbibiti (imbevuti) di false informazioni più pensano di sapere», tanto da dare i loro principi «conosciuti, approvati senza demonstrazione».

Sì, Giordano Bruno è fastidioso, perché alle baronie, alle simonie, alle mafie di regime mostra la loro responsabilità per la decadenza etica e politica: «La sapienza e la giustizia iniziarono a lasciare la terra – scrive – dal momento che i dotti, organizzati in consorterie, cominciarono ad usare il loro sapere a scopo di guadagno. Da questo ne derivò che … gli Stati, i regni e gli imperi sono sconvolti, rovinati, banditi assieme ai saggi …e ai popoli» (De immenso et innumerabilibus).

Ed è fastidioso perché anche stilisticamente va oltre. Al monolinguismo, alla lingua in purezza, Giordano Bruno oppone lo sperimentalismo linguistico.

Scrive: «è in nostra libertà di nominar come ci piace e limitar le definizioni e nomi a nostra posta» (Cabala del cavallo Pegaséo). Una definizione che ricorda il "S'ei piace, ei lice" del coro dell'Aminta, il frutto più puro dell'inquietudine tassiana. Una idea di libertà molto rinascimentale, insopportabile per la Controriforma. E ancora: «Le regole servono a coloro che son più atti ad imitare che ad inventare»; «conchiudi bene che la poesia non nasca de le regole … ma le regole derivano da la poesia» (Eroici furori).

Insomma, al manierismo estetico tutto proibizioni che divora il contenuto nella pedanteria della regola, Giordano Bruno contrappone il “pittore-filosofo”, che rinomina le cose con la sua poiesis, definendole e ridefinendole nelle infinite possibilità di significato e significante.

La polemica contro i pedanti (chierici, teologi, grammatici, retori, servi del potere in genere) è potentissima. Essi sono la follia del mondo, come pensa va Erasmo da Rotterdam, la frivola negazione del buon senso e dell'intelletto ben temperato, con la loro asinina certezza dell’accumulo indiscutibile del già definito (magari eterno e rivelato), tanto funzionale al potere dominante a cui si vendono: «vanno a buon mercato come le sardelle – scrive nel De la causa principio e uno – «perché come con poca fatica si creano, si trovano, si pescano, cossì con poco prezzo si comprano».

Questi pedanti si riconoscono già dai nomi. Sono i Frulla, i Poliimnio, i Prudenzio, i Manfurio. Forti e crudeli con i deboli e debolissimi ed inermi con i forti, come sarà il don Abbondio di Manzoni e il Don Abbacchio di Fontamara. .

Alla loro ignavia intellettuale e etica, Bruno oppone, extrema ratio, il coraggio di pensare. Il coraggio di dire quello che si pensa. Il coraggio di essere coerenti fino in fondo con se stessi, trasformandolo in azione, proprio come pensava Fichte (in principio era l'azione). Per liberare gli individui dalla sottomissione intellettuale e sociale occorre pensare e pensate e pensare ancora.

Ecco, di sicuro, tra tante contraddizioni, Bruno vuole un mondo di individui pensanti e liberi: fornire l’istruzione a tutti perché ognuno possa emanciparsi; rimuovere gli ostacoli degli svantaggi individuali, sociali ed economici; togliere i privilegi; deporre i tiranni; costruire le Repubbliche e rafforzarle; scegliere governanti onesti. Perché individui si diventa, con il lavoro, con l'impegno. Perché l’appartenenza nella cittadinanza è nostra costruzione. La libertà è partecipazione, come dice Gaber.

La libertà e l'umanità. E tu uniscile. Chissà che mondo ne verrà fuori.

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Bibliografia essenziale
  1. Dialoghi italiani, 2 voll., nuovamente ristampati con note da Giovanni Gentile, terza edizione a cura di Giovanni Aquilecchia, Firenze, Sansoni 1985
  2. Dialoghi filosofici italiani, a cura e con saggio introduttivo di Michele Ciliberto, Mondadori, Milano 2000
  3. Opere italiane, 2 voll., testi critici di Giovanni Aquilecchia, coordinamento generale di Nuccio Ordine, UTET, Torino 2002
  4. Opere. Candelaio, Canto Circeo, Cena delle ceneri, Spaccio della bestia trionfante, Heroici furori, Cabala del cavallo pegaseo, L'asino cillenico, a cura di Marzio Pieri, 2 voll., La Finestra editrice, Lavis 2011
  5. Dal sito della Treccani
  6. Michele Ciliberto, Giordano Bruno. Il teatro della vita, Mondadori, Milano 2007 ISBN 978-88-04-56723-3
  7. Eugen Drewermann, Giordano Bruno, il filosofo che morì per la libertà dello spirito, Milano, Rizzoli UR 2008, ISBN 978-88-17-11877-4
  8. Dal sito di Wikipedia
  9. Alberto Samonà (a cura di), Giordano Bruno nella cultura mediterranea e siciliana dal '600 al nostro tempo, Officina di Studi Medievali, Palermo 2009, ISBN 978-88-6485-006-1
  10. Saverio Ricci, Dal Brunus redivivus al Bruno degli italiani. Metamorfosi della Nolana filosofia tra Sette e Ottocento, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2009
  11. Dal sito di Gabriella Papini
  12. Emiliano Ventura, Giordano Bruno. La divina eresia, Bardi, Roma, 2009
  13. Guido del Giudice, Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo Editore, Roma, 2012
  14. Un interessante link
  15. Duilio Ricci "Bruno e Galileo", MEF - Firenze Atheneum, Roma, 2012
  16. Bertrand Levergeois, "Giordano Bruno", Fazi Editore, Roma, 2013
  17. Dal sito di Micromega
  18. E. Ventura, Giordano Bruno Una volgare filosofia, Arbor sapientiae, Roma, 2016
  19. Nuccio Ordine, La cabala dell'asino. Asinità e conoscenza in Giordano Bruno, La nave di Teseo, 2017
  20. Dal sito Essere Pensiero
  21. Dal sito Phil Archive



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