(Redazione) - Passaggio in Grecia (Το πέρασμα στην Ελλάδα) - 05 - “Quella non ero io”: su "Era una nuvola" di Anne Carson

 

Di Maria Consiglia Alvino 
 
Un bluff, un espediente, un imbroglio, una trovata, un gioiello di pensata.
La verità è,
che una nuvola andò a Troia.

Fidatevi, Elena non è mai andata a Troia. È stato tutto un bluff. Al suo posto, ci è andato un eidolon, un fantasma o un doppio, come volete. Ce lo aveva già raccontato Euripide nella sua Elena (412 a.C.), seguendo a sua volta una versione del mito testimoniata da Stesicoro, Platone (Fedro e Repubblica) e dagli encomi di Gorgia e Isocrate; secondo questa tradizione “apologetica”, a Troia era andato un simulacro della vera Elena, finita, invece, per volontà degli dei e della Fortuna, in Egitto. È, questa Elena nascosta, una sorta di altra Penelope: fedele al marito, ma vittima della sua stessa bellezza e dell’odio causato dal suo doppio. Dalla nuvola, per l’appunto, per cui muoiono schiere di eroi e Troia è distrutta. È su questa scia che si colloca anche l’opera di Anne Carson, una delle voci più originali della letteratura canadese contemporanea.
Stavolta però non ci sono dei che tengano. È l’industria cinematografica Metro-Goldwyn-Mayer a tessere l’inganno, investendo sulla spedizione a Troia per girare un film di guerra. Marylin rimane invischiata in una guerra non sua. Quando Arthur Miller-Menelao arriva a Los Angeles, scoprirà che Norma Jean è rimasta lì per tutto il tempo, mentre la Marylin incontrata a Troia, una nuvola, null’altro era che un fantasma.
Non si tratta solo di riscrittura, di rielaborazione del mito. Si tratta, piuttosto, di un’incarnazione del mito. Pienamente nella quarta dimensione di Ritsos, i personaggi si aggirano sulla scena dell’America degli anni ’50. Ed Elena è Marylin Monroe, o, viceversa, è Norma Jeane Baker ad essere come e più di Elena, un mito in carne e ossa. La persona interpreta il personaggio e viceversa, in un continuo rimando di specchi, finzioni, prospettive, che trovano nella lingua greca le loro radici e i loro abissi.
Originariamente opera teatrale in versi liberi, l’opera, il cui titolo Era una nuvola è stato scelto dall’autrice stessa per la versione italiana dell’inglese Norma Jeane Baker of Troy (cf. Milano, Crocetti 2019, nella traduzione di Patrizio Ceccagnoli), non è ascrivibile a un genere ben definito. L’autrice lo definisce “melologo” (da melos e logos), un monologo teatrale pensato per l’esecuzione in musica e parole. Norma Jeane/ Marylin si racconta in una forma monologica che sa tanto del racconto psicoanalitico, descrivendo la tragedia di una donna ingannata, destinata a vivere come sogno altrui.

Lo spettacolo è una tragedia. Guardate ora attentamente
come lo salvo dal dolore.
Mi aspetto che sappiate della Guerra di Troia
e di come fu causata da Norma Jeane Baker.
Ah, le Public Relations!
Era tutta una truffa.
Un bluff, una schivata, un imbroglio, una trovata, un gioiello di pensata.
La verità è,
che una nuvola andò a Troia.
Una nuvola sotto forma di Norma Jeane Baker.
Gli dei lo resero possibile, o quasi.
Mi portarono a LA, in volo. Mi rinchiusero in una suite del Chateau Marmont.
Mi dissero di imparare le battute per Scontro di notte,
un film di Fritz Lang, il celebre regista.
Quanto basta sul suo conto.
A proposito di eserciti ignoranti però,
quella nuvola fasulla ingannò tutti.
Forse un migliaio di troiani morì a Troia. Mi dispiace per loro.
Mi dispiaccio per me stessa.

Nell’immagine costruita da Anne Carson rivive lo sdoppiamento già insito nell’eroina antica, evidente sin dalla duplicità del nome Norma Jean Baker/Marylin Monroe; sul conflitto tra nome e sostanza si innestano altri: maschile/femminile, eros monogamico/seduzione, guerra/pace. È, del resto, forte la portata antimilitarista dell’opera. Marylin, l’idolo-nuvola, diventa letale quanto se non di più dell’Elena antica, a causa del potere amplificatore dell’industria cinematografica americana. Come a sottolineare la portata distruttiva dei mezzi di comunicazione di massa. Fino a che punto la bellezza può essere manipolata in una società globalizzata profondamente patriarcale, fatta di uomini che amano la guerra? Non solo. Il conflitto non abbraccia solo l’essere donna, ma tutti, perché tutti, in definitiva, si muovono sul palcoscenico di una realtà che non comprendono, nella quale recitano a soggetto di volta in volta il ruolo della vittima e quello del carnefice. Carson va ben oltre la denuncia femminista e usa la lezione antica per riflettere sulla totale assurdità delle logiche di potere che animano i conflitti tanto globali quanto individuali. Perché litighiamo? Quanto siamo consapevoli delle ragioni dei nostri micro e macro conflitti? Perché abbocchiamo tutti alla “truffa della nuvola”, rincorrendo oggetti del desiderio che sono, alla fine, null’altro che proiezioni e che ci trascinano in guerre spesso insanabili?
Forse anche per colpa del linguaggio. Sul rapporto conflittuale tra linguaggio ed essenza Anne Carson ritorna con precisione filologica nelle nove sezioni di “Storia militare” che punteggiano l’opera: si tratta di brevi chiose linguistico-erudite, attraverso cui la voce dell’autrice interviene metatestualmente, come una glossa medievale o una voce fuoricampo.
Era una nuvola è un’opera drammatica e raffinata, che amplifica e rafforza i temi già propri della tragedia euripidea, facendoci riflettere ancora una volta sul rapporto spesso conflittuale tra bellezza e verità, tra nome e cosa: “A volte penso che la lingua dovrebbe coprirsi gli occhi mentre parla”.
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