In ricordo di Lorenzo Patàro

 
Foto di Sergio Daniele Donati

Quando una voce si spegne lascia rivoli di ricordo. Quando una giovane voce non parla più restano i suoi suoni nelle tracce del tempo. 
La Redazione de Le parole di Fedro si stringe nel ricordo di Lorenzo Patàro, troppo prematuramente scomparso perché se ne possa accettare l'assenza. 
Il silenzio, forse solo il silenzio, può darci sostegno e creare nel dolore quella rete di parole di ricordo che sono benedizione per chi resta. 
Un caro abbraccio da tutti noi alla famiglia e ai cari di Lorenzo, che non si sentano mai soli nel ricordo della sua magnifica presenza. 


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Alcune poesie di Lorenzo Patàro

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Penso ai morti del paese a cui non pensa
più nessuno. Gli ingrigiti fiori finti, i fiori secchi,
il gelo che fa tana nelle tombe scoperchiate.
Quanto resta. Cosa resta in una foto
di tutto il mappamondo di un umano.
Una scritta, una data, qualche oggetto.
Cosa resta. Penso a tutti i trapassati
che non lasciano una scia. Benedico
i loro nomi, percepisco il loro sonno
come un ago, la mia notte
nella cruna della loro.

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Il ramo-lucertola spezzato, l'incavo
del riccio di castagna ad accogliere
il respiro dei dispersi nella luce,
le mani-radici nella terra, i palmi-catini
colmi d'acqua, la fronte che è un viale
in attesa della foglie. Quanti corpi
attraversiamo, in quante forme migriamo
braccati come lupi nella notte.

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I rovi tra la neve troveranno un’altra luce
un bastone di pastore a scavare gli anemoni
e le bacche marce nella terra

a furia di urlare il mio nome si scheggia
la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio
che pende sottile dalla casa diroccata –

allora tu dammi un altro luogo
in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro
mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio

chiamami col verso dei falchi o delle volpi
donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli
che cercano la madre e la sua bocca

feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe
e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo,
ossidiana – rovescio del bianco nel bianco

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Nell'ora chiara, muta delle fate, quando il sole
apparecchia il suo congedo, quando gli ultimi
pescatori arsi di sudore gettano le esche rimaste,
c'è un so che di sospeso, di antico e di nuovo,
dal mare arriva come un richiamo a fermarsi,
a restare lì, sul molo, in attesa. E allora si perdono
i nomi, gli attributi, ogni nostro umano contorno,
il vuoto lasciato dagli abbracci, i perduti amori,
si resta nudi e selvatici e ardenti e si diffonde
un odore buono, di pane appena spezzato,
una brezza senza origine nè meta, lí per te,
come un nuovo destino potenziale.
E se lasci tutto andare, se lasci tutto così
come dev'essere, se lasci
che quell'aria ti attraversi, nel corpo,
all'improvviso, ritrovi i luoghi persi,
i luoghi amati, quei pezzi di vita che hai sepolto
sotto al cuore come un cane col suo osso
- e poi hai dimenticato di cercare.

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Mi innesti alla tua pianta, mi aggrappo
alla tua gemma che è ferita, raccolgo
il tuo respiro dalla crepa, lo scavo come fosse
una miniera, lo tengo come fuoco
tra le mani consegnato dalle braci,
lo tengo per quando arriva il gelo,
al riparo dalla febbre sulle tempie,
da quel freddo-animale che fa scarni,
fa muta la parola e ci leviga le ossa.
Raccolgo il tuo respiro come un frutto,
lo semino all’interno, benedico la tua fame
e la porto come un dono che ha il vizio di brillare.

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Commenti

  1. Triste scoprire un bel poeta mentre se ne va. Un poeta che però lascia la sua poesia splendida.

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  2. Grazie per la condivisione. Ciao, Lorenzo. Sensibilissimo poeta ❤️

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