Quel "non so che" dell'approdo poetico - piccole intuizioni a margine - di Sergio Daniele Donati
![]() |
Foto di Sergio Daniele Donati |
Quelle che sto per scrivere sono mere intuizioni alla rinfusa dettate da un'impellenza che l'insonnia di stanotte, con il suo portato di flussi incrociati di pensieri, mi ha portato.
Quando la mente è stanca, per evidente paradosso, entra in iperproduzione, come piccioletta barca (1), in cerca di un approdo sicuro, e sarebbe bene, se solo si fosse capaci di farlo, seguire il dantesco consiglio e non intraprendere quel viaggio.
Ma, se le cime sono ormai sciolte, e altro non resta davanti a sé che l'indeterminata infinità del mare, non resta che navigare.
Allora stanotte, tra mille pensieri non certo rassicuranti, ho potuto indagare la natura di approdo del dire poetico.
Versi sparsi, letture incrociate, si posavano infatti come lenimenti su quella sorta di iperventilazione mentale che mi stava attraversando.
E quei versi, a cui tributo vera gratitudine, li ho potuti analizzare nella loro struttura più celata, come se fossero messaggi di un altrove a una mente in subbuglio.
So bene che quella che qui trasmetto è una mera esperienza personale, eppure penso che questo tipo di vissuti possa avere un valore per chi legge poesia (di chi ne scrive in questa sede non parlerò).
Io penso che non sia stata ancora sufficientemente indagata la funzione lenitiva della poesia per chi la legge, e credo che questo potrebbe essere un campo di indagine di psicologia poetica di non scarsa rilevanza.
Penso poi che il lenimento della poesia stia in due o tre elementi essenziali che qui sotto cerco di riassumere:
1 - Ogni verso poetico si lega al ricordo della memoria (2) e del messaggio della memoria è portatore.
La prima cosa che leggere poesia ci ricorda è l'esistenza di un altrove, di un eppure, di un mondo parallelo – ma prossimo e limitrofo – al nostro quotidiano, capace di veicolare non solo contenuti profondi ma, soprattutto, una sorta di richiamo alla facoltà spirituale umana per eccellenza: quella di saper trasformare attraverso il ritorno al centro, all'essenza immutabile del proprio essere.
2 - Ogni verso poetico è capace di dettarci i tempi e le pause e richiama la necessità di percepire il ritmo nascosto del vivere; il respiro, in altri termini.
In questo la poesia (3) può avere per chi la legge o la richiama alla mente, come mi è successo ieri, un forte effetto di contrasto ad un'ansia che si manifesta in un respiro affannato .
In altri termini ricordare dei versi serve anche ad autoimporsi una coscienza dimenticata che ha ad oggetto proprio il nostro essere immersi, con la nostra piccioletta barca, nell'immensità e nella vastità del creato e di esserne non solo espressione, ma soprattutto parte costituente e vitale e, quindi,
3 - ogni verso poetico, anche il più altisonante e imperioso, ci ricorda l'eterno valore della nostra fragilità, del nostro essere cristalli e prismi capaci di sezionare luci bianche e scinderle nei colori dell'arcobaleno.
Ogni verso ci ricorda quindi quali delicati e sensibili strumenti di interpretazione del reale noi siamo e ci riporta alla necessità del rifiuto del grossolano e del semplificato, ridando ricchezza alla complessità della nostra esistenza umana.
4 - Per i motivi sopra esposti, leggere (o ricordare) poesia ci impone di rallentare, fino a ritrovare il nostro battito cardiaco interiore, in unisono con un ben più profondo battito; quello di una natura che è allo stesso tempo l'altro da noi e simbolo della nostra essenza nel tempo.
Tutto questo, e molto altro ancora, si manifesta, come sopra si diceva, come una sorta di lenimento, di balsamo, sulle nostre ferite; anche quando il dire poetico appare scoperchiarle e riaprirle, senza troppa delicatezza.
Ci sono lenimenti prima facie urticanti in natura ma che sul lungo termine esplicano i loro benefici effetti sul nostro corpo-mente, e io credo fermamente che la Poesia sia tra questi.
La poesia ci offre costantemente una piccola possibilità di approdo anche quando dice di tutt'altro e narra di un dolore profondo.
Perchè scrivere e leggere del dolore manifesta, almeno in parte, sempre distanza da esso e sottopelle lancia il messaggio profondo che, almeno una piccola parte di noi, da quel dolore, osservandolo, è capace di prendere le distanze, di liberarsene tenendoselo vicino.
Questo è ciò che intendo quando parlo di una lettura/memoria meditativa della poesia.
E non ho bisogno di sperticarmi in citazioni dotte, che tuttavia esisterebbero, per argomentare o trovare il sostegno di critici e filosofi seri.
Rifiuto da sempre di darmi toni e competenze che non mi appartengono.
Questa, quindi, non è una dissertazione, ma il frutto di una mia esperienza – anzi, della mia esperienza – e non cerca consensi ma lancia un piccolo seme al vento.
In quali campi, se ma ce ne saranno, darà frutto e metterà radici, non mi è dato saperlo, né posso sapere se mai ciò che dico trovi riscontro nell'esperienza altrui.
So solo che ieri notte, e così tante volte prima di allora, la poesia per me è stata approdo e canto della mia fragilità in risonanza con ciò che sa cantare da sempre e canterà per sempre, anche quando, presto, io non ci sarò più.
E sono grato, e non so dire quanto, a non so chi o cosa da sempre porge suoni di lenimento a chi dimentica il proprio respiro nei vuoti terribili di coscienza che lo attanagliano.
Domani uscirà su queste pagine, nella rubrica Dissolvenze, un bellissimo pezzo di Arianna Bonino, leggetelo con gli occhi della fragilità di cui ho cercato qui di parlare, perchè, forse, ciò che qui scrivo è tanto legato alla sua scrittura.
NOTE
1) Dante Alighieri (La commedia - Paradiso II, 1-6):
O voi che siete in piccioletta barca,desiderosi d’ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.
2) Appare una tautologia ma non lo è. L'uomo naturalmente dimentica e la facoltà/sforzo di fare memoria deve essere costantemente richiamata in vita da un passaggio interno attraverso il corpo/cuore. In altre parole, se dimentico di ricordare nessuna memoria, quindi nessuna trasmissione, è possibile.
3) Ovviamente qui il discorso è relativo a ciò che per ciascuno di noi, e soggettivamente mutabile, rappresenta alta poesia, ovvero, ciò a cui ciascuno di noi tributa i propri silenzi di gratitudine profonda.
Grande Sergio
RispondiElimina