(Redazione) - Su Ketti Martino: Soglia - Inner - Suture (per Repertorio del perdurare) di Anna Rita Merico

 

Su Ketti Martino: Soglia - Inner - Suture (per Repertorio del perdurare)(1)
(di Anna Rita Merico)

Avrei potuto capire, guardare
con cura l’incisione sulla pelle
assorbire piano l’indifferenza della città
avrei potuto lasciare che il mare
disordinasse ogni particella
e nelle case di quartiere respirare l’umido dei vecchi
ma le dita e le feroci corde
(crudeli come le gocce che bevevo)
erano lì a serrare i polsi giorno dopo giorno:
dove eravate spettatori sepolti nella terra?
Forse sotto foreste disboscate, o sotto grattacieli?
E di questo vivere intorno, e mai dentro, ignari?
Dove eravate, voi, a non dire?
Fui obbediente
fui consacrata
fui nella vita e nella morte
seppellita
.(2)

Soglia (pg 15-33) leggera la soglia d’ingresso in una musica poetica sospesa tra realtà di luoghi e transiti di passaggi in dimensioni di dentro. Ondivago l’occhio poggia tra attimi di tempo quotidiano e tensione al congedo, al confine della lingua. La dimensione del viaggio alberga sulla soglia facendone luogo fluido che rifugge la sosta. L’andare come garanzia ultima di una ricerca di senso da non tradire. Ossessivo il pensiero all’interno del limite. Pensiero che batte l’essere di un verso mai consolatorio. Sulla soglia il saluto agl’infiniti congedi, alla pelle tatuata da sguardi sul mondo. L’io poetico mostrato è Argo, il cento occhi nel bosco sacro, a guardia di Io, che – qui – è la parola.
C’è un tu in dialogo serrato. Un tu a cui appigliarsi nel dialogo con sé. Un tu a cui chiedere appoggio per dissolvere l’ingombro di un io in perenne ritardo al cospetto del tempo e del sentire. Due onde si scontrano nella giuntura della soglia: ciò che è presente e ciò che conosce la pietrificazione, il ciò che è stato. Poco il sole. Tanto l’azzurro del freddo: quello dell’amore terminato, quello degli enigmi che disarmano, quello del sogno che inonda spuntoni di crepaccio.
Le architetture della vita s’appostano nei budelli di storie che scorrono nutrendo le assenze, i limiti, le trasparenze, gli attimi spessi delle insidie. Quello di Ketti Martino è paesaggio d’amore per il vuoto, per l’ombra, per la deriva dolce insidiata dai fotogrammi della memoria.

Aveva quella luce sottopelle
simile all’azzurro che cade fuori dall’assenza;
la gravità chiusa tutta nelle giunture, nel fogliame
che nasceva e si apriva come pesca.
Aveva l’alba che conosce la felicità all’addensarsi
delle immagini, quando la carne i fonde
in nude cellule di perfezione.
Aveva nel cesello il tratteggio di una cometa
– solenne era nel bacio solenne dell’addio:
le parole ricamate a una a una
al profumo di striato mare
d’immenso
disperato
mare.
(3)
Inner (pg. 39-59) è stanza di sogni. Essa avanza accanto alla stanza della memoria e dello sguardo. Flusso di flussi. Incanto di silenzi. Figure fondamentali quelle della luce e dell’ombra che dissodano territori posti in bilico tra rassegnazione e tenace resistenza. Un immaginario poetico teso verso la dimensione simbolica del viaggio che allontana e del viaggio che avvicina in un ritmo di dentro capace di approssimare all’esistenza autentica, quella dell’essere. Una poesia che risente della formazione dell’Autrice, formazione in filosofia la quale muove metodo di trascendimento della parola legandola alla ricerca del significato. E’ parola che s’incarna nel presente ma si protende in tensione verso uscite postume, verso prospettive d’incontro e di evoluzione. Martino contiene il perimetro del suo andare poetico all’interno di prefigurazioni, dislocazioni e attrazioni. Inner: la dimensione della corto circuitazione tra vita e morte, del loro innesto in radice ultima, dei passaggi che fondano legami, degli scivoloni all’interno delle regressioni nei propri demoni. Inner lega alla consapevolezza dei rituali necessari per attraversare i terreni muschiosi dell’esistenza, il desiderio dell’approdo, della confidenziale quotidianità fatta di non luoghi legati ad orditi urbani e dimensioni all’aperto. L’aperto, in Martino, è l’aperto all’oscillazione della metamorfosi, al mutamento dei cicli, alle armonie che fondano connessioni. La vita della poesia di Martino è in una interrogazione che scorre come immagine cinematografica sul telo dell’esistenza mostrando immagini-simbolo capaci di tenere insieme testo, esistenza e promessa di senso.
Suture luogo aperto in cui si dipanano i grani delle città, perle al filo del guardare, notte nel mare di crepe, eternità sbocciate nei silenzi traboccanti e indistinti che inondano mattini e vortici di vuoto. Si fanno spazio giardini urbani dell’anima, giardini in cui aver cura della parola-situazione, dell’accumulo temporale, del fecondo della poesia. Sono versi che aprono accoglienza verso mutate consapevolezze sia del conosciuto che del disorientante. Suture (pg. 65-93) è un di taccuino di viaggio. Un taccuino in cui Martino ha registrato i venti capaci di attraversare lo sguardo rendendogli il nuovo della propria visione.
Di tutti i luoghi che posso immaginare
è solo questo che nello smarrimento dolce
ha moltitudini addossate le une
alle altre in perenne dialogo 
(4)
Viaggio solitario, condiviso con le immedesimazioni, con le luci che forgiano ombre, con gli opposti capaci di generare, con i nulla di toni pallidi che vestono i nord, con le percezioni di estraneità e distacco, i freddi, le assenze, le voci, le tracce, le immensità, le inquietudini, gli scorci. E’ uno stare in viaggio che interroga e intrattiene. Un portarsi in valigia l’amore per sé e il lento del desiderio. Le città scorrono mostrando pieghe di corpo, esseri viventi e palpitanti astratti dai volti che le ingolfano. L’Autrice le denuda dalle frette e le mostra al netto delle loro essenze fermandole in foto di parole. Lo sguardo è sempre esterno, osserva e impasta luoghi e percezioni d’anima. Emerge dolore, vuoto, felicità, ripetizione, tempo, carezza d’ascolto. Sfilano tutti i nettari dell’andare in ordinata fila di sguardo sulla realtà. In questi versi tutto è così vertiginosamente in bilico tra quello che appare e quanto è cangiante in quei mutamenti di forma guadagnati nelle tensioni al superamento. Un tratto di percorso poetico in cui emergono fili di tragitto, ricerca di modi nuovi di stare nei pressi della capacità creativa e del bisogno di svolta esistenziale e, ancora, di ricerca di sé. Un continuo oscillare tra il minimale di ciò che è accanto e una cartografia del sentire la cui chiave è una ricerca sia di identificazione che di rappresentazione personale. Il viaggio, nella poesia di Ketti Martino, mostra la propria cifra nell’esigenza di un andare conoscitivo capace di indicare soglie su cui fermare riscontri per realtà altre. Emerge, dall’intero lavoro in scrittura poetica, l’esigenza di voler riconfigurare il proprio cono di realtà approcciando un passo in avanti che è, anche, passo a ritroso in cui vedere e sentire non si disgiungono e generano. Un passo in avanti in cui vedere e sentire si lasciano confluire in una forma di pensiero che chiede casa in poesia. Un vedere e un sentire capaci di indicare una contemporaneità che esperisce la propria mancanza di centro come unica, possibile bussola dell’andare, perdonando – innanzitutto e come atto di conoscenza – sè.

Quella piega tra le parole,
quello spazio bianco che come alito creaturale
si ritrae e torna: il condensato nettare
che ad ogni luccichio rovescia il mio disordine.
Tutto, nel minuscolo intervallo,
è fonte carica di amore.
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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Ketti Martino è nata a Napoli. Laureata in filosofia e abilitata in Psicologia Sociale, ha insegnato nella Scuola Pubblica. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche tra cui I poeti hanno unghie luride, Del distacco e altre impermanenze, Il ramo più preciso del tempo
Ha curato l’antologia poetica La poesia è una città.
Suoi testi sono stati tradotti in inglese e spagnolo e inseriti in riviste internazionali.
Fa parte della Comunità Poetica Versipelle.
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NOTE
1 - Ketti Martino, Repertorio del perdurare, Controluna ed., 2024
2 - ivi pg 29
3 - ivi pg 52
4 - ivi pg 65
5 - ivi pg 93


















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