(Redazione) - Amerinda - 02 - Roberto Fernández Retamar: la tenerezza della rivoluzione

 
di Antonio Nazzaro



Storia, tempo, poesia: giocheremo un’altra volta queste carte.
Non so se si usa iniziare un articolo con un’epigrafe però il poeta di cui mi accingo a parlare ha segnato un punto di non ritorno nella poesia cubana. Retamar ha postulato i nuovi luoghi della poesia cubana e messo in crisi le forme della poesia pre-rivoluzionaria.
In un breve testo del 1959 intitolato “Altra uscita del Don Chisciotte” afferma: La poesia oramai non si confeziona laboriosamente in matrimoni segreti tra la pagina bianca e il sogno schivo, ma diventa l’incredibile quotidianità della nostra vita” e poi ancora: “negano la libertà e la verità della poesia: gli “enigmi”, si capisca quelli falsi e gratuiti; “le borie barocche; “le bolle del sogno” e la “acute audacie”. E chiude il discorso con questa frase con: “Da subito, all’iniziare l’anno, è iniziato il regno dell’evidenza”.
Il primo di gennaio del 1959 Retamar scrive questa poesia:

1 L’altro
(Gennaio 1. °, 1959)

Noi, i sopravvissuti
A chi dobbiamo il sopravvivere?
Chi è morto per me nell’ergastolo,
Chi ha ricevuto la mia pallottola,
quella per me, nel suo cuore?
Su quale morto sono vivo,
Le sue ossa sono nelle mie,
Gli occhi che gli strapparono, a guardare
Per lo sguardo della mia faccia,
E la mano che non è la sua mano,
Che oramai non è nemmeno la mia,
Allo scrivere parole spezzate
Dove lui non c’è, nel sopravvivere?

Mi sembra che in questi versi il poeta cerca di assumere la responsabilità, quasi fisicamente, del tempo e dello spazio che si trova ad ereditare. Accettando di fatto la continuazione di una lotta che non finisce.
Nel volume 1 “Todo Retamar”, pubblicado nel 2023 dalla casa editrice cubana Ediciones Bachiller, Nella sezione intitolata: Cosa vedremo ardere (1966-1969) dopo una poesia di Mayakovsky che apre la silloge si legge questa poesia dove si fa esplicito il ruolo del poeta che appartiene oramai alla rivoluzione:

2 Dovere e Diritto di scrivere su tutto

Assurda l’idea che soltanto puoi scrivere su quello che ti è successo
(Il piccolo, l’infimo che ha passato questo corpo, questa vita tra le sue date)
Come se non ti fosse successo tutto, come se
Non ci fosse un pomeriggio che non avvenisse per te,
Come se tutti gli imperi distrutti, dispersi dai deserti,
              divorati dalla selva
Non ti avessero guidato fino a te;
Come se il più lontano astro, perduto sul bordo dell’Universo,
e anche gli astri che oggi oramai non esistono,
E le nebulose pensierose,
Non avessero lavorato, sapendolo o senza saperlo,
Per te, per quest’istante, per questa poesia
Che si scrive grazie all’afflato esalato da Miranda
o per Senofonte
Con un pezzo in più di Cassiopea.

Retamar anticipa e di molto la frase resa celebre in Italia del cantautore De Gregori: “La storia siamo noi”, ma qui ovviamente assume un peso specifico molto più grande e ricorda in qualche modo il testo gramsciano: Odio gli indifferenti. Ma non sbagliatevi il poeta non fa un voto alla poesia civile ma anzi apre gli spazi a una poesia dai toni colloquiali dove emerge quella che sento come la tenerezza rivoluzionaria o della rivoluzione.

3 Madrigale

C’era la piccola borghesia,
La borghesia compratrice,
I latifondisti,
Il proletariato,
La classe contadina,
Altre classi,
E tu,
Tutta tremore, tutta gioia.

In questa poesia lo scrittore trasporta il mondo della lotta in quello dell’intimità o meglio della tenerezza sua e di chi la ispira passando dalla storia presente alla storia esistenziale senza che ci siano tagli o cambi di rotta nel tono e nel ritmo del testo.
Voglio proporvi, adesso, quella poesia che personalmente considero uno degli apici della poesia della tenerezza rivoluzionaria retamariana e allo stesso tempo l’impegno civile, non solo intellettuale dello scrittore. Qui Roberto Retamar si mostra come agente attivo del cambiamento epocale dell’isola che in quel momento storico, e in parte anche oggi, rappresenta una speranza di libertà prima di tutto per l’America La- tina ma anche per il resto del mondo.

4 Con le stesse mani

Con le stesse mani che ti accarezzano sto costruendo
una scuola
Sono arrivato quasi all’alba, con quello che pensavo sarebbe
stata la roba da lavoro,
Ma gli uomini e i ragazzi che, nei loro cenci
aspettavano
Comunque mi hanno chiamato signore.
Stanno in una casona pronta
per essere demolita,
Con alcune brande e tavole: lì passano le notti
Adesso, invece di dormire sotto i ponti o negli androni.
Uno sa leggere, e l’hanno mandato a cercare quando hanno saputo
che avevo una biblioteca.
(È alto luminoso, e porta una barbetta insolente
volto mulatto.)
Sono passato per quello che sarà il refettorio scolastico, oggi solo segnalato per un plinto
Dove il mio amico traccia con il suo dito nell’aria
finestroni e porte.
Dietro ci sono le pietre, e un gruppo di ragazzi
Le muovono su veloci cariole. Ne ho chiesta una
E mi sono messo ad imparare il lavoro elementare dagli
uomini elementari.
Poi ho avuto la mia prima pala e ho bevuto l’acqua della fonte
dei lavoratori,
E, stanco, ho pensato a te, a quella volta
Che sei rimasta a raccogliere il raccolto fino a quando
ti si annebbiava la vista
Come a me adesso
Come eravamo lontani dalle cose
vere!
Amore, che lontani – come l’uno dall’altro -!
La conversazione e il pranzo
sono stati meritati, e l’amicizia del pastore.
Perfino c’era una coppia di innamorati
Che arrossivano quando li additavamo, ridendo,
Fumando, dopo il caffè.
Non c’è momento
Che non ti penso.
Oggi forse di più,
E nel mentre aiuto a costruire questa scuola
Con le stesse mani che ti accarezzano.

Il poeta cubano non perde nessuna occasione per formulare l’idea di una poesia nuova e allo stesso tempo come questo cambiamento vada di pari passo con la rivoluzione o forse sarebbe meglio dire che è una parte inscindibile della stessa. Nella silloge “Si, alla rivoluzione (1956 - 1961)” Nell’anno della baia dei Porci scrive:

5 Canzoni di poche parole

1

Molte sono le parole
Della lingua:
Parole grandi
Come animali, strane
A volte, e altre
Piccole
E oscure,
Fatte di pietra
E notte.
Ma non sono
Molte
Le parole
Che necessitiamo
Per dire le cose
Senza le quali
Non potremmo
Vivere.
Per chiedere un bicchiere
D’acqua
Per chiamare
La madre
Per amare.

2

Di quante parole
Hai bisogno
Per innamorare?
Appena la parola
Amare, la parola
Fiore,
La parola
Che alla fine
Non riesci
Ad incontrare.

3

Prima d’essere
Una poesia
E’
Un foglio bianco
E un sacco di memorie,
Un foglio bianco
E il cuore entusiasmato,
Un foglio bianco
E più desideri di vivere,
Un foglio bianco
E il popolo cantare nelle strade,
Un foglio, bianco,
E il tuono della Rivoluzione.

La rivoluzione si fa militanza dell’umanizzazione del mondo pubblico e intimo e della natura, della solidarietà di un popolo che canta nelle strade di un universo fatto limpido dal tuono della rivoluzione.
Le poesie di Roberto Fernández Retamar presentate in questa nota appartengono tutte alla produzione “rivoluzionaria” dello scrittore e quindi la sua Arte Poetica che andiamo a leggere corrisponde a questo periodo e non a quello degli inizi dove il poeta già aveva scritto un testo dallo stesso titolo.

6 Arte Poetica
A Agustín Pi

In vano corteggio le matite, guardo la macchina
Da scrivere con volenterosa tenerezza di impiegato appena sposato.
Invano leggo o mi dico cose che dovrebbero ammucchiarsi in questo della poesia.

Ciò nonostante, basta che muoia qualcuno,
Che veda quello che non avrei dovuto vedere,
Che senta quello che non avrei dovuto sentire,
Perché, senza raccomandarmi alla matita né alla macchina,
Appaia d’improvviso, e debba infastidire le persone
Per chiedere foglietti e matite,
O scarabocchiare nelle ricevute
Cose che probabilmente non potrò poi decifrare
(Che cosa dice qui?)
Sarebbe stato meglio nascere medico - non essere nato.

La poesia come parte della storia grande o piccola come voce che trasmette e fa storia e allo stesso tempo necessità assoluta: Sarebbe stato meglio nascere medico - non essere nato.
Per dare una possibile definizione dell’idea di poesia di Retamar riportiamo qui di seguito un prologo a un'antologia, scritto dal poeta: “Il lettore osserverà che si riuniscono in questa raccolta poeti dal tono conversazionale, poeti che ancora sentono crepitare con violenza gli ismi, poeti che non si sono staccati interamente dai modi ermetici. In tutti, comunque, è possibile percepire l’intento di una nuova poesia…”.
Di questa nuova poesia possiamo dire: “Un manifesto desiderio di umanizzare la poesia (senza dimenticare le conquiste espressive che sono oramai un acquisizione irrinunciabile), di restituirla ancor di più alle necessità dell’uomo, allontanandola per quanto possibile dalle avventure formali della squisitezza o ermetiche della trascendenza. Non insegnano altra cosa i poeti che ci interessano. 
E, soprattutto, non esigono altra cosa i giorni che ci è toccato vivere. La poesia tende, spesso laboriosamente, dolorosamente, ad uscire dall’inaridito mondo dove è stata portata per preservare alcuni oggetti della caduta storica. I poeti immediati di cui l’influenza è più osservabile sono quelli che tornano con affetto o asprezza alle cose. E, soprattutto, Cesar Vallejo. Così come ha potuto dire una voce lucida, forse qualcosa precipitosamente, che una poesia estetica era avvenuta tra noi una di avventura metafisica o mistica, si può affermare, con il solito margine d’errore, che la poesia di ritorno da quelle avventure, penetra nella vita quotidiana, per alimentarsi di lei - e per alimentarla. Non si eludono la prosaicità, il tono colloquiale, la violenza, l’effusione sentimentale, la preoccupazione sociale o politica (anche se non in modo meccanico o demagogico), il vago, l’impurezza. Bisognerà aggiungere che questa generazione, in una privilegiata situazione storica trovi nella stessa storia ciò che a tutte le altre durante La repubblica le fu negato?” (…).
E a mo’ di chiusura di questi appunti sparsi sulla poesia di Roberto Fernández Retamar vi lasciamo la lettura di questa poesia:

7 Felici i normali
A Antonia Eiriz

Felici i normali, questi esseri strani.
Quelli che non hanno avuto una madre pazza, un padre ubriacone,
un figlio delinquente,
Una casa da nessuna parte, una malattia sconosciuta,
Quelli che non sono stati calcinati da un amore divorante,
Quelli che hanno vissuto i diciassette volti del sorriso e qualcosa in più.
Quelli pieni di scarpe, gli arcangeli con i cappelli,
I soddisfatti, i grassi, i belli,
I rintintín e i loro seguaci, quelle che come no, passi pure,
Quelli che vincono, quelli che sono amati fino in fondo,
I flautisti accompagnati dai topi,
I venditori e i loro compratori,
I cavallieri leggermente sovrumani,
Gli uomini vestiti di tuoni e le donne di fulmini,
I delicati, i sensati, i fini,
Gli amabili, i dolci, i commestibili e i bevibili.
Felici gli uccelli, il letame, le pietre.
Ma che lascino il passo a quelli che fanno i mondi e i sogni,
Le illusioni, le sinfonie, le parole che sconvolgono
E costruiscono, i più matti della loro madre, i più ubriaconi
dei loro padri e più delinquenti dei loro figli
E più divorati da amori calcinanti.
Lasciate loro un posto all’inferno, e niente più.

*L'invasione della baia dei Porci fu il fallito tentativo di rovesciare il governo di Fidel Castro a Cuba, messo in atto dalla CIA degli Stati Uniti d'America per mezzo di un gruppo di esuli cubani anticastristi, fatti sbarcare nella parte sud-ovest dell'isola. L'operazione è conosciuta in inglese come Bay of the Pigs Invasion e, tra i cubani, col nome spagnolo di invasión de Playa Girón o batalla de Girón.

Le poesie spagnolo
(la traduzione in italiano sopra è di Antonio Nazzaro)
1 El otro

Nosotros, los sobrevivientes,
¿A quiénes debemos la sobrevida?
¿Quién se murió por mí en la ergástula,
Quién recibió la bala mía,
La para mí, en su corazón?
¿Sobre qué muerto estoy yo vivo,
Sus huesos quedando en los míos,
Los ojos que le arrancaron, viendo
Por la mirada de mi cara,
Y la mano que no es su mano,
Que no es ya tampoco la mía,
Escribiendo palabras rotas
Donde él no está, en la sobrevida?

2 Deber y derecho de escribir sobre todo

Absurda la idea de que sólo puedes escribir sobre lo que te ha ocurrido
(lo pequeño, lo ínfimo que le ha ocurrido a ese cuerpo, a esa vida entre sus fechas),
como si todo no te hubiera ocurrido, como si
hubiera una tarde que no cayera para ti,
como si todos los imperios destruidos, aventado por los desiertos, devorados por las selvas,
no hubieran conducido hasta ti;
como si el más lejano astro, extraviado al borde del Universo,
y también los astros que hoy ya no existen,
y las nebulosas pensativas,
no hubieran trabajado, sabiéndolo o sin saberlo,
para ti, para este instante, para este poema
que se escribe gracias al aliento exhalado por Miranda o por Jenofonte,
con un trozo sobrante de Casiopea.

3 Madrigal

Había la pequeña burguesía,
La burguesía compradora,
Los latifundistas,
El proletariado,
El campesinado,
Otras clases,
Y tú,
Toda temblor, toda ilusión.

4 Con las mismas manos

Con las mismas manos de acariciarte estoy construyendo una escuela.
Llegué casi al amanecer, con las que pensé que serían ropas de trabajo,
Pero los hombres y los muchachos que, en sus harapos esperaban
Todavía me dijeron señor.
Están en un caserón a medio derruir,
Con unos cuantos catres y palos: allí pasan las noches
Ahora, en vez de dormir bajo los puentes o en los portales.
Uno sabe leer, y lo mandaron a buscar cuando
supieron que yo tenía biblioteca.
(Es alto, luminoso, y usa una barbita en el insolente rostro mulato.)
Pasé por el que será el comedor escolar, hoy sólo señalado por una zapata
Sobre la cual mi amigo traza con su dedo en el aire ventanales y puertas.
Atrás estaban las piedras, y un grupo de muchachos
Las trasladaban en veloces carretillas. Yo pedí una
Y me eché a aprender el trabajo elemental de los hombres elementales.
Luego tuve mi primera pala y tomé el agua silvestre de los trabajadores,
Y, fatigado, pensé en ti, en aquella vez
Que estuviste recogiendo una cosecha hasta que la vista se te nublaba
Como ahora a mí,
¡Qué lejos estábamos de las cosas verdaderas,
Amor, qué lejos -como uno de otro!
La conversación y el almuerzo
Fueron merecidos, y la amistad del pastor
Hasta hubo una pareja de enamorados
Que se ruborizaban cuando los señalábamos, riendo,
Fumando, después del café.
No hay momento
En que no piense en ti.
Hoy quizás más,
Y mientras ayude a construir esta escuela
Con las mismas manos de acariciarte.

5 Canciones de pocas palabras

1
Muchas son las palabras
del idioma:
palabras grandes,
como animales, raras
a veces, y otras
pequeñas
y oscuras,
hechas de piedra
y noche.
Pero no son
Muchas
Las palabras
Que necesitamos
Para decir las cosas
Sin las cuales
No podríamos
Vivir.
Para pedir un vaso
De agua,
Para llamar
A la madre,
Para amar.

2
¿Cuántas palabras
necesitas
para enamorar?
Apenas la palabra
Querer, la palabra
Flor,
La palabra
Que al fin
No vas a encontrar.

3
Antes de ser,
un poema
es
una hoja blanca
y un montón de memorias,
una hoja blanca
y el corazón entusiasmado,
una hoja blanca
y más deseos de vivir,
una hoja blanca
y el pueblo cantando en las calles,
una hoja, blanca,
y el trueno de la Revolución.

6 Arte poética

En vano cortejo los lápices, miro la máquina
De escribir con voluntariosa ternura de oficinista reciencasado.
En vano leo o me digo cosas que debieran amontonarse en esto de la poesía.

Sin embargo, basta que se muera alguien,
Que vea lo que no debiera haber visto,
Que sienta lo que no debiera sentir,
Para que, sin encomendarme a lápiz ni a máquina,
Aparezca de repente, y haya que estar molestando a la gente
Pidiendo papelitos y lapiceros,
O garabateando en las transferencias
Cosas que a lo mejor no voy a poder descifrar después
(¿Qué dice aquí?).
Mejor hubiera sido haber nacido médico —o no haber nacido—

7 Felices los normales
A Antonia Eiriz

Felices los normales, esos seres extraños.
Los que no tuvieron una madre loca, un padre borracho,
un hijo delincuente,
Una casa en ninguna parte, una enfermedad desconocida,
Los que no han sido calcinados por un amor devorante,
Los que vivieron los diecisiete rostros de la sonrisa y un
poco más,
Los llenos de zapatos, los arcángeles con sombreros,
Los satisfechos, los gordos, los lindos,
Los rintintín y sus secuaces, los que cómo no, por aquí,
Los que ganan, los que son queridos hasta la
empuñadura,
Los flautistas acompañados por ratones,
Los vendedores y sus compradores,
Los caballeros ligeramente sobrehumanos,
Los hombres vestidos de truenos y las mujeres de
relámpagos,
Los delicados, los sensatos, los finos,
Los amables, los dulces, los comestibles y los bebestibles.
Felices las aves, el estiércol, las piedras.
Pero que den paso a los que hacen los mundos y los
sueños,
Las ilusiones, las sinfonías, las palabras que nos
desbaratan
Y nos construyen, los más locos que sus madres, los más
borrachos
Que sus padres y más delincuentes que sus hijos
Y más devorados por amores calcinantes.
Que les dejen su sitio en el infierno, y basta.





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