(Redazione) - Dissolvenze - 42 - Quel che resta di Jo
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di Arianna Bonino |
Josephine
Verstille Nivison, detta
Jo.
Nasce in una domenica di marzo, a New York, nel
1883.
Eldorado, pianista e professore di musica e la moglie Mary
crescono Josephine seguendo una visione moderna e stimolandola alla
lettura e all’arte. Jo prende anche lezioni di danza e sviluppa una
sempre crescente sete di conoscenza. Legge appassionatamente, studia
latino, storia, letteratura, filosofia, psicologia e si diploma
all’istituto d’arte.
Dopo il diploma, inizia a frequentare
la New York School of Art. È qui che conosce Robert Henri, pittore
ben noto per la sua visione antiaccademica e innovatrice e per la
rivoluzionaria inclusione in pittura dei “temi urbani” trattati
in modo non convenzionale, ben rappresentati dal Gruppo degli Otto
che, sotto la sua guida, espone alle
Macbeth Galleries di New York nel 1908.
Di Josephine Henri
realizza un ritratto dal titolo emblematico: “The art student”.
Piccola,
bruna, insolita,
Jo. E con i pennelli, pronta a riprendere a dipingere non appena
Henri avrà finito di dipingere lei. È così Jo: una donna che vuole
fare l’artista e che intanto ha raggiunto la sua autonomia come
insegnate nella scuola
pubblica.
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Robert_Henri - The Art Student (Miss Josephine Nivison) |
È l’inizio di un rapporto d’amore complicato. Sarà un matrimonio animato da costanti conflitti. Edward ha un’idea diversa di come dovrebbe essere una moglie. Jo è troppo indipendente, ha una personalità troppo forte e un carattere poco accondiscendente.
Jo Hopper. Moglie di Edward. Ma prima di tutto Josephine Verstille Nivison.
Edward la ritrae centinaia di volte. Lui l’avrebbe forse voluta sempre così, come la dipingeva: immobile, silente, vivificata solo dalla luce riflessa del suo talentuoso e geniale sguardo. E sono innumerevoli i ritratti, i disegni, gli studi, gli schizzi che Edward realizza con il corpo di Jo. Non c’è però un disegno, non un dipinto di lei dove si colga appieno il volto. Spesso si tratta di pose rannicchiate, insolite, scontrose, sfuggenti. Molti degli splendidi nudi sono dormienti, come se davvero Edward attendesse il vero sonno di lei per poterla ritrarre finalmente senza tensioni.
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Foto ricavata dal web (link di riferimento) |
Jo
pittrice, Jo modella. Lei che iniziò a dipingere, esporre e a
ottenere riconoscimenti prima di lui, Edward.
Da
sposati era frequente che dipingessero nelle stesse località, anche
gli stessi soggetti. Condividevano lo stesso studio. Ma tanto lei
incoraggiava lui e lo spronava nei frequenti momenti di crisi che
ombreggiarono l’intera sua vita, quanto lui scoraggiava lei come
artista. Jo soffrì molto, lo si legge negli oltre sessanta diari che
tenne e che hanno permesso anche di comprendere alcuni aspetti della
pittura del marito, a cui, infine, si arrese.
Edward
Hopper, marito di Jo. Oltre quarant’anni vissuti insieme, lui a
combattere la libertà di lei, lei a combattere i fantasmi di lui.
Una lotta che li ha uniti fino alla morte.
“Jo in
Wyoming” è un acquerello del 1946. Pur non essendo tra i più
noti, trovo che sia uno dei lavori più emblematici e intimamente
rivelatori di Hopper. Riguarda lui, il suo punto di vista, la sua
postura. Riguarda quel volante senza guidatore, quell’impermeabile
gettato sul sedile. Riguarda Jo, sua moglie, il suo essere e la sua
indole, quella portiera aperta. Riguarda loro, così incastonati in
uno spazio chiuso. Quasi totalmente chiuso. Riguarda una strada, che
c’è. Cosa vede e ritrae lui, cosa vede e dipinge lei. E cosa a noi
è dato di vedere di loro, compreso quello che compare nello
specchietto
retrovisore.

Foto ricavata dal web (link di riferimento)

Le
opere di entrambi vengono lasciate da Jo al Whitney
Museum of American Art di Manhattan.
Ma
i disegni e i dipinti di Jo, a differenza di quelli del marito, non
furono ritenuti pregevoli tanto da dover essere conservati:
"...Nel
complesso solo tre lavori di Jo furono aggiunti alla collezione
permanente del Whitney senza peraltro essere mai esposti. Quando
iniziai la mia ricerca nel 1976 erano tutti scomparsi. Nessuno è mai
stato ritrovato. Alcuni riuscirono a sfuggire alla distruzione perché
furono attribuiti a Edward: tra questi pochi disegni, piccoli dipinti
a olio realizzati in età giovanile e diversi acquerelli, tutti
erroneamente scambiati come suoi. In qualità di curatore della
collezione Hopper convinsi il gallerista del pittore, il compianto
John Clancy, a donare al museo un ritratto di Edward dipinto da Jo.
L’opera, l’unico olio di Jo Hopper risalente alla fase più
matura della sua carriera di cui il museo disponga, non è stata mai
registrata tra le accessioni della collezione permanente. Oggi
conosciamo la maggior parte dei dipinti e dei disegni di Jo solo
grazie alle fotografie che lei stessa scattò. Gli unici lavori
sopravvissuti sono i pochi che vendette o regalò.
Gli
uomini del Whitney diedero per scontato che le opere di Jo non
avessero valore…”
(da
"Edward Hopper: biografia intima" di Gail Levine, Jhoan
&Levi editore, 2009).
Dei lavori di Jo sappiamo quindi
solo grazie alle foto che lei ne fece. Disegni, acquerelli, dipinti:
tutto distrutto. Si è salvato qualcosa per caso, confuso con le
opere del marito, oppure perché proprietà di privati, come questo
ritratto di Edward che legge Robert Frost, realizzato nel 1955 da
Josephine.
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"Robert Frost Reading" - Foto ricavata dal web (link di riferimento) |
Non
si sa quale pagina fosse sotto gli occhi di Edward nel momento del
ritratto.
In ogni caso, tra le poesie di Frost mi viene
in mente questa, adesso:
“Fuoco
e ghiaccio”
Dicono
alcuni che finirà nel fuoco
il mondo; altri, nel ghiaccio.
Del
desiderio ho gustato quel poco
che mi fa scegliere il fuoco.
Ma
se dovesse due volte finire,
so pure che cosa è odiare,
e
per la distruzione posso dire
che anche il ghiaccio è
terribile
e può bastare.
(Traduzione
di Giovanni Giudici)
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