(Redazione) - Muto Canto - 22 - Attraversare la metamorfosi in epoca contemporanea
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di Anna Rita Merico |
Attraversare la metamorfosi in epoca contemporanea. Consentirle di dire il desiderio di umanità e seguirne i necessari attraversamenti per sentirne rimbombare la necessità di voler sgusciare via da ogni nicchia di presente conosciuto, dato.
Ingeborg Bachmann (1926-1973), Paese di nebbia pubblicata nel 1954.
Giunge come frusta questo verso.Stacca da ogni realismo e trasporta in una radice di trasparente visionarietà accesa, metamorfosi lapidaria.
Mondo nel mondo.
Nulla è al suo posto, ogni rigo deborda fluttuante nel successivo e torna in risacca.
Ogni immagine parte da sé e s’immerge in gioco di cerchi concentrici come sasso gettato in sorgive acque.
Fuori dal fuori i passi di un io poetico denso, pensieroso, viandante tra mondi.
Affascina la mollezza dolce e fiabesca di questo trasporto che cuce la bestemmia dell’abbandono trasformandola in infinito.
E’ pagina sospesa in cui l’ago del silenzio buca confini e limiti e d’inverno sta la mia donna è tutto quell’ogni che sguscia via nel gelo dell’impossibilità dolorosa ad un qualsiasi villo d’essere dell’appartenenza.
Qui
è ciò che ci
buca le dita triturato dalla storia. Qui è ciò che ci
allerta i sensi nel sentire quello che è maciullato dal crepitìo
delle separazioni.
E
siamo nel dopo della distruzione del secondo dopoguerra.
E
la domanda feroce su ciò che svanisce lasciando vuoto nel cratere
dell’origine, genera ancora.
Seme
interrato tra sogno, iride, scavo, trapasso, molle, tensione, ritmo,
battito, gelo.
Dentro
la parola il suo trapassare nello scrigno della metamorfosi che
intesse da regno a regno, da forma a forma.
Nel
vento della fine il soffio che alita rinascita.
Anche
la parola cerca forma e la sua forma, ora, è ondivago flusso,
affondo nascosto di significato da cercare.
Ne
cogliamo ondeggiare tiepido.
Ne
vediamo ritmo gravido.
Ne
troviamo grido tondo.
Ne
seguiamo periplo sino a scrutarla involtolata al bar in alba
impastata di succo di notte.
Ma
questa lingua io non capisco.
Cos’è
parola dopo questa notte?
Meraviglia
d’onda dal fondo.
Seme
che mostra punta di verde da lesione nel ghiaccio.
Contorno
d’ombra ingigantita da brina di luce.
Tradimento
d’umano.
Preghiera
nell’infinito d’un contemplare.
PAESE
di NEBBIA
tra
gli animali del bosco.
Che
all’alba io debbo tornare,
lo
sa la volpe e ne ride.
Come
tremano le nuvole! E cade
sul
mio colletto di neve
friabile
una lastra di ghiaccio.
D’inverno
sta la mia donna
albero
tra gli alberi, e invita
tra
i suoi magnifici rami
cornacchie
infelici. Sapendo
che
il vento alle luci dell’alba
le
sue rigide vesti di brina
solleva,
cacciandomi a casa.
D’inverno
sta la mia donna
Tra
i pesci e senza parole.
Schiavo
delle acque,
delle
sue pinne agitate,
sto
a riva e contemplo,
come
ella vira e si tuffa,
finchè
mi allontana il ghiaccio.
E
ancora colpito dal grido di caccia
dell’uccello
che le sue ali
sopra
di me distende, io stramazzo
in
campo aperto: lei sfila le penne
al
pollame e mi lancia una bianca
clavicola.
Al collo l’appendo,
allontanandomi
tra piume amare.
Infedele
è la mia donna,
lo
so, talvolta si libra
alta
sui tacchi in città,
bacia
nei bar con la cannuccia
profondamente
la bocca dei bicchieri
e
trova parole per tutti.
Ma
questa lingua io non capisco.
Paese
di nebbia ho veduto.
Cuore
di nebbia ho mangiato.1
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NOTA
1
Ingeborg Bachmann, Invocazione all’Orsa Maggiore, SE
edizioni, 2002. Paese di nebbia pg 57
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