Shofar (so far)
Sapevo saresti arrivato poi a mettere voce tra lembi aderenti della mia pelle. “Il soffio che strappa riempie d'oro gli spazi vuoti che crea”, dicevi. E sorridevi, e ridevi; i tuoi volti offuscati al mio sguardo da veli salati sui miei occhi. Fu allora che compresi. Io non sarei stato mai maestro. Avrei rivolto per sempre sorrisi ebeti e stolti, a un mondo troppo saggio. Tu facevi “no, no, no” con la testa mentre laceravi a brandelli, vesti per me preziose, e raddrizzavi una schiena piegata dall'assenza. E non c'è peso più grande, lo sai Maestro, che quello delle piume che non hanno carezzato i tuoi volti. Tu questo lo sapevi, alchimista della parola, e lanciavi dal tuo corno ululati che dividevano galassie da galassie, e riempivano i pori della pelle d'un vuoto fertile per il tuo allievo. Fu allora che compresi. Io non avevo nulla da trasmettere al mondo se non i miei inciampi. Ne traesse una lezione o li gettasse a terra, solo quello poteva essere il mio dono.