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(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 33 - Le lettere sono i mattoni della creazione? Alef e Bet

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di Sergio Daniele Donati Dice la mistica ebraica che le lettere dello Alef-Bet preesistessero alla Creazione e che le ventidue lettere (ventisette, ove si considerino le Sofit) stesse siano, in un certo senso i mattoni della Creazione. Non è mia intenzione addentrarmi nei meandri di disquisizioni filosofiche e di ermeneutica pura che occuperebbero interi tomi e affrontare argomenti che, pur avendoli studiati per decenni, mi sento del tutto impreparato ad affrontare con la serietà che meriterebbero.  In questo breve saggio però vorrei incuriosirvi su un metodo possibile di interpretazione. Mi scuserte quindi il tono parzialmente ironico; serve solo a me, per non sentirmi inadeguato. Immaginate un universo non ancora creato, in cui capeggiano tenebre ed abissi ed un vento divino (Ruach) svolazza come un'intenzione non ancora espressa sui volti delle acque. Questo è il prima della creazione ,   il prima di quel detto [ יְהִי אוֹר   ( yehi-or)    - il fiat lux da cui tutto

Il quinto Alef-Bet (binomi) - 02 - Bet e Ghimel

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  E mi dici:  esci dalla casa e io non voglio che temo la bora e la boria del mio primo passo. E mi dici:  esci e cadi e io non voglio rincorrere chi non ha mezzi propri né voglio inciampare su lemmi ancora sconosciuti. E mi dici: ti indicherò io dove andare. E io mi guardo allo specchio d'ottone di un'infanzia negata, e non posso che uscire dalla casa che quello specchio mente e mi fa bello e pronto al mondo mentre ancora il cordone ombelicale con un'assenza barbara e palindroma canta il suo canto di vendetta. E mi dici: esci dalla casa, io ti proteggerò, e poni la tua mano calda sulla mia nuca.  E io esco, e il mondo, sì il mondo, si mostra alle mie retine, e tu, che tutto sai, mi puoi dire cosa sia quel liquido caldo e salato che mi scende dagli occhi? ____ Testo - 14.10.2023 - di Sergio Daniele Donati

Il quinto Alef-Bet (binomi) - 01 - Alef e Bet

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  Il richiamo ovattato d'un silenzio d'attesa, là sul crinale sottile della coscienza, e la risata sorda d'un abisso beffardo. Quasi tutto allora era tenebra e confusione e assenza di nome, per me,  non ancora nato alle piogge dell'interpretazione. Sentivo a volte un borbottio lontano, uno strascicare di piedi anziani su sabbie roventi, e un crepitare di fuoco e odori di spezie e fumi di the e sudori di pelli rugose, cotte da un sole solitario.  Allora fui detto , aprii gli occhi, un senza-nome appena nato e accolto nella casa della trasmissione.  Ora giungo le mani - un gesto antico - e mi copro il volto stanco. Una vita a onorare la Parola di nuovo coperta da venti guerra e chiamo con l'ultima mia voce il ricordo del primo passo  che mi fece uscire dal rifugio allora a camminare tra le genziane dei lemmi che un paziente maestro mi mostrava. E dammi, Maestro, ancora una volta la facoltà di percorrere quel tragitto a spirale nei costrutti e nelle lettere e di creder

Il quarto Alef-Bet - 01 (Tav/Alef)

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Torna da un orizzonte profano l'onda del silenzio e lascia sulla rena  ricordi vuoti di rocce, sciolte dall'opera  immobile del paguro. La porta che si chiude  non sia un vuoto ma il luogo dalla cui serratura filtrano bagliori corruschi, prima che luce  sia detto perché luce sia. Ogni chiusura è sigillo e prisma e scompone  l'unico nel molteplice, l'afonia nel sibilo acuto d'una natura vergine a sé stessa. Innalzavamo a un firmamento assente inni d'incoscienza, la fronte ancora segnata  da limo sacro e fertile. Fummo detti figli del canto prima del primo suono, prima del primo intento e della prima visione. Fummo detti figli del soffio prima del primo alito, del primo aliseo e del primo seme. Per questo i padri  ci sfiorano le nuche; perché non sia detto  che il lichene dell'oblio possa intaccare la gola  d'un figlio che ricorda il suo futuro.

Fenice

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Non credere che ciò che cede e si cela e diviene evanescente si dissolva nelle terre dell'oblio. Fenice eterna, cerca  una nuova forma per risorgere. E se provi poi,  ammirato dalla sua trasformazione, ad accarezzargli le piume l'ustione sul tuo palmo sia testimonianza di quando hai cessato di credere nelle sue potenzialità. Oggi mi manca una voce, una sola, eppure mille. Le cerco tra le mie lettere e tace non solo la Alef, come è solita fare dalla notte dei tempi, ma anche la Tzade, canterina. Ha paura che il suo messaggio di giustizia oggi non sia adatto per un uomo con le ossa rotte. Si corica al mio fianco, come sempre, la Nun e mi canta una nenia antica e di miele; una nenia, la sua, di sole tre parole: Tu sei l'Uomo. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 Foto di Noelle Oszwald

Alef

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Alef di Sergio Daniele Donati Ho compreso che mi guardi e taci, e attendi il mio primo vagito per passare la tua mano di madre sul mio volto. Ho compreso che il tuo silenzio, è spazio lasciato al vento messaggero, per comunicare il nuovo mondo. Là avrò posto e il mio nome, che ancora non pronunci, navigherà nel flusso di chi mi ha preceduto. Alef, madre eterna, con occhi di giada e sorriso evanescente.

Alef (in tre versi)

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Davanti a me, infinito silenzio; sino alla prima parola.  

Alef

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Sorgente silente,  sussurri ai miei orecchi parole arcane.  E ti celi in un universo che non ti contiene;  nel Silenzio che è prima di ogni vagito.  Ti ho vista dietro l'Albero  cantare nenie a un popolo ilare.  E ho visto i loro sguardi umidi  in quel suono senza suono  che tutto smuove, nella memoria;  Ho smesso di cercarti; certo che  sarai tu a trovarmi nel sogno,  compagna evanescente  dei miei giochi d'elevazione.