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Il quarto Alef-Bet - 17-18 Ayin/Pe e Pe/Tzade

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Ciò che l'occhio vede a ogni alba fa cadere  l'unico dente che resiste  alla benedizione del creato. Ogni stupore è dire balbuziente e bambino e - per questo - sacro . Io non so se credo in D.o ma son certo di credere  nella bellezza profonda  che è il fondamento della giustizia della sua opera. E poi ne intuisco l'ombra dietro la calma e il silenzio d'una corteccia, dietro quiete d'uno stendino afono. Il creato parla facendo silenzio noi ne neghiamo la bellezza  nel brusio di fondo dei nostri paradossi. Non so se lo credo, dicevo, ma piango la sua assenza assieme ad Amichai e so, come come il poeta dal volto di mappa antica, che mentre ripara il mondo Egli ride e canta, ignaro d'essere ascoltato da orecchie desiderose d'un ultimo abbraccio. Testo - inedito 2023 - e foto di Sergio Daniele Donati (1) ci si riferisce alla magnifica poesia  di Yehuda Amichai "Dio è coricato" che potrete leggere   Qui

Il quarto Alef-Bet - 16 Samech/Ayin

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Il sapiente guarda a fondo in basso, e indietro lontano mentre avanza condotto da una mano bambina appoggiata alle stelle _____ Foto e testo  - inedito - 2023  di Sergio Daniele Donati

Stanze (SAMECH - AYIN - PEI - TZADE - KOF)

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  SAMECH (ס) Null'altro da dire: esistono voci lontane e proteggono e custodiscono la parola ancora inespressa di una voce bambina. La prima parola d'un infante è un sibilo di accoglimento di un percorso infinito. AYIN (ע) Mi chiedi cosa sia una visione  e dove si debba poggiare lo sguardo quando un vento freddo scivola sui pori della pelle? Sull'orizzonte sotto i nostri piedi , rispondo. E quando il vento si placa, verso la luce lontana  di stelle già morte. PEI (פ) Un dente deve cadere per passare dalla negazione del creato al suo abbraccio. La parola si deve far chiara per permettere l'infinita interpretazione, eppure, già lo dissi, il mio maestro era balbuziente e sorrideva tra i suoi denti ingialliti al compito sacro della trasmissione. TZADE (צ) E non c'è giusto fuori dalla testimonianza. Né l'etica si poggia su un'intuizione afona. Il Giusto raddrizza la schiena prima di parlare e torna curvo nel silenzio. Chi lo ascolta raddrizza la schiena  di fron

Alef-Bet e Perdono - Ayin (ע) e Pe (פ)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Se rivolgiamo uno sguardo adulto al mondo ( soprattutto delle relazioni ) il primo elemento che risalta, luminoso e terrificante, è la sua imperfezione. Le sue crepe e intoppi e faglie sono così grandi che il solo osservarle rischia di farci cadere in un abisso senza fondo. Ma qualcuno ci ha donato un occhio mobile e un cervello capace di rielaborazione. E allora la seconda cosa che notiamo del mondo (sopratutto delle relazioni) è la sua tenuta. Faglie e crepe e varchi profondi come ferite non impediscono all'uomo di continuare a trasmettere speranza. Perché? Perché l'uomo non cerca solo la verità storica e statica delle cose. Se ci avessero donato occhi e bocca (le Ayin ע e le Pe פ dell'alfabeto ebraico) solo per descrivere il mondo come è, ci sarebbe bastata una vista monoculare, da ciclopi. E la nostra funzione nel mondo sarebbe stata ben triste. Scribacchini, magari eruditi e colti, del limite, nostro e dei nostri simili. Nella

Ayin (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Quell'occhio non l'ho più visto. Restano tracce di memoria sotto le unghie; quell'occhio non m'ha più visto. 

Ayin

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Sai, figlio mio,  la prima luce illuminò  sessanta volte mille  e settantacinque soli,  e furono sette, figlio mio,  i raggi di stella  nella pupilla del Giusto.  La luce del risveglio,  figlio mio,  è lode eterna e tripudio  per settanta generazioni;  e nell'occhio del sapiente,  figlio mio, è custodito  ogni fertile dolore;  sulla corteccia ruvida dell'albero del silenzio,  figlio mio, il Giusto  posa la sua mano  e pulsano radici  e vibra il fogliame,  il Giusto che salva,  figlio mio, e punta  il suo occhio antico  sui tuoi volti e  benedice il tuo nome.  E ora riposa, figlio mio,  al suono delle settanta  cantilene che diedero  Gloria e Armonia al Creato