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(Redazione) - Fatuari - 03 - Dondolii e smembramenti

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  di Diego Riccobene   Apancoméne era l’epiteto arcaico attribuito a un mito legato alla sfera di Dioniso e Arianna. La fanciulla Erigone, «colei che è nata all’alba», creduta epigonale della Signora del Labirinto presso l’isola rocciosa di Ikarion, era figlia di Icario/Iacchus (anche lui alter-ego: di Bacco, naturalmente). Costui portò il dono del vino presso quelle selvatiche contrade e in segno di gratitudine i pastori autoctoni, dopo aver libato il delizioso liquore e caduti nell’ebbrezza più detrimentosa, lo uccisero selvaggiamente e lo seppellirono. Una delle narrazioni eziologiche che riguardano la diffusione della vite in terra ellenica riporta il curioso fatto che la prima pianta di siffatta genìa fosse nata dal tumulo del dio. La sventurata fanciulla sua figlia, accompagnata dalla cagna Maira (o anche, nel corrispettivo maschile, Sirio) trova il cadavere del padre dopo una lunga erranza e, prostrata dal dolore della perdita, secondo una sinistra versione della vicenda si i

(Redazione) - Fatuari - 02 - Cosa uscì dal becco dell’aquila

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di Diego Riccobene Omero il rapsodo e il dio norreno Ódhinn: come legare l’uno all’altro? Stavo, qualche tempo fa, in contemplazione della straordinaria opera di Bartolomeo Passerotti titolata L’enigma di Omero , e pensavo a quel frammento eracliteo che sbugiarda la conoscenza supposta dall’intelletto umano intorno agli epifenomeni e a quanto di essi rimane tra soglia e soglia, la loro ombra di zolfo, sulla trama lunare dell’indecente tappeto intrecciato da noi medesimi. Eraclito riporta il famoso episodio, narrato precedentemente da Aristotele, riguardo l’indovinello che alcuni giovani pescatori posero al padre della poesia: «Tutto quello che abbiamo visto e preso, lo lasciamo; tutto quello che non abbiamo visto né preso, lo portiamo con noi». 1 L’interpellato non seppe trovare risoluzione al quesito, e questo fatto, tramandano le fonti, lo avrebbe letteralmente ucciso. Riconsiderando la fabula dal finale patetico, mi domando: quanto della nostra integrità sapienziale, e della nostra

(Redazione) - Fatuari - 01 - Il nome è la fine; il nome è il principio.

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  di Diego Riccobene L’ Enūma eliš racconta che, successivamente alla creazione del mondo, Marduk dovette placare l’ira di Tiāmat, intenzionata a vendicare la morte del dio primigenio suo compagno Apsū, l’abisso, il custode dei segreti. L’avvicendamento tra le due forze vide la necessità che entrambe si armassero di tutto punto per sostenere il tremendum dello scontro, la prima in particolare: “ Tra le sua labbra egli teneva stretto un incantesimo, / mentre tra le sue mani stringeva una pianta per contrastare il veleno di Tiāmat ” 1 . La pianta – un talismano; e ancor di più, la parola stretta in bocca, quella che dovrà decretare il potere sull’altro, soggiogandone le volontà. Una tenzone verbosa è quanto i due ancestrali mettono in atto, da subito, per primeggiare l’uno sull’altro: “Tiāmat lancia il suo incantesimo, senza neanche voltare la testa / tra le sue labbra stringe falsità e menzogna” 2 . Solo successivamente si verifica il ferace corpo a corpo materico, che vedrà la cruent

(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "L’uomo con le zampe d’uccello" di Diego Riccobene

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  Si racconta all’interno del Liber cronicarum 1 , annale stampato a Norimberga in pieno Quattrocento (epoca di meraviglie, vieppiù del meraviglioso), che corresse il 1114 quando una donna partorì un infante bicefalo, metà uomo e metà cane. Gli onesti abitanti delle vicinanze – dopo essersi segnati – avrebbero atteso qualsivoglia accadimento consequenziale; era particolarmente certo che, in occasione di siffatti indizi, fosse rievocato il detto melantoniano: “In ogni tempo Dio ha creato dei mostri per significare in maniera mirabile la sua ira e la sua misericordia, e principalmente la caduta o il progresso di regni e imperi” 2 . Questo, al pari di altri ritenuti senza dubbio alcuno preasagia (ci si riferisce a casi testimoniati di gemelli monocefali, scrofe e oche nate “doppie”, per citarne una minima parte), è trascritto dai cataloghi di prodigi che Jurgis Baltrušaitis ha compilato con dovizia per ricostruire il processo di immaginativa esasperata che infervorò bestiari tardoromani

(Redazione) - su Synagoga (Fallone Editore, 2023) di Diego Riccobene - nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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La parola Synagoga deriva dal latino ( syn , assieme e   ago , condurre) e significa letteralmente luogo dell'adunanza, della riunione.  Pur avendo origini in culture molto diverse, la parola in esame ha un immediato portato nella cultura ebraica dove viene fatta coincidere dai più col luogo della preghiera.  In realtà la cultura ebraica aggiunge un elemento in più alla definizione dei luoghi di culto chiamandoli spesso Beit HaKenesset (la casa della riunione). Perché ci si possa riunire in preghiera, in altre parole, non è sufficiente una pluralità di soggetti ma è anche necessario che il luogo dove ciò avviene sia percepito come luogo protetto e familiare, una casa   per l'appunto.  Tuttavia sia la tradizione ebraica che quella latina suppongono un certo modo di orazione e, in particolare, talune preghiere fondamentali, non possano essere svolte da soli ma necessitano della presenza di una collettività di persone, da un lato, e di una pluralità di voci, dall'a