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Due poeti allo specchio (Giorgia Mastropasqua e Sergio Daniele Donati)

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    di Sergio Daniele Donati Da quelle terre proviene il mio grido. Dall'immnesità del pulviscolo giallo l'inerzia della sentinella e la lama in un fodero blu, di pelle di biscia. Nella stasi la legge del mutamento, la poiana in cielo e la serpe per terra; resto immobile a contare del deserto i respiri. La voce che fosti allora è tornata oggi in sogno. Non domandare, nemmeno in quel regno, perdono. Io sono figlio di sale, guardia dell'abisso. Guardo e non mi è ormai concesso il rimpianto. Posa la mano sulla roccia piuttosto ed ascolta quanto laceri lo sterno la voce di un bambino che muto muore. di Giorgia Mastropasqua   A te vorrei svelare il poco che ho capito rasenta raramente le conquiste del senso condiviso, è il cristallo di un';anima, mi dico. Nella notte che avvampa il mattino ha inizio l'ultima stagione. Hai visto quel fastello di voci mormorare nel lucore dell'onda? Hai letto il sentiero nascosto nella rovina carsica di sabbie infinite? Noi tracciamo

Poesie di Giorgia Mastropasqua - con nota di Sergio Daniele Donati

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  «Quando il verbo e l'aggettivo si diluiscono e divengono sostegno nascosto dei sostantivi, si rafforza nel lettore la potenza dell'immagine evocata e la mente è diretta verso la ricerca di un solco più profondo di interpretazione». Questo mi è venuto in mente leggendo le poesie  di Giorgia Mastropasqua   che oggi vi proponiamo.  Versi brevi, al limite del saltello, che delineano un ritmo che, come nella prima poesia, torna sempre a riveder sé stesso  e in questo percorso di rivisitazione costringe (mai verbo fu più opportuno) ad una tenuta molto potente. Questo perchè, paradossalmente, è sempre molto più facile per chi legge ritrovarsi nel verso lungo, che permette più vie di rientro nel flusso, che in un dire breve, ove la concentrazione è la corda che permette una certa ascesa che solo sul finale permette una sosta di riposo. Poesie queste da leggere a voce alta, per sentire le cadute (positive) degli accapo stretti, quasi ossessivi, per rendersi conto del gioco della poeta